Ieri ci ha lasciati Salvatore Piscicelli. Un maestro di quel cinema che a giusto diritto possiamo definire “di classe” nel senso più profondo. Per temi, sapere, cultura.
Un autore originale, autentico, capace di una vibrante critica alle strutture dell’ideologia borghese, con i suoi codici e le sue consuetudini morali. Un autore per questo definito persino scabroso.
Omosessualità, tossicodipendenza, carcere, prostituzione, neoproletariato e sottoproletariato metropolitano costituirono, soprattutto all’inizio, l’essenza e la premessa di un linguaggio sperimentale che scavava nelle vene aperte di una città in trasformazione.
Quella Napoli colta nel passaggio epocale tra l’antagonismo degli anni ’70 e la controffensiva reazionaria e padronale degli anni ’80, in piena metarmofosi e sospesa tra dimensione rurale e paesaggio industriale, con le nuove dinamiche urbane che segneranno la città dopo il terremoto dell’Irpinia.
Le cantine e l’underground, la controcultura e il Neapolitan Power. Moscato, Antonio Neiwiller e Martone. Pino Daniele, Antonio Capuano e Peppe Lanzetta. Il gruppo operaio dei Zezi e Troisi con la sua comicità espressionista.
Napoli respirava atmosfere berlinesi, entrava nei sobborghi di New Orleans, tra i budelli del Bronx newyorkese. Nelle periferie di Dakar e di Kinshasa. Si apriva al mondo.
Poco avvezzo al compromesso e postosi decisamente fuori dalle logiche e dai castranti diktat del mercato dilagante, autore dal segno anticonvenzionale e potente, Salvatore Piscicelli è stato un pioniere di quell’avanguardia visionaria che dall’hinterland e dai quartieri popolari di Napoli finiva per dialogare con le realtà marginali poste al sud di ogni anima.
Il suo cinema mescola il melodramma algido e antirappresentativo di Fassbinder con quello intimo e figurativo di Douglas Sirk. Le atmosfere suburbane del lumpen pasoliniano e il dettato del Dogma 95: il manifesto per una nuova cinematografia elaborato da Lars von Trier e Thomas Vinterberg.
Il carattere politico che innerva il percorso filmico dell’autore di Pomigliano d’Arco, scomparso ieri a 75 anni, va letto in senso ampio ed emerge dalle dinamiche interpersonali, dalle relazioni sociali, dai rapporti di potere e di classe che dalla dimensione pubblica, sulle tracce della dialettica servo-padrone, spesso dominano la stessa sfera intima e sessuale.
Ma anche dai personalissimi codici narrativi. Piscicelli fa a pezzi l’immagine olografica di Napoli, ne disgrega dall’interno le stereotipie borghesi ponendo come protagonisti sulla scena i dannati, gli ultimi, le cui vite non conformi alle regole aprono squarci di contraddizione nel ventre molle dell’ipocrisia benpensante. Non solo partenopea ma dell’Italia tutta.
Immacolata e Concetta, Le occasioni di Rosa, Blues Metropolitano restano pietre miliari per una generazione che, dopo il sogno rivoluzionario degli anni ’70, si trovava a fronteggiare lo sfacelo morale del riflusso.
E poi Regina, Baby gang, Il corpo dell’anima, Quartetto, Alla fine della notte, Vita segreta di Maria Capasso. Dove alterna temi e contenuti dei primi film ad un più stringente e tormentato disgusto per la condizione borghese, le sue relazioni, le sue torbide traiettorie psichiche.
Un regista troppo audace, troppo indipendente, troppo sconcertante per il mediocre e stantio panorama cinematografico italiano.
Che infatti ne ha largamente trascurato il nome, lo spessore intellettuale, l’acutezza dello sguardo e della critica, l’originalità stilistica.
Come ha fatto con Claudio Caligari, Romano Scavolini, Tonino De Bernardi, Nico D’Alessandria, solo per citarne alcuni.
Un’ultima notazione la meritano due pellicole girate in collaborazione con la sua compagna di vita, Carla Apuzzo. Il tarantiniano pulp Rose e pistole. E il sgnificativo La comune di Bagnaia, documentario su un’esperienza di vita alle porte di Siena, ispirata ai principi del comunismo libertario.
Negli ultimi tempi il regista curava un blog personale sul cinema in cui, recuperando l’originaria professione di critico, ci regalava preziose riflessioni su autori, film, saggi e quant’altro attenesse al mondo della celluloide.
Ebbene, auspicando che ora, dopo la morte, il suo cinema trovi quel riscontro che tanto avrebbe meritato in vita, noi di Contropiano salutiamo il compagno Salvatore Piscicelli.
Benché il consenso fosse l’ultimo dei suoi interessi…
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Maurizio
ti saluto pugni sl cielo Maestro