A distanza di qualche giorno dall’anniversario del tentativo di golpe di Francisco Franco del 17-18 luglio del 1936 contro la repubblica spagnola che diede inizio alla guerra civile spagnola, è sembrato utile pubblicare una versione sintetica del saggio Michail Efimovič Kol’cov (1898-1940). Elementi per una biografia politico-intellettuale, contenuto nel volume Diario della Guerra di Spagna, pubblicato da PGreco circa un anno fa ( http://www.edizionipgreco.it/libri/documenti-della-storia/diario-della-guerra-di-spagna.html ).
L’enigmatica fine di M.E. Kolt’cov
Il 1° giugno 1991 il periodico «Večernjaja Moskva» (Mosca di notte) pubblicava la notizia sensazionale secondo cui si supponeva – grazie ai documenti dell’archivio della Lubjanka – che Michail Efimovič Kol’cov, il più celebre corrispondente dell’URSS e, negli anni Venti-Trenta, il giornalista sovietico più famoso, fosse stato condannato a morte il 1° febbraio 1940 e fucilato il giorno seguente. Secondo altre fonti Kol’cov, invece, sarebbe morto in un lager nel 1942.
Fino ad allora si era solamente a conoscenza del fatto che fosse stato arrestato ma la sua scomparsa era rimasta un enigma, nonostante la sua “riabilitazione” nel dicembre del 1954.
Ma chi era M. Kol’cov? Un uomo che poco prima del suo arresto era probabilmente una delle persone più importanti, apprezzate e conosciute del mondo della cultura sovietica del tempo?
Il destino di quest’uomo appare quanto più paradossale considerato il fatto che la data del suo arresto coincide con il picco della sua importanza per l’apparato culturale dell’Unione Sovietica. La sera stessa del suo arresto, il 12 dicembre 1938, su invito di Stalin in persona aveva “presentato” alla Casa Centrale dei Letterati la Storia del Partito Bolscevico.
Michail Efimovič Kol’cov è il primo e più importante corrispondente sovietico nella Spagna della Guerra Civile, scrisse i propri dispacci per la «Pravda» dal 9 agosto del 1936 fino al novembre dell’anno successivo. Li rielaborò in seguito nel Diario che ebbe un enorme successo, tra cui l’apprezzamento di Stalin stesso.
L’uscita di scena di Kol’cov avviene in un clima dove l’imminente avvicinarsi dell’aggressione nazi-fascista all’URS. La non volontà delle democrazie occidentali, che avevano lasciato assassinare la giovane repubblica spagnola dal golpe franchista e dai suoi alleati, di fare fronte comune contro Hitler e Mussolini, determinò all’interno dell’URSS un deciso cambio di passo nella preparazione alla guerra.
Una mobilitazione, sul “fronte interno”, in cui la prima preoccupazione era scoprire preventivamente chi avrebbe potuto lavorare per il nemico, in una specie di sindrome da caccia alla «Quinta Colonna» – ereditata dall’esperienza spagnola – che falcidiò alcuni esponenti di spicco della politica sovietica. Alcuni di questi avevano avuto proprio un ruolo rilevante durante la Guerra Civile Spagnola, ma vennero considerati, al di là delle accuse formali, non allineati alle esigenze di fase della politica dell’URSS e alle sue prioritarie necessità difensive
Appare verosimile che le scelte tattiche fatte per “rallentare” l’aggressione all’Unione Sovietica (tra cui il “patto” Hitler-Stalin), nell’inevitabile escalation del conflitto e il necessario consolidamento del “fronte interno” portassero alla liquidazione di chi venisse, a torto o a ragione, ritenuto un ostacolo al grado di allineamento richiesto dall’impellenti necessità belliche.
Se il clima in cui avviene l’arresto dello scrittore sovietico può ormai essere ricostruito con precisione, le cause esatte della sua scomparsa rimangono tutt’ora un “rompicapo” storico da cui derivano differenti interpretazioni.
All’oggi, quindi, la sua scomparsa rimane una questione “aperta”.
Voglio volare… La passione sovietica per l’aviazione
Michail Efimovič Kol’cov (vero nome Mojsej Fridljand) nasce a Kiev nel 1898, figlio di un artigiano di religione ebraica.
