Menu

’77, l’entusiasmante fascinazione di una… Maledetta Primavera

E‘ uscito in questi giorni per l’editore Efesto il libro “CENTOCELLAROS, i cento fiori e la rosa di Gerico. Una rivoluzione possibile e necessaria” di Luigi Rosati, esperto dei temi dello sviluppo del Sud del mondo, e Luciano Vasapollo, economista della Sapienza, esponente della Rete dei Comunisti e del Capitolo italiano della Rete Internazionale degli artisti e intellettuali in difesa dell’umanità.

Il libro ricostruisce le dinamiche del conflitto di classe dagli anni ’50 ad oggi passando per gli anni ’70 e ’80, con la voglia mai sopita di rivoluzione dei giovani comunisti della famosa periferia romana, attraverso le storie di Potere Operaio, del CO.CO.CE.  e delle organizzazioni della lotta armata connesse in un progetto nazionale, fino ai processi e le modalità politiche dello scontro dell’oggi.

Pubblichiamo alcune pagine del libro sulle giornate del ‘77

*****

1. Piazza Indipendenza

I fatti di piazza Indipendenza hanno inizio da un corteo che proveniva dall’Università La Sapienza; si era fermato all’altezza di via San Martino della Battaglia dove partì la macchina che cominciò a sparare nel mezzo del corteo. In un primo momento si pensò fosse una provocazione dei fascisti, che proprio lì, in via Sommacampagna, avevano la sede, inoltre per via della spregiudicatezza che esprimevano scendendo dalla macchina e continuando a sparare.

Il corteo rispose, perché era oramai prassi che qualche compagno si prendesse la responsabilità di proteggere armato il corteo, viste le continue offensive dalla polizia come anche da parte dei fascisti, che spesso avevano creato infami attacchi.

Risulta subito chiaro le responsabilità della polizia nella sparatoria. Altro non sono che le squadre speciali di Cossiga nella loro prima apparizione, poliziotti in borghese con incarichi ad hoc per le manifestazioni. Sono lunghi minuti di sparatorie.

Il ferimento di Paolo e Daddo, rispettivamente di 24 e di 22 anni, viene spesso ricordato come l’inizio dello scontro frontale tra le due forze in campo. Uno degli assalitori del corteo cadde a terra dopo essere stato colpito mentre l’altro continua a sparare ininterrottamente avendo anche più armi a disposizione; si vennero dunque a creare scene di panico e un fuggi fuggi generale di gente che cercava di scappare e di proteggersi.

Il Partito Comunista Italiano si schiera a difesa dell’operato della Polizia e dichiara come gli studenti autonomi siano sullo stesso piano dei fascisti; dichiarazioni queste in piena compatibilità con il compromesso socialdemocratico e sarà, per tali asserzioni, un ulteriore episodio di rottura con il Movimento che, dal canto suo, rivendicava l’autonomia dalle organizzazioni partitiche.

La foto scattata da Tano D’Amico a Paolo e Daddo, che chiunque abbia un minimo di conoscenza delle dinamiche che hanno interessato il ‘77 sicuramente ne farà ricordo, non è solo limitata a catturare di un istante, un fatto di cronaca, bensì, da quella foto è facile intravedere la piega stava prendendo il futuro prossimo, delle lotte, dei feriti, dei morti. La posta in gioco si faceva più alta, la partita si rendeva ancora più seria.

La manifestazione delle rivolte del ’77 creò inevitabilmente la repressione dei vari movimenti, che fu tanto forte quanto le rivolte. Fu un’oppressione talmente selettiva da colpire i nuclei portanti della resistenza e del contro-attacco sociale che avvenne con l’introduzione di un rigido controllo statale. Lo Stato diviene così l’attore centrale della lotta di classe.

Si misero in pratica i grandi processi di mercificazione, dell’avere contro l’essere: la spaccatura di questa realtà determinava un periodo storico che attraversò una profonda crisi di valori. La violenza esercitata come risposta da parte della lotta operaia, inoltre, non era omologa a quella imposta dalle forze di repressione statali.

