8 Luglio 1944 – 8 Luglio 2017
In Toscana, appena cinque giorni dopo la strage di Civitella della Chiana, Cornia e S. Pancrazio (29 Giugno 1944, 241 morti), a poche decine di chilometri di distanza, nel Valdarno aretino, si consumò la strage di Cavriglia tra i borghi di Castelnuovo di Sabbioni, Massa, Meleto e S. Martino (4 Luglio 1944, 191 morti).
Quattro giorni dopo la strage i partigiani della compagnia Chiatti si trovarono a fare i conti con l’ennesimo rastrellamento dell’occupante nazista, cercando a tutti i costi di rallentarlo per prendere tempo: forte delle indicazioni del manipolo di fascisti locali l’occupante nazista intendeva proseguire la strategia del terrore con la quale tra la fine del Giugno 1944 e la prima metà del Luglio 1944 centinaia e centinaia di civili vennero trucidati nelle rappresaglie che insanguinarono le vallate toscane.
Poco sopra i borghi dove si consumò la più orrenda strage del Valdarno durante la seconda guerra mondiale cadde combattendo contro l’occupante nazista il partigiano sovietico Nikolaj Grigorievich Bujanov, appena diciannovenne.
Nikolaj Bujanov (Classe 1925), fu arrestato durante l’Operazione Barbarossa dopo che la cittadina di Mogilev-Podolskij (Oblast’ di Vinnitsa, Ucraina) venne occupata dai nazisti e dai collaborazionisti rumeni. Ancora minorenne insieme ad altri coetanei svolgeva attività di propaganda a sostegno della resistenza sovietica contro l’occupazione.
Dopo essere arrivato in Germania da prigioniero venne trasferito in Italia come migliaia di prigionieri la cui forza-lavoro – sia nel nostro paese che nelle altre zone occupate – si rendeva imprescindibile per l’industria bellica del Reich: moltissimi di questi erano Ostarbeiter ucraini. Secondo alcune stime il numero dei soli ucraini che furono deportati nei territori occupati per il lavoro coatto è quantificabile in circa due milioni di persone.
Mentre pressoché la totalità della popolazione maschile era impegnata sui fronti del secondo conflitto mondiale, per molti, così come per Bujanov, quella del lavoro coatto fu l’unica strada possibile per evitare di essere fucilati senza processo o di finire nei campi di annientamento.
Nel Valdarno, la principale direttrice di collegamento tra Arezzo e Firenze, nel 1944 le linee stradali e ferroviarie venivano sistematicamente colpite dai bombardamenti angloamericani: di conseguenza, l’occupante nazista ed i collaborazionisti fascisti sfruttavano sia la forza-lavoro locale sia quella dei prigionieri per i continui interventi resi necessari dai sabotaggi e dai bombardamenti angloamericani sulle infrastrutture, a cui naturalmente i lavoratori della Einsatzgruppe Italien – Todt (OT) erano esposti. I nazisti non potevano esimersi dal concedere ai loro sottoposti un certo grado di movimento, e dunque venivano consegnati loro dei lasciapassare da presentare durante i frequenti controlli a cui veniva sottoposta la popolazione locale. In questo modo, pur sotto la coercizione tedesca, migliaia di lavoratori – compresi quelli delle miniere di Castelnuovo dei Sabbioni – acquisivano una relativa libertà di movimento che per le formazioni partigiane della zona si rivelò fondamentale sia per l’acquisizione di informazioni sull’occupante sia per il reclutamento di nuovi combattenti.
Gli scioperi del 1944 dei lavoratori delle miniere valdarnesi furono decisivi per piegare l’occupazione nazista. Nell’organizzazione dell’agitazione operaia nella zona di Cavriglia ebbe un ruolo fondamentale Priamo Bigiandi, minatore, membro del CLN e futuro deputato del PCI.
I responsabili dei raggruppamenti partigiani di zona cercarono di fare il possibile per avvicinare a S. Giovanni Valdarno e ad Incisa i prigionieri stranieri alle dipendenze della Einsatzgruppe Italien – Todt (OT) e dare loro la possibilità di evadere per combattere contro l’occupante.
Dopo aver preso con lui dei contatti da un paio di mesi, la notte del 14 Giugno del 1944 i partigiani fecero fuggire da S. Giovanni Valdarno Nikolaj Bujanov insieme ad un altro sovietico: i due vennero portati nei boschi di Cavriglia dove era già attiva la compagnia Chiatti, agli ordini del Commissario Politico Libero Santoni e del Comandante Guelfo Billi, scomparso per ironia della storia nell’anniversario appena trascorso dell’eccidio di Castelnuovo dei Sabbioni.