Nel 1916 si trasferisce a Pietrogrado per studiare medicina, ma lo scoppio della Guerra Civile lo getta in politica, facendolo partecipare al sequestro di alcuni esponenti zaristi e al disarmo della polizia. Scrive per un bollettino dell’Armata Rossa, «JUGROSTA», che si occupa del fronte meridionale. Nel 1918 aderisce al Partito Comunista, con una lettera di raccomandazione firmata da L. Trockij e dal vecchio bolscevico A. Lunačarskij, e partecipa alla “pacificazione” della rivolta dei marinai di Kronštadt nel marzo 1921 in qualità di redattore del quotidiano «Krasnyj Kronštadt» (Kronštadt rossa).
Diviene un celebre aviatore, prendendo parte a traversate aeree di lunga distanza, di cui la più famosa inaugurò la tratta Mosca-Ankara-Teheran-Kabul. Nel 1931 pubblica il libro Choču letat’ (Voglio volare). È stato altresì un pioniere nello sviluppo della nascente industria aereonautica sovietica, partecipando alla raccolta di fondi per la costruzione dell’imponente aereo “Maksim Gorkij”.
Viktor Lavskij, uno dei più famosi piloti sovietici, anch’egli passato poi per l’esperienza della Grande Guerra Patriottica, ha avuto il suo battesimo del fuoco, come altri aviatori dell’URSS, proprio nella Guerra Civile Spagnola.
Furono 772 i piloti che da una ipotetica funzione di consulenti-istruttori dovettero per le necessità belliche, prendere parte direttamente al conflitto, solcando i cieli nelle più audaci imprese dell’aviazione repubblicana.
L’Unione Sovietica fornirà un cospicuo numero di aerei: 648, all’aviazione spagnola repubblicana, contro i 756 inviati dalla Germania nazista e i 766 dell’Italia fascista.
I piloti sovietici contribuiranno a contrastare efficacemente il predominio dell’aviazione franchista coadiuvata dagli alleati nazi-fascisti, oltre a farsi carico dell’addestramento militare vero e proprio, prima in Spagna poi in Urss, su gli I-15, I-16 ed SB
Così D.Ibarruri descrive l’emozione suscitata dall’arrivo dei primi aerei sovietici, il 7 novembre 1936:
«Il popolo madrileno si lancia per strada incontro a coloro che sa suoi amici. E uomini e donne, in un impulso incontenibile e commosso, abbracciano piangendo i combattenti delle brigate internazionali… Ci si è dimenticati che il nemico spia, si è dimenticato il pericolo… E improvvisamente… Superando le grida e le esclamazioni di gioia e di entusiasmo che riempiono le strade, un rombo di motori incomincia a roteare per i cieli, si approssima a Madrid. C’è un istante di panico nella gente che si è precipitata nelle strade incontro agli internazionali.
L’aviazione! L’aviazione! – gridano.
Alcuni punti neri che crescono, che si profilano, che si approssimano volando basso. Non sono gli essers, non sono i Savoia. Aerei sconosciuti hanno fatto irruzione nel nostro spazio aereo, vengono verso di noi… E non mitragliano. E non lanciano bombe… Che vuol dire questo? Una squadriglia di I-15 e di I-16 che più tardi il popolo chiamerà affettuosamente “rincagnati” o “mosche”, vola rapida, incrociando nel cielo di Madrid, quasi a guardia della città, e saluta la popolazione profondamente impressionata. Sulle ali degli aerei che si abbassano in segno di omaggio ai combattenti sta la bandiera repubblicana. Il momento è indescrivibile. Un grido immenso di gioia, di entusiasmo, di sollievo, uscito da migliaia di gole sale dalla terra al cielo, accoglie e accompagna l’apparizione dei primi aerei sovietici nel cielo della nostra patria, sentinelle vigilanti che impediscono al nemico di avvicinarsi.
– Sono aerei sovietici!…Sono nostri…nostri! Nostri»
La carriera politico-letteraria di M.E. Kol’cov all’interno giornalismo sovietico prima della Guerra Civile Spagnola
L’attività giornalistica di Kol’cov sin dagli esordi si contraddistinse per la partecipazione diretta a ciò di cui scrive e per lo spirito di avventura sprezzante del pericolo che ritroveremo nel Diario.
I mezzi d’informazione, in particolare la stampa nella società post-rivoluzionaria erano concepiti dalla dirigenza sovietica come uno dei più efficaci strumenti di educazione di massa, in cui si instaurava una dialettica virtuosa tra la dirigenza politica, l’apparato intellettuale e i fruitori della produzione intellettuale, in particolare giornalistica.