Gli ideali che si miravano a raggiungere in tal caso includevano un progetto di equilibrio tra forze sociali, di redistribuzione della ricchezza, di comunità, di inclusione, che iniziava con il raggiungimento del comunismo.

«Il dominio capitalistico non si modellava su un solo sistema disciplinare, quello della fabbrica, ma si articolava in maniera molto complessa utilizzando molteplici modelli di controllo che entravano nella vita individuale delle persone e nella loro struttura affettiva ed emotiva. Pertanto il bisogno di “liberare” il soggetto da questo condizionamento era necessario (…). L’operaismo partiva dal presupposto contrario e cioè che l’estrema complessità del governo capitalistico poteva essere affrontata solo facendo appello alla complessità della composizione di classe»[1].

Il carattere diversificato e segmentato dell’espressione dei moti di Rivoluzione si esprime in maniera determinante anche e soprattutto per mezzo dell’insubordinazione sociale dei giovani e degli studenti.

L’attuale organizzazione della società e la forza dirompente della crisi, in particolare, impediscono che si formino altri luoghi in grado di sostituire la scuola nella sua funzione di socializzazione e di associazione[2].

L’anno dell’entrata in scena del proletariato giovanile fu contrassegnato da una svolta nelle politiche della contro-rivoluzione contro la sovversione sociale.

Dato che non si trattava più soltanto d’ordire massacri a scopo terroristico contro i civili, tipici della strategia stragista della tensione, ma di svuotare con la violenza delle procedure antinsurrezionali l’area di sostegno alle lotte e alle organizzazioni rivoluzionarie, il Partito Comunista fu messo a contribuzione come la forza principale di questo progetto.

Episodio clou di questa normalizzazione nelle intenzioni dei suoi promotori, e che poi si risolse in una clamorosa disfatta, l’occupazione della Sapienza da parte del leader della CGIL Luciano Lama e delle sue truppe, il 17 febbraio del 1977, si concluse con l’espulsione dall’Ateneo di quest’ultimo a furor di un popolo in collera.

In presenza attiva di tutte le frange del proletariato giovanile, più la corrente “creativa” degli Indiani Metropolitani e l’ala radicale del movimento femminista, i collettivi dell’Autonomia Operaia di Via dei Volsci e i Comitati Comunisti, come componente ex-FCA, furono trai protagonisti di quella che fu definita nelle cronache come “la cacciata di Lama”.

Il giorno dopo, gli attivisti piccisti di Centocelle organizzarono una spedizione punitiva in cui tre militanti del CO.CO.CE. furono feriti. In rappresaglia e per autodifesa, i Centocellaros si presentarono davanti alla sede del Partito Comunista di Centocelle di via degli Abeti ed ingaggiarono uno scontro, lancio di sassi, bottiglie calcinacci, da ambo le parti e c’è chi ricorda il rumore anche di colpi di pistola. Gli squadristi erano del PCI e non erano certo provocatori i Centocellaros ma rivoluzionari dell’autonomia di e per la classe.

«Il 2 di febbraio è un evento precursore di quel che successivamente avverrà nel corso di quell’indimenticabile anno: ancora qualche settimana e il 17 dello stesso mese, Lama, segretario della CGIL, verrà cacciato in malo modo, assieme al servizio d’ordine sindacale, dall’università di Roma; e poco più di un mese dopo, il 12 di marzo, ancora a Roma, ecco il giorno della terribile bellezza, quando avrà luogo, per la prima volta nell’Italia del dopoguerra, una vera e propria prova generale della difficile arte dell’insorgere»[3].

La dura contestazione di Lama all’interno dell’università occupata è stata interpretata da tutti come una provocazione deliberata da parte della sinistra istituzionale e quindi del sindacato e del Partito Comunista Italiano.

