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Roma. “Vogliamo la libertà, una vita nelle Pantere Nere” verso il Collision Fest

Domani, 13 aprile, alle 18.30 presso il Sally Brown Rude Pub, il Collision fest – Rompere l’equilibrio, festival della Rete dei comunisti e di Noi restiamo , alla sua prima edizione nel 2018 , presenta “Vogliamo la libertà, una vita nelle Pantere Nere”, co-tradotto e curato da Giacomo Marchetti.

Questa presentazione è stata scelta per aprire il Collision fest – che si terrà il 18-19-20 maggio al centro sociale Intifada – per le parole con cui Mumia Abu-Jamal termina il libro: “Mi sorprende che oggi ci siano così poche opportunità per i giovani ribelli, e i giovani sono ribelli innati, per incontrarsi, parlare, pensare, scambiare esperienze”. Non poteva esserci quindi incipit migliore per un festival che si pone l’obiettivo di allargare proprio il campo di quelle “opportunità” attraverso eventi di cultura, dibattito, socialità, musica e condivisione di esperienze sul tema dell’instabile equilibrio – e l’inevitabile collisione – tra gli interessi di chi sta in alto e il mondo che sta in basso, che si tratti di “giovani ribelli”, università, scuole, posti di lavoro o popoli oppressi.

L’autobiografia di Mumia ci indica che parlare oggi di un’esperienza come quella delle Black Panthers vuol dire ripercorrere un passato che ha segnato profondamente la storia degli Stati Uniti ma vuol dire anche confrontarsi con il presente di società sempre più razzializzate, con l’attualità dei movimenti di liberazione degli afroamericani e con le loro rivendicazioni. Rivendicazioni relative a questioni che, a distanza di 50 anni, sembrano cristallizzate nella società statunitense. “Vogliamo la libertà”, in questo senso, permette di seguire la traccia che da Huey P. Newton e Bobby Seale porta fino a Ferguson e a Black Lives Matter.

Vogliamo la libertà, vogliamo il potere di determinare il destino della nostra comunità nera (Primo punto del ten point plan del Black Panther Party for Self-Defence)

Il titolo del libro di Mumia Abu-Jamal riprende il primo punto del “piano dei dieci punti” del Black Panther Party. E non potrebbe fare altrimenti, considerando che più che un’autobiografia della vita di Mumia nel BPP il testo ha il risultato di ricostruire i principi delle Panthers nell’ambito della storia secolare di resistenza degli afroamericani. Solo nella postfazione la storia personale di quello che per la comunità nera è la voce dei senza voce sembra trovare un suo spazio nella storia collettiva del BPP:

La mia vita politica iniziò con il BPP. Quando una sorella meno giovane, di nome Audrea mi dette una copia del “Black Panther”, nella primavera del 1968, ne rimasi colpito. Era come se i miei sogni si fossero rivelati realtà. Lessi e rilessi la copia, voltando ogni pagina come se fossero le pagine sottili di un libro sacro. I miei occhi bevvero le immagini di giovani neri, uomini e donne, coi loro corpi slanciati vestiti di pelle nera, sul petto bottoni con parole di ribellione, resistenza e rivoluzione. Non credevo ai miei occhi nel vedere foto di neri armati che proclamavano la loro decisione di lottare per la rivoluzione nera. Passarono altri mesi prima che aderissi formalmente al BPP, ma in verità mi unii a loro quando lessi il giornale per la prima volta. Mi unii col cuore. Avevo quattordici anni.

Un anno dopo, a quindici anni, era già un giornalista per l’organo del Partito delle Pantere Nere e ancora oggi Mumia Abu-Jamal continua a rappresentare un emblema nella lotta di liberazione degli afroamericani, per il suo contributo nel BPP e per la vicenda giudiziaria che, dopo oltre trent’anni dal suo arresto, non è ancora conclusa.

Vogliamo che tutta la gente nera rinviata a giudizio sia giudicata in tribunale da una giuria di loro pari o da gente delle comunità nere, come è previsto dalla costituzione degli Stati Uniti (Nono punto del ten point plan del Black Panther Party for Self-Defence)

Nelle prime ore della mattina del 9 dicembre 1981 Mumia Abu-jamal, mentre guida il suo taxi, vede suo fratello che viene picchiato da un ufficiale di polizia. Scende ed è colpito da un proiettile nello stomaco: successivamente viene trovato in fin di vita sul marciapiede, mentre l’ufficiale è morto. Mumia viene rinchiuso con l’accusa di omicidio di un ufficiale di polizia, mentre continua a sostenere la propria innocenza. È condannato alla pena di morte il 4 luglio 1982 da una giuria totalmente bianca, escluso fisicamente dallo svolgimento del suo processo per la maggior parte del tempo e i testimoni oculari della sua innocenza non sono ascoltati.

Mumia non è né il primo né l’ultimo nero vittima della violenza della polizia e della macchina giudiziaria ma, nel suo ruolo di figura pubblica e politica, è stato assunto internazionalmente ad emblema delle lotte per la liberazione degli afroamericani e contro il sistema carcerario e giudiziario statunitense.

Oggi è fuori dal braccio della morte, ha alle spalle 36 anni di detenzione, di cui una trentina passati nel limbo che precede la pena capitale, e un passato che tuttavia rappresenta il presente di gran parte della popolazione afroamericana degli Stati Uniti.

Vogliamo la fine immediata della brutalità della polizia e dell’assassinio della gente nera – Vogliamo la libertà per tutti gli uomini neri detenuti nelle prigioni e nelle carceri federali, statali, di contea e municipali (Settimo e ottavo punto del ten point plan del Black Panther Party for Self-Defence)

Nella postfazione al libro Mumia scrive che “Il BPP può essere storia, ma le forze dalle quali nacque non lo sono. Aspettano il momento per risorgere”. E gli avvenimenti degli ultimi anni negli Stati Uniti hanno dimostrato quanto effettivamente quelle forze non siano storia. L’uccisione di Trayvon Martin, Tamir Rice, Michael Brown ed Eric Garner da parte della polizia e le proteste che da Ferguson in poi sono seguite hanno infatti riportato prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica la police brutality e gli omicidi di afroamericani ad opera delle forze dell’ordine.

I movimenti che sono nati in questi anni sono la prova del fatto che le condizioni dei neri negli Stati Uniti sono cambiate ben poco, nonostante le Black Panthers, i movimenti per i diritti civili, i Martin Luther King, i Malcom X e i presidenti neri. Il razzismo e la supremazia bianca rappresentano infatti elementi strutturali della società statunitense che si intersecano e sovrappongono con le condizioni economiche e di classe della popolazione del paese capitalista per eccellenza. E proprio in questo senso vanno raccontate e interpretate le diversità e, in alcuni casi, contraddizioni, che i movimenti di liberazione dei neri – in primis Black Lives Matter – portano con sé.

Di questi e altri spunti si parlerà domani, ore 18.30 al Sally Brown Rude Pub (via degli Etruschi 3A/B, Roma):

// Presentazione dell’autobiografia – con Giacomo Marchetti, curatore del testo (Rete dei Comunisti)

// Dalle Black Panthers a Black Lives Matter: il movimento per la liberazione dei neri negli USA oggi – in collegamento Skype dagli USA con Mario Martone (ex membro del comitato centrale di Black Lives Matter Cincinnati ora Mass Action for Black Liberation)

// Introduce e modera Marco Santopadre (Contropiano, rete dei Comunisti)

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