Allo stesso tempo, fissato con rigore il margine entro cui la critica risultava legittima e quello oltre il quale si sconfinava nel campo dell’ “inimicizia ideologica”, la critica, spesso in forma di satira, in quanto tentativo di “raddrizzamento” delle storture del sistema in costruzione era una pratica intellettuale quotidiana molto apprezzata dal grande pubblico, di cui gli intellettuali non solo quindi interpretavano i bisogni, ma ne divenivano i vettori in direzione della dirigenza.
È importante sapere che l’effetto della censura determinò la comparsa di un determinato tipo di giornalista che sapeva muoversi nella sottile linea di demarcazione tra “permesso” e “proibito”, e la creazione di un lettore che era capace di leggere il messaggio nascosto tra le righe, così come di una leadership attenta a carpire il senso del messaggio nascosto.
Allo stesso tempo la stampa divenne uno strumento di comunicazione indiretta con il mondo politico estero, da cui i circoli di potere occidentali potevano attingere per comprendere l’orientamento della politica estera sovietica.
E’ all’interno di questa cornice che va collocata l’importanza della produzione giornalistica di Kol’cov.
Per ciò che concerne il Diario, oltre alla sua funzione nei confronti del grande pubblico va aggiunta quella un messaggio interessato di valorizzazione del proprio operato e di indispensabilità del proprio profilo che l’autore indirizza alla dirigenza sovietica in un periodo di incertezza sul proprio futuro.
« Gran parte del libro» afferma giustamente Ol’ga Novikova «è una riflessione sugli insegnamenti della Guerra Civile Spagnola e sulla guerra del futuro. [l’autore] scriveva per preparare i futuri soldati sovietici a ciò che poteva attenderli nel futuro, e per educarli, come un buon commissario, sugli esempi di valore mostrati dai combattenti in Spagna»
Negli anni Trenta diviene una delle figure di spicco della cultura sovietica e come presidente del comitato per l’estero dell’Unione degli Scrittori – istituita nel 1932 – svolge un ruolo chiave nella diffusione della nuova politica “frontista” del movimento comunista internazionale.
Nel 1934 era stato I. Erenburg a scrivere a Stalin proponendogli di creare una Associazione di Scrittori Antifascisti su una base il più ampia possibile, e capace di convertirsi nel centro del futuro movimento anti-nazista europeo.
Il Primo Congresso degli Scrittori sovietici del 1934 a cui parteciperanno numerosi scrittori stranieri, tra cui A. Malraux e A. Gide, sarà il laboratorio in cui, in un clima di guerra sempre più imminente, si getteranno tra l’altro le basi per la missione della produzione letteraria sovietica a venire.
Da allora, il tentativo di raccordo tra l’intelligencija sovietica e gli esponenti della cultura sinceramente democratica dei paesi occidentali diviene un aspetto rilevante della politica culturale sovietica, parte integrante della propria politica estera, e le figure che si adoperano in questa “missione” assumono un ruolo sempre più rilevante.
Il Congresso Internazionale degli Scrittori Antifascisti in Spagna
L’autore del Diario è uno degli animatori principali del Congresso Internazionale degli Scrittori per la Difesa della Cultura, che si tiene nel 1935 a Parigi. Ignari di quello che sarebbe accaduto alla giovane repubblica iberica, i promotori del Congresso, scelsero la Spagna come la prossima méta di tale appuntamento. Così nel luglio 1937 prima in Spagna (Valencia, Madrid, Barcellona) e poi a Parigi, dove terminò il 17 dello stesso mese, si svolse quello che venne chiamato Congresso Internazionale degli Scrittori Antifascisti.
Questo secondo appuntamento fu per la studiosa Giuliana Benvenuti: «un occasione unica per risvegliare l’opinione pubblica internazionale e chiedere solidarietà alla causa repubblicana. Non pare una forzatura sostenere che questo evento rappresentò il più spettacolare atto di propaganda realizzato dalla Spagna repubblicana durante la guerra civile».
Il fine di questo consesso di scrittori era persuadere gli organismi internazionali ad aiutare concretamente la Repubblica, abbandonando l’ipocrita politica di neutralità delle democrazie occidentali. I partecipanti erano animati dalla giusta convinzione che in Spagna si stesse combattendo una guerra cruciale per il destino d’Europa e del mondo, Brecht lucidamente disse: «I dittatori fascisti esportano oggi per i proletariati stranieri i metodi precedentemente applicati al proletariato del loro paese».