Molti anziani valdarnesi allora bambini ricordano ancora l’impressione che suscitava il giovane sovietico quando facendo i conti con l’estenuante lavoro sotto la sorveglianza nazista batteva l’incudine con l’irruenza di un maglio.
Emilio Polverini (Classe 1933) – appena undicenne all’epoca dei fatti e orfano del padre dopo la Strage di Castelnuovo dei Sabbioni – ricorda ancora oggi l’arrivo del giovane sovietico nei ranghi della compagnia Chiatti: “Bujanov arrivò dai partigiani con una divisa da lavoro che indossavano coloro che erano inquadrati nella Todt. Ricordo che aveva un cappello rosso: quando i partigiani lo video con in testa questo cappello fu naturale per loro chiedere dove lo avesse trovato. Per rispondere, Bujanov prese il cappello tra le mani e lo girò. Non aveva fatto altro che indossarlo al rovescio, mettendo in mostra la tela che era appunto rossa. Da un punto di vista militare la presenza dei sovietici tra i partigiani fu fondamentale”.
Osvaldo Garinni, detto “Dindi”, renitente alla chiamata alle armi della RSI sin dagli ultimi mesi del 1943, fu uno delle principali figure di collegamento tra la Compagnia Chiatti ed il comando della Brigata Sinigaglia, situato nei dintorni di Pian d’Albero (Figline).
Come chiarisce la testimonianza del Polverini, il Dindi ed altri combattenti della Chiatti dopo aver consegnato al Comando della Brigata Sinigaglia alcuni nazisti fatti prigionieri, recuperarono una mitragliatrice che, oltre a non essere funzionante – come riporta la testimonianza del Santoni – risultava inutilizzabile e difficilmente trasportabile per il peso.
Fu del Garinni la decisione di prendere con sé la mitragliatrice insieme ad altre armi lanciate dagli angloamericani o conquistate in combattimento dalla Sinigaglia: assai difficile precisare di che arma potesse trattarsi ma di certo al momento della consegna l’arma non era funzionante e tra i partigiani della Chiatti ad eccezione di Bujanov nessuno ebbe l’ardire di farsene carico.
[…] Posto davanti al parabellum [la mitragliatrice, NdA], che era arrivato in formazione guasto e inutilizzabile, se lo portò anche a letto finché non lo fece cantare come un violino. Era un contadino? Quel giorno, nel campo, era raggiante in mezzo ai capoccia e alle ragazze a falciare il grano maturo. Si notava che a quella festa era abituato, però quando in formazione arrivò una macchina da scrivere mostrò che ci sapeva fare anche con quella. […]
Prima di unirsi ai partigiani della Chiatti, ancora inquadrato nella Todt, Nikolaj Bujanov conobbe e si innamorò di una ragazza di S. Giovanni Valdarno che sognava di sposare: la ragazza si chiamava Nicla Berti di Bona, e, trasferitasi in Svizzera nei decenni che seguirono la fine del conflitto offrì alcune testimonianze sul giovane sovietico, conservando alcuni oggetti che gli erano appartenuti.
Numerose testimonianze, come quella del Commissario Politico della Chiatti Libero Santoni hanno fatto emergere l’altruismo e la generosità del diciannovenne ucraino, testimonianze che trovano riscontro in quelle raccolte dal regista sovietico Anatoly Dmitrievich Sirikh alcuni decenni dopo tra parenti e conoscenti di Bujanov sopravvissuti al terrore nazista, e più recentemente dal giornalista ucraino Victor Melnik. Nella cittadina di Mogilev-Podolskij una strada ed una scuola vennero intitolate al giovane Bujanov: alcuni alcuni fa – prima del golpe del 2014 e del dilagare delle bande neofasciste – venne eretto un monumento alla sua memoria.
“Quel ragazzo di 19 anni, semplice, gioviale, scherzoso, amico di tutti, che all’arrivo in formazione si vuota le tasche e ripartisce tra i nuovi amici il suo piccolo tesoro: un pacchetto di tabacco! Che fa restare tutti di sasso, increduli, quando, sul far della sera, si leva nell’accampamento abitato da soli uomini, il pianto disperato di un neonato da lui perfettamente imitato, mentre il caro Penna lo spalleggia fingendo di cullare qualcosa con le braccia. Quel gigante a cui affidammo il parabellum perché per manovrare quel potente mitragliatore privo dell’appoggio a terra occorrevano braccia d’acciaio: e che si lascia battere nella lotta, per compiacenza, da compagni molto più deboli o suona delicatamente con l’armonica le canzoni della sua terra o accompagna i primi approcci dei nostri giovani con il canto dell’Internazionale. ”
Santoni fu l’ultimo a parlare con Nikolaj Bujanov nei boschi intorno a Secciano di Cavriglia mentre la manovra a tenaglia della Fallschirm-Panzer-Division “Hermann Göring” stava per accerchiare gran parte della compagnia ed un gran numero di civili in fuga. Ricorda Libero Santoni:
“[…] Nikolaj Bujanov, un giovane sovietico che era con noi, si lanciò al loro inseguimento nonostante i compagni cercassero affannosamente di trattenerlo. — No, là tedeschi — rispose a chi lo richiamava — io ucciderli tutti. E sparì tra la vegetazione facendo cantare a lungo il suo parabellum. [. . . ] Nikolaj Bujanov, Nicola per noi, straniero per nascita e provenienza ma nostro caro fratello per ideali, lotte e speranze di libertà, Nicola non poteva morire che così: per salvare la vita ai suoi compagni e quella della popolazione civile. Non poteva non sapere che gettarsi da solo all’inseguimento dei tedeschi, in ritirata verso le loro munite posizioni, avrebbe significato morte certa. Sapeva però che era importante fermare i tedeschi e li fermò col sacrificio della vita. ”
Ancora Libero Santoni testimonia in un rapporto:
“[. . . ] Le ferite riscontrate sul corpo di Bujanov – di raffiche a brevissima distanza – fanno supporre che egli si sia lanciato, ultimate le munizioni, brandendo il mitragliatore scarico a mò di clava, contro il nemico. [. . . ]”.
Libero Santoni, il fratello Antonio, Francesco Lelmi ed altri reduci della lotta partigiana in Valdarno , con il favore ed il sostegno delle autorità sovietiche dedicarono alla memoria del giovane ucraino un parco naturale – oggi abbandonato a sé stesso – in cui alla fine degli anni ’70 vennero portate dallo zoo di Tallin (Estonia) numerose specie di animali. Le amministrazioni di Cavriglia e di Mogilev-Poldolskij suggellarono in un gemellaggio la loro storia unitasi nella vicenda di Bujanov, sepolto nel Sacrario della Resistenza del Cimitero di S. Giovanni Valdarno (Arezzo).
Le lotte dei minatori del Valdarno segnarono gli anni del dopoguerra con imponenti mobilitazioni, scontri con le forze dell’ordine ed importanti conquiste. Così, il governo di Scelba perseguitò con ogni mezzo sindaci, dirigenti politici, lavoratori, sindacalisti ed ex partigiani: nemmeno la memoria di Bujanov, come scrive Libero Santoni, fu risparmiata dalla furia di Scelba.
“— Dove andate? — chiese il capitano dei carabinieri al posto di blocco istituito a S. Pancrazio sulla strada che porta a Secciano.
— Dove ci pare — risposero alcuni partigiani. — E lei dove va? — replicò anzi qualcuno.
— Vado anch’io dove mi pare — fu la stizzita risposta dell’ufficiale.
— Bene — notò un partigiano — allora andiamo dalla stessa parte e possiamo andare insieme — e si aprì un passaggio nella fila dei carabinieri, seguito da tutti gli altri.
Più su c’era un secondo cordone di carabinieri che attendeva i partigiani, ma loro entrarono nel bosco e per sentieri familiari e carichi di ricordi, sbucarono davanti al cippo che era stato eretto sul luogo dove era caduto Nikolaj Bujanov. Erano trascorsi appena dieci anni dalla Resistenza e c’era un governo [Scelba, NdA] in Italia che vietava lo svolgimento della cerimonia inaugurale del cippo-ricordo del sacrificio del giovane sovietico, voluto dai suoi compagni e dalla popolazione di Cavriglia. Quei carabinieri erano lì appostati, negli stessi luoghi dei tedeschi di dieci anni prima, per offendere la resistenza. Vergogna!
Di fronte alla folla di partigiani attorno al cippo, i carabinieri non se la sentirono di insistere, ma avvertirono che non ci doveva essere un discorso ufficiale.