Le iniziali intenzioni non erano quelle di scatenare un vero e proprio scontro ma la prima scintilla si ebbe già dalla mattina stessa in cui centinaia di picchiatori dei servizi d’ordine organizzati dal sindacato cominciarono a cancellare tutte le scritte fatte in quei giorni dal Movimento, con prepotenza e con atteggiamento davvero squadristico.

Ciò ovviamente riscaldò gli animi già contrariati dalla provocazione dell’occupazione di Lama dell’università. Il servizio d’ordine del sindacato al primo accenno di risposta del movimento studentesco rispose subito con l’azione a bastonate come presupposto a quella stessa manifestazione di forza da parte del sindacato CGIL e del Partito Comunista Italiano).

Questa provocazione della sinistra del compromesso storico e di cogestione del potere senz’altro segna il momento più alto della contrapposizione tra sinistra ufficiale e Movimento antagonista, e quest’ultimo riuscì a farsi valere nello scontro fisico, come prima quello politico, e aprire un varco fino a poi riuscire a scalzare il fantomatico servizio d’ordine del PCI, negli anni reso famoso per la sua forza e “inespugnabilità”[4].

Fra i più convinti sostenitori dei provvedimenti della repressione di Stato, il PCI dichiarò che il Paese non si trovava «più di fronte a turbamenti anche violenti dell’ordine, ma a un criminoso assalto armato allo Stato e alla società».

Entrato de facto nella coalizione che governava il Paese, il partito delle Botteghe Oscure stava diventando la punta di diamante non solo dell’anti-terrorismo, inteso come lotta contro le organizzazioni politico-militari, ma soprattutto di una strategia di contro insurrezione finalizzata all’annientamento del Movimento della sovversione sociale, da lui inteso come un criminoso assalto allo Stato e alla società.

In questo i piccisti si riconoscevano nelle decisioni del Ministro degli Interni e del suo progetto d’ordine pubblico, la cosiddetta legislazione dell’emergenza.

2. 12 marzo ’77: la straordinaria bellezza di un giorno di insurrezione

A Bologna l’11 marzo 1977, fu indetta un’assemblea del movimento Comunione e Liberazione (CL) all’interno di un’aula dell’università, che contava più o meno 400 studenti ad assistervi. Molti altri, invece, militanti dei gruppi extraparlamentari, cercarono di assistere all’assemblea ma vennero forzatamente respinti dal servizio d’ordine CL e da tutte le zone della città, cominciano ad accorrere altri studenti e attivisti dei movimenti espulsi dall’assemblea.

L’allora rettore Rizzoli decide ben presto di avvertire le Forze dell’Ordine riguardo i disordini che si erano venuti a creare all’interno dell’università. Un cospicuo numero di agenti caricarono gli studenti di sinistra, permettendo al movimento cattolico di lasciare incolume l’assemblea.

Ma l’ingente mobilitazione delle Forze dell’Ordine e le numerose provocazioni subite, fecero da scintilla allo scoppio di un violento scontro contro la sinistra extraparlamentare. Alle molotov dei giovani studenti si rispose con il fuoco di armi da parte della PS, tra questi un giovane carabiniere Tramontani che dopo aver sparato con un fucile ed essersi diretto verso via Mascarella, estrasse la pistola d’ordinanza e cominciò a sparare ad altezza d’uomo.

Tanti furono i testimoni ad aver riconosciuto il giovane Tramontani sparare sui manifestanti, eppure, fu scagionato da ogni accusa nei processi. Le autorità hanno sostenuto che era in corso una vera e propria rivolta che ha permesso l’uso delle armi come difesa. Ovviamente nessuno degli agenti venne ferito, diversa la situazione per i gruppi extraparlamentari, che subirono la perdita del compagno Francesco Lorusso, compagno di Lotta Continua.

Omicidio che intensificò la rabbia verso quella repressione ingiusta ed esagerata come sproporzionata fu la linea di “difesa” condotta da Francesco Cossiga, Ministro degli interni dell’allora governo Andreotti, che in seguito ai disordini ha inviato nella zona dei veri e propri carri armati. Bologna vide nei giorni successivi la risposta dei movimenti della sinistra extraparlamentare che continuarono la protesta per giorni.