Alcuni scrittori decisero di dare il proprio contributo attraverso gli strumenti specifici del proprio lavoro, altri come A.Malraux, G.Regler, L.Renn – che vennero accolti da vere e proprie ovazioni durante il Congresso – scelsero di combattere con le armi in pugno.
Al Congresso si discusse anche della salvaguardia del patrimonio artistico spagnolo e del “caso Gide”.
Le relazioni e gli interventi vennero in gran parte pubblicati nelle riviste «Hora de España» e «El Mondo azul».
Come ricorda Erenburg nella sua autobiografia: «i fascisti schernivano per radio il congresso. Tuttavia, la notte dimostrarono per noi un certo interesse: presero sotto il fuoco della loro artiglieria il centro di Madrid»
La risoluzione finale del Congresso proclamava:
In accordo con i principi e le risoluzioni del Primo Congresso della loro Associazione, gli scrittori di 28 nazioni riuniti per il Secondo Congresso […]
- Proclamano che il principale nemico della cultura, che essi hanno il compito di difendere è il fascismo
- Si dichiarano a combattere con tutti i mezzi a loro disposizione contro il fascismo […]
- Affermano che nella guerra attualmente iniziata dal fascismo contro la cultura, la democrazia, la pace e la felicità e il benessere dell’umanità in generale, nessuna neutralità è pensabile […]
Ed infine essi affermano, in modo irrefutabile, la loro incrollabile fiducia nella vittoria del popolo spagnolo.
Questa simbiosi necessaria tra cultura e azione è ben espressa sempre da Erenburg, in un articolo: un discorso non pronunciato uscito per il «Mundo obrero» dell’8 luglio: «Siamo entrati in un’epoca d’azione. Chissà se i libri che molti di noi hanno in mente di scrivere verranno mai scritti. Per anni, forse per decenni, la cultura si trasformerà in un campo di battaglia. Potrà nascondersi nei rifugi, dove prima o poi la coglierà la morte. Ma potrà anche passare all’offensiva».
Nel febbraio ’38, in una situazione militare ben più compromessa, venne scritto un appello di 150 intellettuali spagnoli tra cui Picasso, Miró, Alberti, Machado, «agli intellettuali di tutti i paesi affinché lavorassero incessantemente a favore del popolo spagnolo in lotta non solo per la propria difesa ma anche per la cultura universale e la libertà».
Un grido d’aiuto che non troverà ascolto nelle cancellerie delle democrazie occidentali, un errore di calcolo nella Realpolitik che verrà pagato a caro prezzo – da lì a poco – non solo dal popolo spagnolo, e che renderà vana l’esortazione di Brecht: La cultura che da qualche tempo (troppo) ha avuto solo le armi dello spirito per difendersi contro le armi materiali dei suoi aggressori, questa stessa cultura non è unicamente un emanazione dello spirito, ma anche e soprattutto qualche cosa di materiale. Si tratta di difenderla con le armi materiali.
L’URSS e la Guerra Civile Spagnola
L’apertura parziale degli archivi sovietici a cominciare dagli anni ‘90 ha permesso una ricostruzione più rigorosa della politica dell’Unione Sovietica nei confronti della Spagna repubblicana minacciata dal golpe franchista e del dibattito all’interno della dirigenza sovietica nei suoi vari organi di potere rispetto alla politica da intraprendere nei confronti del paese iberico. Altri studi, basati sulle nuove fonti documentali acquisite, suggeriscono una relazione molto più complessa tra il potere e la società in URSS nel periodo tra le due guerre mondiali, di quanto ci abbiamo “tramandato” le semplificazioni stereotipate della “Guerra Fredda”.
Se da un lato attraverso le ricerche svolte è stato possibile accertare la valenza strategica dell’intervento sovietico nella difesa della giovane repubblica iberica, dall’altro è stato possibile definire l’importanza che le sorti della Spagna rivestivano per la popolazione sovietica, cioè di come un universo sconosciuto ai più diventi improvvisamente una parte essenziale della propria esistenza.
Le carte topografiche della Spagna in cui veniva rappresentata l’evoluzione della situazione del conflitto apparse nelle varie città dell’URSS, le generose donazioni del popolo sovietico per gli aiuti destinati alla Spagna, le conversazioni quotidiane su ciò che avveniva nel paese iberico, la presenza della Guerra Civile Spagnola nelle opere intellettuali sono tutti aspetti presenti nell’abbondante memorialistica del periodo di cui disponiamo.
