Il pallone è diverso dal calcio. Il primo è un gioco che si fa da bambini e di cui ci si innamora. Il secondo, invece, è un giuoco, con la “u”. Uno sport dove a decidere tutto è un dio crudele che non fa sconti a nessuno.
Appena iniziato il romanzo di Teodoro Lorenzo, subito mi sono chiesto il perché del titolo: “Rimpalli”. Subito mi è però anche arrivata la risposta.
Nel romanzo, come nel faccia a faccia tra il guerriero senza nome e il Re di Quin nel film Hero, si vuole raccontare la storia di una persona, ripercorrendo le tappe e i momenti segnanti che lo hanno portato dentro e fuori il mondo del calcio. Quel gioco bello e terribile che tutti , in Italia come nel mondo conoscono e che nel romanzo tiene alto l’interesse, ma anche la tensione.
Da qui i Rimpalli che vanno a costruire, o a ricostruire, la storia. Come i “triangoli” del calcio.
Nel “triangolo” del calcio (lo scriviamo per completezza d’informazione, ndr) un giocatore A passa la palla a un compagno B e comincia a correre in uno spazio lasciato vuoto sul campo (senza compagni o avversari, ndr). Il giocatore B non ferma la palla ricevuta da A, ma la restituisce, subito o quasi, al mittente. Questo è un fondamentale dell’azione in un campo e quindi della costruzione del gioco.
Nel romanzo, la costruzione della narrazione proprio come nel triangolo del calcio, passa per la storia e i luoghi di Torino, poi sostituiti dalla storia e dai protagonisti del calcio. La narrazione rimpalla sulla storia dell’autore come calciatore e finisce con la vita di un bambino, poi ragazzo infine uomo. E sulle sue riflessioni, di quello che è successo.
Nel romanzo, l’autore racconta la sua storia attraverso un centro di gravità comune a molti, oggi come ieri, quello del calcio. Storia che ha uno sfondo, quello della Torino degli anni 60 e 70, delle case popolari e della vita di quartiere. Storia che potrebbe essere quella storia di chiunque, passata proprio per le case, l’oratorio e il cortile, ma che è solo sua per il motivo cardine che ha spinto Teodoro Lorenzo a scriverne e in qualche modo a vivere, o almeno a vivere così: il calcio. O come sarebbe più corretto dire, il pallone.
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