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Bologna 1977–1992: una avventura culturale unica

Negli anni Ottanta, fuori dal circuito delle Major, Bologna si trasforma in un laboratorio musicale creativo di grande successo. Lo hanno dimostrato i professori Raffaele Corrado, Sabrina Pedrini e Pier Luigi Sacco in un paper pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica americana Journal of Urban Affairs.

Nel paper, pensato direttamente in inglese, è stato utilizzato l’algoritmo Newman Community Detection (NCD), basato sulla modularity statistic, il quale, applicato all’industria musicale, ha permesso di dimostrare che esiste una relazione diretta tra i cantanti (music-centered creative communities) e la città (urban contexts), tenuto conto anche della tendenza dei cantanti a emigrare dal paese (Zocca) in posti dove c’è più gente e più locali dove suonare (tendency to aggregate into dense, place-based relational networks). Nella letteratura di riferimento, questo fenomeno di aggregazione è stato chiamato music scene (scena musicale).

Questa scena, dice il paper, seppur fortemente territorializzata, per effetto di Vibrancy, Spatiality, Placeless, Trans-locality, produce evidenze metriche che, elaborate dall’NCD, dimostrano che (traduzione mia) non esiste una formula semplice che può prevedere in modo esaustivo se una certa città diventerà o rimarrà culturalmente vivace in un dato tempo futuro, e ciò in quanto le ragioni dietro i successi e gli insuccessi sono sfuggenti.

Detto ciò, il successo di Bologna, si legge nel paper, è da ricondurre all’ambiente giovanile e al fascino delle proteste del 1977, ma soprattutto al fatto che (traduco alla buona) le maglie sociali erano lasche e permettevano alle ballotte un certo cazzeggio.

Cazzeggio che durò fino al 1992, cioè fino a quando, dato “a new policy cycle”, l’urban laboratory (sic!) venne smantellato per effetto di pratiche neo-liberiste che hanno portato alla “securitization” (cartolarizzazione) della maggior parte del centro storico, consentendo ai nuovi proprietari di prendere a calci nel sedere i quattro reduci Punkabbestia che scorrazzavano lungo la T (traduzione google leggermente modificata).

Sia come sia, dividendo il cluster in 4 sottogruppi (cluster analysis) i ricercatori hanno ottenuto una matrice binaria A di 64×248, dove A è uguale a 1 se il cantante è stato coinvolto nella realizzazione dell’album considerato (I), altrimenti è pari a 0 (zero), eccetera.

La computazione meccanica dei dati ha portato alla conclusione che nel periodo di tempo considerato (77-92) i cantanti Francesco Guccini, Vasco Rossi, Lucio Dalla, Gianni Morandi, Stadio, Skiantos, Luca Carboni, Angela Baraldi, Biagio Antonacci hanno collaborato tra di loro, oppure si sono scambiati i turnisti o i parolieri, eccetera.

La ricerca dà per acquisto un dato incontrovertibile, e cioè che l’Università di Bologna (Unibo), a partire dalla fine degli anni 60, quando il totale degli iscritti era pari a 18.500 studenti, e soprattutto negli anni 80, ha attirato una massa sempre più consistente di studenti, fino a raggiunge nel 2002 il picco di 101.903 studenti.

Niente male per una piccola città di provincia, che ha incassato una trasformazione che l’ha portata ad avere uno studente universitario ogni 3,5 adulti senzienti.

Come si vede dai numeri, si tratta di un fenomeno sociologico tutt’altro che secondario.

Questi studenti, probabilmente, contribuirono al successo della music scene. La ricerca non lo dice, e io mi guardo bene dal suggerirlo.

Cosa ha attirato questi studenti verso la capitale della contestazione, oltre a Fascino77, propiziato dal fiume di inchiostro versato per imbalsamarlo?

Gli studenti – lo dico in italiano e senza sostegno statistico – sono stati attratti dalla promessa di emanciparsi da quel mondo di contadini, braccianti, muratori, meccanici, bidelli, manovali al quale appartenevano i loro genitori che pagavano gli affitti e i libri.

Negli anni Novanta, quando cominciò a diventare chiaro che la promessa di un posto di professore associato di filosofia, di Ingegnere elettromeccanico, di avvocato coi soldi o di amministratore delegato di qualche azienda milanese, era una promessa da marinaio, e che anche i posti di ripiego, come maestro alle elementari o professore alle superiori, cominciavano a scarseggiare, e che l’esercito di riserva era formato da più di un milione di disoccupati intellettualmente formati dallo Stato; quando anche il Movimento della Pantera, diventato famoso con lo slogan Privatizzare è prima di tutto Privare, nonostante il clamoroso successo, non poté niente contro l’evidenza macroeconomica che il sistema industriale italiano non poteva assorbire quel mare di intelligenza libera e fresca; quando ci si rese conto di tutto ciò, era ormai troppo tardi, si era andati troppo avanti, ci si era compromessi con la difesa di un sistema che aveva cooptato ed emancipato solo un pugno di fortunati.

Nel frattempo, contro ogni evidenza, anche di reddito dei cittadini, le iscrizioni all’università sono continuate ad aumentare. Nel 2004-05 gli iscritti sono stati 1.376.088. Nel 2018-19 gli iscritti sono diventati 1.763.614.

Mentre Bologna perdeva iscritti (68.301 nel 2004), le università del sud esplodevano. Salerno passava dai 24.783 iscritti del 2004 ai 35.782 del 2018, e la Federico II, nello stesso periodo, da 59 mila a 76.282 iscritti.

Forse i giovani preferiscono polleggiarsi all’università, piuttosto che patire l’infamia della disoccupazione, preferiscono leggere paper impapocchiati in inglese, da professori che, pur di aver un like (una citazione), vero borsino accademico, si abbassano a scrivere emerite stronzate; forse preferiscono attendere, prendere la rincorsa, prima di abbattersi contro questa ipocrisia e metterla al tappeto.

Chiudo fornendo il doi dell’articolo. Se avete possibilità, cliccatelo, pardon!, citatelo, aiuterete i prof a scalare le classifiche mondiali.

https://doi.org/10.1080/07352166.2020.1863817

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