Se la notizia del golpe militare di Franco ha un peso molto relativo sulla stampa sovietica a ridosso di quell’avvenimento, il 4 agosto 1936 la narrazione giornalistica degli avvenimenti spagnoli ha una svolta, incominciando ad occupare un ruolo centrale.
La mobilitazione spontanea della classe operaia sovietica al fianco della giovane Repubblica Spagnola nella Piazza Rossa, e il tenore delle preoccupazioni espresse dalla popolazione nei confronti del concretizzarsi dell’ipotesi di trovarsi alla vigilia di un nuovo conflitto mondiale, avevano contribuito al salto di qualità dell’informazione.
Nell’anniversario dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, il primo agosto, era stato Karl Radek a dare voce a questo sentore comune sulle pagine dell’ «Izvestija».
Gli avvenimenti spagnoli fecero quindi da catalizzatore per le ansie nei confronti di un possibile scoppio di altra guerra mondiale di cui il colpo di stato franchista sembrava l’incipit, in un contesto in cui le vicende spagnole vennero presto “sentite” e interpretate dai più attraverso i trascorsi relativamente recenti della guerra civile in Russia, in una naturale identificazione con le sorti del popolo spagnolo che cementò la relazione empatica tra il proletariato dei due paesi.
Ben presto la necessità a tutto campo di avere notizie attendibili dalla Spagna spinse l’informazione sovietica a inviare una serie di corrispondenti e di avvalersi di una serie di contributi,, tra i quali: Ovidij Savič (per la TASS e poi per l’«Izvestija». con lo pseudonimo di “José Garcia”), Vladimir Antonov-Ovseenko, vecchio bolscevico e console a Barcellona (che scriverà per «Izvestija» con lo pseudonimo di “Šved”), M.S. Helafnda (TASS) poi Mironova che diresse l’Associazione Sovietica di Periodici e Riviste: «Žurgaz» e M.K. Rozenfel’d e la seconda moglie di Kol’cov, Elizaveta Ratmanova per il giornale dell’organizzazione giovanile comunista «Komsomol’skaja Pravda».
Inoltre sulla Spagna venivano riprodotti in URSS articoli di una quarantina di testate straniere.
Alla fine del 1936 la casa editrice del PCUS pubblicò un opuscolo di 64 pagine intitolato: La Spagna Eroica, con una tiratura di 100.000 copie che era destinato ai propagandisti per le riunioni nelle fabbriche, nei granai collettivi, nelle officine affinché venissero date le necessarie delucidazioni su ciò che stava avvenendo nel paese iberico, offrendo con una rigorosa analisi della storia recente della Spagna.
In generale si mobilitò tutta l’intelligencija sovietica del tempo: dal famoso compositore Dmitrij Šostakovič, a Michail Bulgakov che scrisse un adattamento del Don Quijote, per cui studiò lo spagnolo, Osip Mandel’štam, che studiò anch’egli il castigliano, leggendo i poeti ebraici spagnoli da una antologia pubblicata qualche anno prima che ebbe un discreto successo…
Nei cinema, i cine-documentari che precedevano la visione del film, riguardavano la Spagna: vennero prodotti ben 22 filmati dall’appena trentenne regista Roman Karmen e dall’operatore B. K. Makaseev.
Il pubblico sovietico ebbe a disposizione quindi una variegata mole di informazioni: ma furono due giornalisti Kol’cov e Erenburg, che esercitarono una maggiore influenza nella formazione della percezione degli avvenimenti spagnoli.
Non bisogna dimenticare il fatto che per ciò che concerne l’elaborazione militare, la guerra civile spagnola fu un nodo rilevante delle riflessioni teoriche e delle sperimentazioni tattiche dell’esercito prima della Grande Guerra Patriottica
In Spagna
Kol’cov è stato il primo corrispondente sovietico a raggiungere la Spagna dopo lo scoppio della guerra civile, spendendo il suo primo “dispaccio” la sera stessa del suo arrivo a Barcellona nell’agosto del ’36. Cinque anni prima aveva visitato la giovane repubblica spagnola, incontrando a Bilbao i dirigenti comunisti Dolores Ibarruri e José Díaz, e dando alle stampe nel 1933 il volume Primavera Spagnola.
