Menu

Le ragazze e il Kobo

Nel 2020 il 62,6% della popolazione italiana si è dedicata alla lettura (Istat: Rapporto annuale). Il 39,7% ha letto libri, quotidiani o altro online o su supporto digitale, il 34,6% su supporto cartaceo.

La lettura di e-book e/o libri online ha raggiunto il 7% della popolazione, soprattutto giovani, due terzi dei quali donne.

Secondo il rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2020 pubblicato da AIE, nel 2019 il numero di libri attivamente in commercio era di 1,2 milioni. Si tratta di un valore in progressivo aumento. Nel 2000 questo numero era pari è 360mila. Anche le case editrici attive sono aumentate, con 830 nuovi ingressi sul mercato.

Nel complesso, nel 2019 hanno pubblicato 86.475 titoli. Lo sviluppo del print on demand, sempre più integrato nella filiera distributiva, permette di produrre piccoli stock utili anche per titoli a bassa rotazione o di ristampare just in time richieste dalle librerie. Gli e-book pubblicati nel 2019 sono stati 48.763.

Molto elevato è stato il numero del self publishing. Le prime venti piattaforme hanno proposto 20.394 titoli, pari al 41,8% della produzione complessiva – nel 2018 era pari al 22,8% del totale.

Il self publishing di massa è un fenomeno recente, reso possibile dal crollo verticale dei costi fissi di produzione da ammortizzare su ogni copia pubblicata.

La stampa tradizionale prevede un lungo e costoso processo di lavorazione i cui costi fissi devono essere ammortizzati (caricati) in quota parte su ogni copia inviata sul mercato. Più grande è la tiratura (le copie stampate) minore è l’incidenza di questi costi su ogni libro.

A livello di grandi case editrici, che prevedono una lettura preliminare, una valutazione editoriale, una omogeneizzazione del testo (editing), una correzione della bozza, un progetto grafico, una stampa su carta e una distribuzione capillare, la produzione di un singolo titolo ha una ragione economica solo se si stampa (e vende) un numero di copie sufficienti a coprire i costi fissi e a remunerare il capitale investito. Non ci si può permettere di pubblicare titoli a casaccio. Bisogna valutare ogni testo con attenzione, se non si vuole fallire.

Con gli e-book la musica cambia. Alcuni tra i più onerosi costi di produzione (stampa e, soprattutto, distribuzione) sono eliminati. Con il self publishing ed, eventualmente, il print on demand, questi costi sono abbattuti o ridotti a un livello irrisorio, permettendo la pubblicazione indiscriminata di ogni potenziale autore.

I libri del self publishing sono realizzati su piattaforme tecnologiche (cloud computing) condivise con altri settori industriali, trattandosi di macchine fisiche capaci di virtualizzare diverse tipologie di macchine. Il loro pagamento a consumo giustifica la vendita anche di poche copie.

Inoltre, poiché i costi fissi sono irrisori, non si è costretti alle economie di scala. Si può pubblicare un autore anche quando si prevede di vendere solo 7 copie, poiché ogni singola copia copre il totale dei costi fissi sostenuti per la sua produzione, come se la copia fosse realizzata da un amanuense. L’unico costo da ammortizzare è la sua scrittura, costo accollato interamente dallo scrivano-scrittore.

In ciò non bisogna affrettarsi a vedere lo sfruttamento degli autori da parte di questi nuovi editori, come è moda consueta tra i vecchi tromboni che dominavano il mercato librario (e musicale) e che adesso si vedono sottrarre il terreno da sotto i piedi da un esercito di dilettanti – terreno che essi credevano di loro naturale proprietà.

Nell’antichità la tecnologia per scrivere libri era costituita dalla penna e dall’alfabeto. Fare dieci copie richiedeva dieci volte il tempo necessario per farne una. Seppure c’erano persone specializzate, e la scrittura (intesa come tecnologia) per funzionare doveva essere altamente standardizzata, ogni copia era diversa dalle altre, sino al punto che non esisteva una grande differenza tra scrivere un libro e copiarlo. Realizzando una copia si potevano inserire commenti, notazione, delucidazioni, e poi riprendere a copiare. Non era necessaria un’economia di scala, in quanto i costi da ammortizzare erano pressoché irrilevanti.

Le auctoritates si imposero più tardi, quando nell’alto medioevo la standardizzazione della scrittura aveva perso efficacia e i copiatori specializzatati si trovavano solo nella rete di monasteri eredi della tecnologia romana. I libri degli antichi – i classici, gli autori – diventarono modelli cui ispirasi.

L’invenzione della Macchina da stampa a caratteri mobili impose un’economia di scala. Erano necessari investimenti considerevoli, assorbiti dalla costruzione della Macchina vera e propria e dal tempo di lavoro speso nell’impostazione della macchina stessa.

In compenso, la Macchina era in grado di stampare in un tempo relativamente breve una quantità di gran lunga maggiore di copie. Per ammortizzare i costi fissi (investimenti) era necessario un mercato più ampio di quello sufficiente a mantenere la Tecnologia degli amanuensi.

Per affermarsi, questa nuova Tecnologia aveva bisogno di un imprenditore che sapesse mettere all’opera (finanziare e costruire) un tale marchingegno, ma aveva anche bisogno di un consumatore in grado di ricevere questa produzione, aveva bisogno di un mercato librario capace di assorbire un volume maggiore di libri.