Di discorsi ce ne furono tanti, quanti erano i partigiani presenti perché ognuno volle ricordare con parole proprie l’indimenticabile amico, e ci fu chi concluse che era vergognoso per i nostri governanti aver mandato i fratelli carabinieri a tentare di impedire che si ricordasse chi era caduto per la libertà e per l’Italia, e che sarebbe stato molto più giusto che quei militari fossero stati fatti venire a Secciano come guardia d’onore al monumento all’eroe. ”
Successivamente La Presidenza della Repubblica concesse a Nikolaj Bujanov la Medaglia d’Oro al Valor Militare il 20 Maggio 1985. “Giovane cittadino ucraino, si sottraeva in S. Giovanni Valdarno al servizio con i tedeschi per unirsi a una formazione partigiana. Memore delle atrocità compiute dai nazisti nella terra natia, si offriva volontario in numerose azioni di sabotaggio che portava felicemente a termine con capacità e sprezzo del pericolo. L’8 luglio 1944 a protezione della evacuazione dei superstiti della dura rappresaglia del 4 luglio 1944 in Castelnuovo dei Sabbioni, nonostante i richiami superiori, impegnava il nemico da postazione assunta d’iniziativa più avanzata di quella assegnatagli, arrestando il rastrellamento e la popolazione civile. Solo, sulla postazione difesa sino all’estremo, esaurite le munizioni, crivellato di colpi, cadeva da prode”. Secciano di Cavriglia, 8 luglio 1944. “
Nelle zone di Arezzo e di Firenze, e soprattutto nel Valdarno dove diede la vita, il tempo non ha cancellato la memoria del suo sacrificio. Nel 1978 il progetto di musica popolare “Il Canzoniere del Valdarno” celebrò la memoria di Bujanov ne “La Canzone di Nicola”. Da anni è attivo a Vacchereccia (Cavriglia) un collettivo politico che porta il suo nome, così come una sezione ANPI del milanese.
Foto 1 Il memoriale di Secciano oggi, 2017 Foto di Maurizio Vezzosi
Foto 2 Il memoriale di Secciano, 1965. Foto di Emilio Polverini
Foto 3 Una delegazione sovietica in visita a Secciano presso il memoriale di Nikolaj Bujanov in occasione del trentennale della sua morte. 1974. Foto di Emilio Polverini
Foto 4 La lapide del Comune di Cavriglia, 1967. Foto di Emilio Polverini
La fatica di questo lavoro è dedicata allo straordinario Emilio Polverini ed alla memoria del Comandate della Compagnia Chiatti Guelfo Billi, recentemente scomparso. Doverosi e sinceri ringraziamenti vanno a Luca Grisolini, Olga Babak, Alba Bigiandi, Enzo Gradassi, Giuseppe Morandini, Ivano Cardinali, Simone Ferrucci.
Per approfondire:
Comune di Cavriglia Cavriglia nella lotta di liberazione, Tip. Sociale, 1975
Comune di Cavriglia Amministrazione Provinciale di Arezzo Venticinquesimo anniversario degli eccidi del luglio 1944. Tip. Sociale, 1969
Curina A. Fuochi sui monti dell’Appennino, Badiali, 1957
Gracci A. Brigata Sinigaglia, Feltrinelli, 1975
Polverini E. Priore D. Perché la memoria non si cancelli. Gli eccidi del Luglio 1944 nel territorio di Cavriglia. Tipografia Valdarnese, 1994
Sacchetti G. Il minatore deputato. Priamo Bigiandi Manent, 1998
Sacchetti G. Vite di partito. Edizioni scientifiche italiane, 2016
Santoni L. Dal buio della miniera alla luce della libertà. L’antifascismo e la Resistenza nel Comune di Cavriglia e nel bacino lignitifero del Valdarno, Vangelista, 1986
Succhielli E. La resistenza nei versanti tra l’Arno e la Chiana, Tipografia Sociale, 1979
Per un approfondimento in lingua italiana sulla tematica dei partigiani sovietici in Italia:
Galleni M. I partigiani sovietici nella resistenza italiana, Editori Riuniti, 1967
Galleni M. Ciao, Russi. Partigiani sovietici in Italia 1943-1945, Marsilio edizioni, 2001
Roberti A. Varaldi M. Rukà ob Ruku – Fianco a fianco. Partigiani sovietici nella Resistenza piemontese, Associazione culturale Russkij Mir, 2005
Lovkova V. Bello Ciao. Documentario su Vladimir Pereladov, Magafilm, 2015
Rossi M. Soldati dell’Armata Rossa al confine orientale 1941-1945. Con il diario inedito di Grigorij Žiljaev, Leg Edizioni, 2014
Talalay M. Dal Caucaso agli Appennini. Gli azerbaigiani nella Resistenza italiana, Sandro Teti Editore, 2013
Vezzosi M. Marchetti G. Roberti A. Sulle tracce del calzolaio Michail Molcanov, partigiano sovietico in Italia – L’Antidiplomatico
Vezzosi M. Marchetti G. Fianco a fianco. Il 9 maggio ricordando i partigiani sovietici caduti in Italia per la liberazione dal nazifascismo – L’Antidiplomatico
Vezzosi M. Marchetti G. Dal Caucaso alla Val di Susa. Il partigiano georgiano Taras Zacharaja – L’Antidiplomatico
Vezzosi M. Marchetti G. Fedor Poletaev. Un gigante sovietico nella lotta partigiana – L’Antidiplomatico
Si consiglia inoltre la consultazione dell’archivio del sito del Cnj
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