Cosa significasse la Spagna per uomini come l’autore del Diario lo esprime magistralmente, l’altro grande corrispondente sovietico della guerra civile spagnola, Il’ja Erenburg:
«Nell’Europa degli anni trenta, inquieta e umiliata, era difficile respirare. Il fascismo avanzava e avanzava impunito. Ogni stato, come del resto ogni persona, sperava di salvarsi, di salvare soltanto se stesso, di salvarsi a qualsiasi costo, tacendo o magari pagando un riscatto. Anno da piatto di lenticchie… Ed ecco si era trovato un popolo disposto ad accettare la sfida. Non riuscì a salvarsi, non salvò nemmeno l’Europa, ma, se per le persone della mia generazione le parole “dignità umana” hanno ancora un senso, dobbiamo ringraziare la Spagna. Essa diventò l’aria che respiravamo. »
Un ricordo particolare del significato della Guerra Civile Spagnola, ce lo consegna nella sua autobiografia Anni interessanti, il più grande storico marxista del Novecento, Eric Hobsbawm – nonché autore di un imprescindibile saggio sugli intellettuali e la guerra civile spagnola.
Lo storico, allora militante comunista, afferma:
«Non che una possente oratoria non ci commuovesse e non ne riconoscessimo l’importanza nelle occasioni pubbliche e nel “lavoro di massa”; ma i discorsi non occupano molta parte dei miei ricordi comunisti, tranne uno a Parigi nei primi mesi della guerra civile spagnola tenuto dalla Pasionaria: una grande figura nera negli abiti vedovili che parlava nel silenzio teso e carico di emozioni di un Vélodrome d’Hiver zeppo fino all’inverosimile. Anche se quasi nessuno tra il pubblico conosceva lo spagnolo, capivamo perfettamente quello che ci stava dicendo. Ricordo ancora le parole “y las madres, y sus hijos” che si levavano lentamente dai microfoni sopra di noi, come alberi neri»
Mentre un interessante testimonianza di un giudizio più “privato” sul significato del Fronte Popolare come occasione tangibile di riscossa, ce l’ha lasciata Vittorio Vidali, uomo di punta del Comintern in Spagna prima come organizzatore del Soccorso Rosso Internazionale e poi organizzatore del “Quinto Reggimento” sul quale verrà rimodellato il nuovo esercito Repubblicano. Scrive Vidali in alcune lettere ad un proprio conterraneo, il comunista Ivan Regent:
« […] Vivo in un paese magnifico. Qui il fronte popolare ha vinto. Il giorno dopo, senza aspettare decreti e leggi, si sono spalancate le porte di tutte le carceri. La amnistia è stata data quando non c’era più un cane in prigione. Ti assicuro che io non ho goduto mai tanto in vita mia. Alcune vittorie come questa e il SR è liquidato. Io sono diventato più grasso. Ingrasso anche per soddisfazione. Gli spagnuoli non sono ancora contenti. Fanno scappare i parroci e le monache, prendono la terra senza aspettare la riforma agraria, bruciano le chiese dove si riuniscono i fascisti ecc. È simpatico tutto questo […] »
E in un’altra lettera
« […] Vivo una realtà magnifica, piena di eventi, carica di elettricità. In questo bel paese, un giorno si concentra la vita di secoli, la locomotiva corre con una celerità mai conosciuta, è un intero popolo che vola in aeroplano […] »
Senza questo inquadramento su cosa significasse per un comunista la Spagna della Guerra Civile non è comprensibile appieno il significato dell’operato di Kol’cov.
Il dibattito storiografico sul vero ruolo di Kol’cov in Spagna, rispetto alla sua effettiva importanza è tutt’ora aperto, ed è un giudizio che varia già nelle differenti testimonianze di coloro che – suoi conoscenti e co-protagonisti a vario livello delle vicende spagnole – ci hanno lasciato una testimonianza scritta.
Non sono pochi coloro che ne diedero un giudizio simile a quello di L. Fischer che lo considerava: «gli occhi e le orecchie di Stalin in Spagna».
Anche senza quest’enfasi gli viene comunque riconosciuto un ruolo di primo piano, «uno dei tre più importanti uomini in Spagna» secondo la celebre affermazione di H.Hemingway – a cui proprio allo scrittore sovietico si ispirò per il personaggio di Karkov nel romanzo Per chi suona la Campana o per parafrasare Eremburg che parla di Kolt’cov nella sua autobiografia, senza il quale non è immaginabile il primo anno della Guerra Civile Spagnola. Per altri l’attività a cui era stato designato M. Kol’cov non andava oltre quella giornalistica, come sostiene il fratello Boris Efimov, celebre illustratore sovietico, o come per il regista Roman Karmen per cui la loro amicizia ha costituito «un apprendistato impagabile di giornalismo militante».