Senza queste due condizioni gli Autori di libri, tanto osannati in tempi recenti, non avrebbero mai potuto pavoneggiarsi in televisione e presentarsi come l’origine di fenomeni culturali di massa, assurgere a Maître à penser, a cattivi maestri, a tragici esempi dello spirito dei tempi, a precursori o a maledette vittime del destino.

Senza un mercato di massa, creato dell’economia di scala e dalla necessità di ammortizzare i costi fissi, questi Fenomeni letterari o artistici (comprese la filosofia e l’estetica che li ha accompagnati e legittimati) non sarebbero potuti emergere.

L’uguaglianza che si riscontra nel consumo di massa è il risultato della subordinazione dell’uomo alla macchina. Ma non è la macchina in sé a produrre questo livellamento. È l’economia di scala, l’investimento e l’ammortamento. È il rapporto tra lavoro vivo e lavoro morto a creare il mistero che circonfonde l’autore contemporaneo di libri, dischi, vestiti, gourmandises, medicine o software.

La dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione sta trasformando, e in verità ha già trasformato, il quadro del mondo librario, il quale, per certi versi, sembra tornato ai tempi degli amanuensi.

I vecchi Baroni dell’Arte e dello Spettacolo, vedendosi invaso il campo da perfetti dilettanti e dopolavoristi, puntano i piedi o migrano verso altri lidi. Cercano di ricreare quella Rarità Artificiale che li ha resi famosi e riempiti di royalty.

Fuggono dal libro, fuggono dalle lingue minori – considerate ormai solo dei dialetti. Pubblicano su riviste che garantiscono un piazzamento certificato da un citazionismo d’accatto. Oppure cercano di rendere scarso, dunque costoso, un prodotto abbondante, mediante sistemi di criptazione e distribuzione che ricreano un’aura e un’autenticità farlocca (vedi NFT).

Di recente il NewYorker si è occupato della questione (newyorker.com), mostrando come le biblioteche e le scuole pubbliche americane sono costrette a spendere montagne di soldi dei contribuenti in diritti di lettura (non in volumi che rimangono in archivio) di libri digitali affetti da Rarità Artificiale.

L’anno scorso la biblioteca pubblica di Denver ha speso poco meno di un milione di dollari in libri digitali. In verità ha acquistato solo uno pacchetto di tempo di lettura di un numero determinato di testi. Esaurito il tempo, alla biblioteca non rimane niente. Nemmeno una copertina da sfoggiare in bacheca.

OverDrive, un distributore statunitense di contenuti digitali molto potente, nel 2019 ha venduto a più di cento biblioteche pubbliche americane la bellezza di un milione e passa di libri ciascuna, quando la catena di librerie Barnes & Noble, con il maggior numero di punti vendita in assoluto, vende in totale 155 milioni di libri di carta all’anno.

Le licenze in circolazione sono le più svariate. Si possono comprare pacchetti di lettura in contemporanea o in successione, con scadenza breve o scadenza lunga; licenze perpetue (molto costose) per opere di consultazione; licenze economiche che scadono in tempi rapidissimi, adatte ai best-seller, etc.

Ma tutto ciò che si compra non è il libro. Ciò che si compra e si vende è il tempo, il diritto d’accesso, la Rarità Artificiale, la fuffa. Ma, ripeto, il problema non è la tecnologia in sé o il big-data in sé, il problema è il conflitto tra forze produttive e rapporti di produzione – l’autore e la tecnologia sono un sintomo di questa lotta.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • marco

    fermo restando da professionista del settore, (libraio indipendente) la soddisfazione per l’aumento della propensione alla lettura,
    rilevo con sollievo anche la diminuzione della diffusione dei libri in formato e-book, la cui incidenza era aumentata complice la pandemia.
    Adesso dai primi dati semestrali, pare si stia nuovamente abbassando ai livelli pre-covid.
    In effetti quella dell’e-book è un’arma pericolosissima nelle mani delle grandi aziende.
    A parte la difficoltà biologica del leggere un testo complesso in formato digitale (vuoi leggere “la critica della ragion pura” in e-book?…. auguri) per la mancanza del reggiungimento del livello di “”lettura profonda”, la lettura digitale, specie in una società dove tutta la distribuzione tende ad accentrarsi nelle mani di pochissime piattaforme di e il tentativo di eliminare una figura altamente professionale come il libraio che potrebbe indirizzare i clienti verso un percorso di letture critiche (io lo faccio costantemente con i miei giovanissimi lettori), il rischio di censura è dietro l’angolo.
    Con i moderni algoritmi di ricerca, basterebbero pochi click per eliminare quei testi ritenuti scomodi che dovessero con molta difficoltà superare la censura commerciale delle piattaforme di distribuzione.
    Non sempre mi trovo d’accordo con quanto diceva Eco, ma su una cosa penso che avesse ragione.
    Il futuro della lettura digitale è nelle utilities, in quel tipo di pubblicazioni che rimangono su tipo di consultazione veloce e didascalica (giornali, riviste, dizionari, enciclopedie etc), per tutto il resto… LUNGA VITA AL LIBRO CARTACEO!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *