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Gli ultimi figli d’Europa

E’ un vero peccato che oggi non ci siano più registi del calibro di Mario Monicelli, Pietro Germi o Dino Risi, in grado di prendere in mano un romanzo come questo e trasformarlo in uno dei grandi classici della commedia all’italiana e che, dietro al sorriso e all’umanità della narrazione, avrebbero saputo rivelare l’amarezza delle vite dei protagonisti e i drammi dall’esito incerto di una società in via di smantellamento.

Una vicenda che procede per cerchi concentrici: dal dramma individuale a quello famigliare a quello sociale, locale e internazionale; da quello dei sogni racchiusi in attività lavorative in attesa di essere definitivamente soppresse a quelli legati ad attività in proprio destinate a morire ancor prima di nascere; da quello delle speranze giovanili infrante ancor prima di essere espresse a quello delle speranze degli adulti riposte un tempo nel sindacato, nel partito o semplicemente in una vita onestamente vissuta e sudata.

Si piange e si ride, proprio come negli esempi migliori della commedia all’italiana, assistendo alle vicende di Pasquale Altiero, di sua moglie Lucia, del figlio Gabriele, del kebabbaro Mustafà, di suo figlio Karim e degli innumerevoli altri personaggi che popolano le pagine del romanzo di Iozzoli. Personaggi che vanno dal tossico senza speranza destinato a morire all’alba sulle rive del fiume Secchia ai pensionati appassionati delle canzoni di Toni Santagata e dallo stesso Santagata a Abu Bakr Al Baghdadi. Tutti hanno storie da raccontare, tutti sperano in questo modo di dare un senso alle loro vite e di lasciare traccia di sé in un mondo che già non si ricorda più di loro mentre sono ancora in vita.

Tutti tranne i due giovani adolescenti, allo stesso tempo ideali e concreti, rappresentanti di quegli ultimi figli d’Europa che, da Modena a Molenbeek, dalla Siria a Bruxelles a Bologna o a qualsiasi altra città europea, non hanno nulla da ricordare e ben poco in cui sperare, così implacabilmente diretti come sono verso un futuro oscuro e incerto che rischia di trasformarsi, in qualsiasi momento, in un irresistibile vortice in grado di farli sprofondare sia nel buio dello Stato islamico e dei suoi profeti che nel buco nero rappresentato dal consumo di eroina e di crack.

Giovanni Iozzoli, giunto al suo quarto romanzo, è stato tra i fondatori dell’esperienza di Officina 99 a Napoli, da ventiquattro anni vive e lavora a Modena, della cui provincia è diventato allo stesso tempo il cantore e il cronista, e con il suo terzo romanzo, La vita e la morte di Perzechella (edito sempre da ARTESTAMPA), ha vinto nel 2016 il primo premio alla trentatreesima edizione del concorso Città di Cava de’ Tirreni.

Il suo attuale romanzo piomba dritto come una bomba su quelle province dove un tempo regnava il PCI, la terra delle coop rosse e degli imprenditori che erano usciti dalla classe operaia e dove oggi, da Brescello a tanti altri comuni grandi e piccoli, lo scettro è passato ad altri partiti, ad altre promesse che pure affondano le loro radici in quella distorsione di un immaginario collettivo e politico iniziata già dai contemporanei di Peppone e Don Camillo.

Il sogno dell’integrazione formale tra classe operaia e impresa, tra lavoro e capitale ben temperato, tra immigrati e residenti (che spesso hanno dimenticato le loro origini di immigrati), tra partito e società è fallito e non è rimasto nulla con cui sostituirlo se non rancore, desideri insulsi, mutui sempre più difficili da pagare oppure un nichilismo individualistico che non comprende neppure di essere tale.

Viaggia con leggerezza e amarezza lo scrittore tra i flutti di una mareggiata che viene da lontano e che non finirà presto e, quasi unico negli ultimi anni, sa raccontarci una storia italiana e globale, generazionale e sociale senza cadere nel dramma ad ogni costo o nella narrazione intimistica di una vicenda meramente individuale.

Non viaggia in superficie l’autore, ma si tuffa nel mondo di oggi senza farci annegare e senza soffocare i suoi personaggi in un mare di banalità o di retorica, giocando sapientemente con gli artifici della narrazione e rivelandoceli poco a poco con ironia e intelligenza. Riuscendo a far sì che, ancora una volta, sia la letteratura a fornirci la chiave interpretativa più utile per provare a comprendere il mondo che ci circonda. Feroce, comico, drammatico, complesso o in qualunque altro modo lo si voglia definire.

  • Giovanni Iozzoli, Di notte nella provincia occidentale, Edizioni ARTESTAMPA, Modena 2018, pp. 272, € 17,00
  • da Carmilla online

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