E proprio il celebre regista sovietico, autore del libro di memorie sulla Spagna No Pasaran!, la cui produzione documentaria attraverserà la Grande Guerra Patriottica e giungerà fino al colpo di stato in Cile del ’73, ci ha lasciato questo vivido ritratto di Kol’cov che era in grado: «di scrivere quaranta righe con una velocità impressionante, e con un osservazione acuta, puntuale e ponderata rendere un perfetto quadro della situazione politica.»
Certamente il livello di “entrature” di cui godeva e la disponibilità di relazioni con le figure più significative del campo antifascista suggeriscono un accreditamento che travalicasse quello di un semplice corrispondente di guerra. I dialoghi, le interviste e i giudizi espressi nei confronti delle figure politiche, militari e culturali più importanti della Guerra Civile Spagnola presenti nel Diario ne sono una eloquente testimonianza.
Tra l’aprile e maggio del ’37 ritorna a Mosca dove la notte del 15 aprile parla con Stalin in persona e con i suoi più stretti collaboratori, per poi ripartire per la Spagna con il compito di organizzare il Congresso internazionale degli Scrittori Antifascisti che si sarebbe aperto a Madrid il 4 luglio 1937.
Intanto erano cominciati i suoi dissapori con André Marty che già nel 1937, secondo la testimonianza del nipote di Kol’cov, aveva inviato a Stalin il “rapporto” in cui Kol’cov era incolpato di tenere rapporti con le organizzazioni trockiste spagnole, mentre la sua compagna, Maria Osten, veniva accusata di essere un agente segreto del controspionaggio tedesco.
Torna in URSS all’inizio di novembre del 1937 dove incontra Stalin ben due volte – il 9 e il 14 novembre – ; qui fu insignito dell’Ordine della Bandiera Rossa, eletto membro del collegio redazionale della “Pravda”, membro-corrispondente dell’Accademia delle Scienze dell’URSS e deputato del Soviet Supremo dell’URSS.
Se la definizione esatta del profilo di Kol’cov in Spagna è una questione aperta, allo stesso modo è tuttora dibattuta la figura di Miguel Martinez, il personaggio d’invenzione che appare nel Diario e che nella finzione narrativa dello scrittore sovietico è un veterano della guerra civile messicana che riveste importanti ruoli politico-militari. I giudizi storici divergono se considerarlo un semplice alias letterario dell’autore in versione di consigliere politico-militare, nonché combattente, o se rappresenti una sorta di “contenitore collettivo” che incarna differenti consiglieri sovietici realmente esistiti (tra cui Grugulevič e B.Gorev) e Kol’cov stesso, i quali per esigenze politico-militari non potevano apparire con i loro nomi e le loro funzioni.
Questi profili si sono svelati nel corso del tempo, una volta venuta a meno la necessità di segretezza di chi aveva partecipato all’Operazione X, varata dall’ufficio politico del Partito Comunista dell’URSS il 29 settembre del 1936.
Quel che è certo, seguendo il giudizio di Paul Preston, incline a relativizzarne in parte il giudizio di contemporanei e storici, è che «Kolt’cov svolse un ruolo in Spagna che andò ben al di là dei suoi compiti giornalistici» e fu «completamente devoto alla causa della Repubblica».
Ci sono due episodi estremamente rilevanti, che vanno citati, in cui M.Martinez – qualunque identità reale incarnasse e quindi probabilmente Kol’cov – esercita un ruolo chiave, il primo per le sorti di Madrid assediata nel novembre del ’37 e l’altro per la strutturazione del nuovo esercito repubblicano.
Martinez esercitò un influente pressione per la realizzazione dell’avvenuta evacuazione (ed esecuzione) dei prigionieri franchisti detenuti nelle carceri madrilene durante l’assedio ad inizio di novembre, per prevenire la possibilità che agissero come “Quinta Colonna”, allargando in città le fila dei ribelli agli ordini di Franco.