L’eco nazionale raggiunto dalla vicenda fece mobilitare tutta Italia con manifestazioni contro la repressione dello Stato. Il 12 marzo successivo, nella manifestazione dei cento mila dell’Autonomia nazionale, che attraversò Roma deserta, talora in un silenzio spettrale e nell’invisibilità delle forze di sicurezza dello Stato, nascoste in alcuni punti strategici della Capitale, i Centocellaros scesero di nuovo in piazza e alcuni di loro parteciparono agli attacchi sporadici armati contro le sedi delle multinazionali, delle banche e le armerie.

A Roma, la manifestazione nazionale del 12 marzo 1977, già indetta precedentemente, “esplode” di dimostranti dopo la rabbia accumulata nelle ore precedenti, conta più di 100.000 manifestanti di quel movimento conosciuto poi come il Movimento del ’77. Sin dalle prime ore del pomeriggio piazza Esedra si era andata riempiendo.

Il clima era teso, duro, in una giornata grigia di pioggia. Il corteo si mosse e passando da via Cavour, arrivò fino a Piazza Venezia per poi prendere via del Plebiscito, unica via permessa visti i blocchi della polizia.

A via Arenula scoppia una sparatoria dall’interno del Ministero di Grazia e Giustizia, la maggior parte dei componenti del corteo armati di molotov, scappano, specie le fasce più giovani dai 15 ai 18 anni che componevano il corteo.

Cominciarono sparatorie e assalti alle sedi di multinazionali, alle caserme, commissariati, alle armerie come quella sul lungotevere, dopo una deviazione del corteo a piazza Argentina; azione che dimostra come ci sia stata un’operazione consapevole delle masse di armarsi. Il corteo aveva ormai presidiato tutto il centro di Roma. E gli scontri continuarono a lungo.

Contrariamente a ciò che emergeva dai media mainstream le Brigate Rosse come organizzazione non parteciparono al corteo, poiché erano contrari, ma sicuramente molti BR che avevano aderito all’organizzazione, o lo avrebbero fatto da lì a poco, erano presenti tra le fila del corteo, ma senza rivendicarne la partecipazione o comunque in un contesto contrario alle linee politiche dell’organizzazione.

L’esaurimento dei gruppi che avevano caratterizzato la scena politica rivoluzionaria dal ‘69 al ‘74 e ‘75 fu pressoché congenito, dovuto a una mancanza di una linea politica rivoluzionaria, perciò, il loro esaurimento era pressoché inevitabile.

Con lo scioglimento di Potere Operaio e Lotta Continua, il Movimento rivoluzionario si frammenta nella struttura organizzativa di gruppi, nel tentativo di ricostruire un’organizzazione con l’esigenza sempre più che potesse avere carattere politico-militare. Ognuno conduceva la propria linea che veniva discussa all’interno delle assemblee e condotta successivamente nei conflitti in piazza e fuori. Gli avvenimenti del ‘77 nel territorio romano sono riconducibili a vari nuclei organizzati, derivanti dall’Autonomia Operaia e dai Comitati Comunisti.

Differente è la posizione dell’autonomia nel senso teorico e ricondotta a Toni Negri. La loro visione politica di prospettiva rivoluzionaria era del tutto nulla e peccavano spesso di autoreferenzialità.

[1] Poggio P. P. (2011), L’altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico. Vol. 2: Il sistema e i movimenti (Europa 1945-1989), Jaca Book, Roma.

[2] Bianchi S., Caminiti L. (a cura di) (1997), Settantasette. La rivoluzione che viene, DeriveApprodi, Roma.

[3] Piperno F. (2021), L’angoscia dell’individuazione: note sul movimento del ’77, Machina, https://www.machina-deriveapprodi.com/post/l-angoscia-dell-individuazione-note-sul-movimento-del-77

[4] AA.VV. (2005), Una sparatoria tranquilla. Per una storia orale del ’77, Odradek, Roma.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *