Tra le tante amarezze a cui ci ha costretti questo 25 aprile 2021, che non ci ha dato, per la seconda volta, l’abituale gioia di ritrovarsi a migliaia tra compagni e antifascisti, nel desiderio non solo di rinnovare la memoria, ma anche di condividere le lotte dell’oggi, si è aggiunta la notizia della morte di Milva, grande artista, cantante e attrice, che della cultura antifascista e popolare è stata tante volte interprete.
Ricordo i primi anni settanta, quando Milano era una città coinvolta e travolta dalle lotte operaie e studentesche, ma anche dalla contestazione accanita dei contenuti e delle forme della cultura borghese.
Da questa contestazione non si salvò, in molti casi, a volte a ragione, altre a torto, nemmeno lo storico Piccolo Teatro di Milano, allora gestito dalla coppia Grassi-Strehler che aveva comunque avuto il merito di riportare, nel 1947, l’antico palazzo Carmagnola a una destinazione culturale e artistica, dopo che tra il 1943 e il 1945 era stato sede degli assassini della Brigata fascista “Muti” e luogo di tortura di partigiani e partigiane.
Tuttavia, anche in quel clima di torrida contestazione, i recital brechtiani di Milva, con la regia e la partecipazione di Strehler e la memorabile edizione del 1973 dell’Opera da tre soldi, li andammo a vedere tutti.
Soprattutto quest’ultimo lavoro rimane memorabile, con un cast d’eccezione, che comprendeva Gianrico Tedeschi, Giulia Lazzarini, Gianni Agus e nei due ruoli principali appunto Milva e Domenico Modugno, chiamato da Strehler, con un intuito teatrale straordinario, a sostituire Gianni Santuccio, infortunatosi gravemente durante le prove.
Milva, sino ad allora vista soprattutto come una cantante, seppure di alto livello, di musica “ leggera”, seppe raccogliere la non facile eredità lasciata dall’interprete della versione della stessa opera, sempre diretta da Strehler, del 1956: Milly, voce e donna stupenda, impegnata interprete di canzoni popolari, della Resistenza e della mala milanese. Da quello spettacolo non seppi più distingue l’immagine di Milva da quella della brechtiana “Janny dei Pirati”.
L’impronta maschilista, presente anche nei livelli più alti della cultura, impone alla artiste di grande successo, ma di origini popolari, un pigmalione, che le avrebbe formate ed educate. Per Milva, la regola non si smentisce e si legge che lei di pigmalioni ne ebbe addirittura due: Maurizio Corgnati, diventato in seguito suo marito e Giorgio Strehler.
Tuttavia, se è vero che il grande regista del Piccolo Teatro seppe aiutare Milva a costruire un personaggio che non fosse solamente una voce, ma anche una presenza tanto magnetica sul palco, è altrettanto vero che quest’ultima contribuì ai progetti di Strehler avendo in sé doti personali e una grande sensibilità e forza che in quella collaborazione seppero dispiegarsi. Uno scambio non univoco ma reciproco che continuò sino al 1995, con il recital Non sempre splende la luna.
Fu proprio nei primi anni settanta che nacque una Milva non più solo cantante di canzonette a Sanremo (partecipò quindici volte al festival, ma senza mai vincerlo, poiché vi si adattava male) o conduttrice di programmi televisivi, ma soprattutto interprete di musica e di spettacoli di impegno e valore artistico.
Milva fu amatissima in Germania, dove tenne recital di canzoni tratte dai testi di Brecht e Weill cantando in un tedesco impeccabile ma anche, sapendosi adattare perfettamente al repertorio francese, cantò e incise molte canzoni dal repertorio di Edith Piaf, tanto che nel 2008 fu insignita del titolo di Cavaliere della Legion d’Onore Francese.
Infinite sono le collaborazioni di Milva con i grandi musicisti della seconda metà del novecento, come Mikis Theodorakis, Thanos Mikroutsikos, per un’escursione nella musica greca, e poi anche Astor Piazzolla, con cui si dimostrò ottima interprete di tango.
Tornando all’Italia, Milva lavorò con Franco Battiato, Ennio Morricone le dedicò un album, ma ebbe anche una grande e solidale amicizia con Enzo Jannacci, che le dedicò un album e una canzone dal titolo Rossa, che era, come è noto, il soprannome dato a Milva dai giornali, per la sua grande chioma di quel colore e per la sua appartenenza politica.
Un’amicizia, quella con Jannacci, che permise a quest’ultimo, durante un imprevedibile concerto (come erano sempre quelli di Jannacci) a metà degli anni novanta, al Teatro Filodrammatici di Milano, di chiamarla in causa, avendola notata tra il pubblico, con la domanda “Milva, ma tu sei ancora rossa?” ottenendo una risata e una risposta positiva.
Erano gli anni in cui da sinistra molti “intellettuali” e “artisti” trasmigravano al centro o peggio. Milva non lo fece, restò quella che nel 1964, sempre al Piccolo di Milano, aveva presentato uno spettacolo di canti partigiani che le procurò grande riconoscenza da parte di chi, in quei locali aveva subito prigionia e tortura.
Milva è stata anche interprete di musica cosiddetta “colta” poiché fu chiamata da Luciano Berio a cantare nella sua opera La vera storia, su testo di Italo Calvino, di cui non posso testimoniare perché in quei giorni costretto a letto da una varicella fuori età. Ma tale partecipazione dimostra di per sé la versatilità di Milva, capace di confrontarsi con tutti i repertori e le culture musicali.
Anche nelle sue apparizioni forse più commerciali, o comunque popular, Milva si segnalò sempre per la sua sensibilità particolare, come nell’edizione 1971 dello zuppettone televisivo Canzonissima, a cui partecipò presentando un’interpretazione, assolutamente eccentrica per quella trasmissione, della Bella Ciao delle mondine che sosteneva essere antecedente a quella partigiana. Non, è così, come è dimostrato, ma non è importante…
Nel 2010, l’annuncio di una malattia neurologica che la costrinse a rinunciare alla vita artistica e un lungo silenzio.
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