Tutto ciò che leggo e sento, tutti i commenti e le opinioni sui fatti di Amsterdam mi confermano la situazione deplorevole del pensiero contemporaneo; siamo dentro una grande impostura, dove l’eccesso di appartenenza fa precipitare ogni fatto o evento nelle tenebre dell’ideologia, rendendo praticamente impossibile conoscere la verità.
L’appartenenza a un campo di valori è il sentimento più contemporaneo; possiamo perdonare ogni crimine, se a compierlo è un nostro sodale, così come possiamo abbandonare ogni approccio al vero, quand’anche approssimativo, pur di avvantaggiare la tribù a cui apparteniamo.
Quando a prevalere è il senso di appartenenza, la verità è compromessa. E tutte le contraddizioni di un fatto o evento, e tutte le ambiguità reali sono come inghiottite da una narrazione prigioniera dell’impulso ad apparire simile agli altri del proprio campo, appunto ribadendone il posizionamento.
È qui, secondo me, la chiave del pensiero contemporaneo; è la partecipazione a questa “mascherata generale” che può spiegare molto dell’attuale decadenza intellettuale, e persino dell’abiezione umana. Non è in questione la legittimità dello schierarsi a favore o contro una causa, o delle diverse interpretazioni di un fatto o evento; se l’atto della critica è quello che meglio di ogni altro definisce la partecipazione democratica, scegliere da che parte stare è cosa buona e giusta. Il problema è quando la volontà di affermare le proprie convinzioni diventa indecorosa menzogna e febbrile impulso mistificatorio.
Ed è quello che si è palesato in queste ore, quando la psicosi propria del campo filo-israeliano ha trasfigurato i fatti e impegolato i discorsi in una narrazione superficiale e spregevole. Il problema non è tanto, o non solo, nell’accusa di antisemitismo, divenuta ormai un vero e proprio cliché senza valore (e tuttavia non meno preoccupante); ciò che colpisce è la troppa importanza data alla notizia, decisamente sproporzionata rispetti ai fatti e – questa la cosa più ripugnante – di molto superiore all’attenzione dedicata al massacro in corso nelle stesse ore nella Striscia di Gaza.
Rispetto all’antisemitismo, bisogna essere chiari: la bandiera israeliana non viene disapprovata in quanto “ebrea”, bensì in quanto simbolo di uno stato che sta compiendo una serie spropositata di crimini di guerra e contro l’umanità e che sta attuando una pulizia etnica nei confronti dei palestinesi. Ossia che esprime tutto ciò che dovrebbe essere rifiutato da ogni sincero democratico.
Al di là di singoli episodi realmente antisemiti, sempre da deplorare, in generale il vero senso della critica attuale a Israele è indifferente alla sua natura “ebraica”, mentre invece è sensibile all’attitudine genocidaria che sta esprimendo in questi mesi.
L’accusa di antisemitismo rivolta a chiunque critichi le pratiche di Israele nei confronti dei palestinesi è davvero il frutto di una mistificazione, umanamente meschina e intellettualmente disonesta. Il problema principale è però un altro, e risiede proprio nel senso di assoluta appartenenza a un campo particolare, voluta e coltivata ogni oltre decenza intellettuale.
Tale, per l’appunto, da assegnare un valore smisurato ai fatti di Amsterdam in confronto a quello dedicato al massacro quotidiano dei palestinesi. In queste ore, il comportamento di buona parte di giornalisti, politici e opinionisti è stato ai limiti dell’indecenza; ci si accorge che per essi la distinzione tra i diversi fatti o eventi è priva di qualsiasi fondamento etico o giuridico, giacché il valore è appunto assegnato sulla base dell’appartenenza.
La differenza enorme fra quanto accaduto ad Amsterdam e il massacro dei palestinesi è palese; eppure, i creatori di contenuti filo-israeliani hanno potuto dar vita a qualcosa di mostruoso, ribaltando completamente i valori (quantitativi e qualitativi). In sostanza, non hanno fatto altro che stilare una classifica che pone sul podio dell’importanza le violenze ricevute dai tifosi del Maccabi (noti per il loro estremismo fascistoide) rispetto alle centinaia di morti palestinesi.
Hanno fatto – senza vergogna, immergendosi da avvoltoi nell’accaduto – l’apologia dei tifosi israeliani impugnando la prospettiva dell’appartenenza al proprio campo ideale, quindi da un punto di vista puramente ideologico.
Si tratta, in tutta evidenza, di un’apologia troppo debole, che non offre niente di duraturo dal punto di vista ideologico, e che è il sintomo dell’incapacità di elaborare una posizione vicina alla giustizia. È, per così dire, il frutto di una reazione scomposta e irrazionale; la compassione mostrata per i tifosi del Maccabi non mostra soltanto l’incapacità di occuparsi con lo stesso fervore della sorte dei civili palestinesi, ma anche un approccio che è incapace di rendersi credibile e adatto a contrastare i veri atti di antisemitismo.
Dal momento che ogni critica a Israele è antisemita, non si può più riconoscere cos’è veramente diretto contro gli ebrei in quanto tali.
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L’immagine allegata al post riporta un fotogramma del video dei tifosi del Maccabi all’arrivo all’aeroporto di Tel Aviv. Il testo della canzone che cantano è tremendo, un miscuglio sconcertante di suprematismo razzista e di abiezione. Non giustifica le violenze che hanno subito questi tifosi, ma squalifica quanti, in queste ore, li stanno usando per affermare la propria appartenenza filo-israeliana.
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Andres Daniel Albiero
L’informazione ufficiale è sepolta da un mare di menzogne ,i giornalisti trasformati in servi ridicoli e ripugnanti .Ma la realtà non si può cancellare.
Mauro
I sionisti tengono tutti per le palle…