Questa risoluzione del problema è uno degli episodi più “discussi” della Guerra Civile, e per così dire fa da contraltare alla mancata conquista repubblicana dell’Alcazar assediato a Toledo a causa della “magnanimità” di comportamento (o scarsa risolutezza a seconda dei punti di vista), poi non ricambiato, con cui gli assedianti “trattarono” i franchisti, avvenimento che ha avuto l’autore del Diario tra i diretti partecipanti.
Inoltre, Martinez ha un ruolo decisivo nella creazione del sistema dei “commissari politici” mutuato dall’organizzazione dell’Armata Rossa durante la guerra civile.
La coincidenza, con il ruolo svolto da Kol’cov, non sembra essere peregrina, considerato il fatto che scriveva per Militia Popular, il giornale del “Quinto Reggimento”, intratteneva ottime relazioni con E. Lister e aveva fatto tradurre proprio dall’edizioni del “Quinto Reggimento” il suo libro Hombres del Ejército Rojo, (Uomini dell’Armata Rossa).
In generale si può dire che Kol’cov era un uomo dalle capacità poliedriche, dedito all’azione e che non si tirava indietro soprattutto quando vedeva un “vuoto” da riempire nelle numerose falle dell’organizzazione politico-militare repubblicana, talvolta andando probabilmente al di là dei compiti affidatigli, grazie alla stima di cui godeva, all’ottimismo che diffondeva tra il morale delle truppe e all’autorevolezza con cui agiva.
Una situazione perfettamente descritta da un racconto di Hemingway, che in “Night Before Battle”, parlando del volontario nord-americano comandante dei carristi in Spagna il giorno prima di un offensiva disperata (sia per la situazione sul campo che per l’inesperienza delle truppe da lui comandate) per rompere l’accerchiamento a Madrid, scrive: « Se tu non l’avessi conosciuto piuttosto bene, e non avesti visto il terreno dove doveva attaccare il giorno dopo, avresti pensato che era molto in collera per qualcosa. Dentro di sé, chissà dove, credo che fosse in collera, molto in collera. Si va in collera per un sacco di cose e una di queste cose è il pensiero di morire inutilmente. Ma poi, dico io, al momento dell’attacco essere in collera è forse il miglior modo di essere.»
Nell’aspro conflitto, foriero di tragiche conseguenze, all’interno delle formazioni politiche comuniste in Spagna, Kol’cov fu un feroce detrattore del ruolo del POUM, credendolo direttamente influenzato da Trockij stesso, giudicando questa formazione asservita a Franco e ai suoi alleati e dedicandogli un opuscolo dal titolo eloquente: Prove del tradimento trockista, pubblicato a Barcellona nel ‘37. Le pubbliche denunce del corrispondente sovietico vennero riprese dalla stampa comunista internazionale, alimentando quel clima di sospetto nei confronti degli oppositori di “sinistra” alla linea ufficiale del PCUS e dei suoi partiti “fratelli”. Non meno nette erano le prese di posizione “anti-frontiste” da parte di Trockij sugli avvenimenti spagnoli e le sue accuse alla dirigenza sovietica, tacciata di essere “controrivoluzionaria”.
È singolare però che nel Diario, il POUM e il trockismo in Spagna sembrano essere più oggetti di scherno e ritenuti perlopiù ininfluenti, e vengano citati un numero limitato di volte.
La battaglia contro la “Quinta Colonna”, e degli uomini che in tale senso si adoperano è “celebrata” da Kol’cov che ne elogia l’operato già prima dell’esperienza spagnola in linea con tutti gli organismi del movimento comunista internazionale che facevano capo a Mosca.
Come ha scritto Paolo Spriano, nel capitolo dedicato a la «vigilanza rivoluzionaria» della sua Storia del Partito Comunista Italiano: «fa una certa impressione constatare quanto rilievo prenda, quante energie impegni e quindi storni da ben altre urgenze la «lotta al trockismo» sulla stampa comunista internazionale nel 1938, l’anno drammatico dell’ Anschluss, della lenta agonia della repubblica spagnola e soprattutto di Monaco.»
Voglio concludere questo modesto contributo ad una delle figure più importanti e sottostimate, o praticamente ignorate, come in Italia, del “giornalismo di guerra” novecentesco, con un epitaffio che riprende i versi di un grande poeta sovietico che ben si addicono alla tempra del personaggio:
Se voi aveste avuto la mia stessa fame
avreste rosicchiato l’orizzonte
da Oriente a Occidente
come rosicchiano l’osso del firmamento
le fauci affumicate delle fabbriche
Vladimir Majakovskji
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