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Il sionismo è un furto

A disincentivare ulteriormente la collaborazione israeliana nel processo di creazione di uno Stato palestinese indipendente (secondo gli accordi di Oslo II del 1995, NdR) è il vantaggio economico costituito dall’ingente ammontare degli aiuti internazionali destinati all’Autorità nazionale palestinese.

Gli aiuti, infatti, permettono che i costi dell’occupazione vengano interamente coperti dalla comunità internazionale e non da Israele che, secondo quanto stabilito dagli art. 55 e 56 della IV Convenzione di Ginevra, sarebbe tenuto a farsene carico.

Quindi, dal punto di vista economico, i Territori palestinesi occupati rappresentano una risorsa e non un costo per l’economia israeliana.

Un ulteriore vantaggio economico è ottenuto da Israele mediante la politica degli insediamenti, che prevede la graduale acquisizione coattiva di terreni palestinesi e la loro destinazione all’uso esclusivo da parte israeliana, che si sostanzia attraverso varie misure: la chiusura dei terreni per uso militare; la dichiarazione di parco nazionale o di sito archeologico protetto; l’incentivazione attraverso la creazione di National priority areas (*) per le attività economiche degli insediamenti.

Ne consegue l’impossibilità per i palestinesi di costruire e avviare attività commerciali nell’area C (**), che include la maggior parte delle risorse della Cisgiordania – terreni edificabili o agricoli, falde acquifere, minerali del Mar Morto, cave, siti archeologici dall’elevato potenziale turistico – le quali, se controllate all’ ANP, potrebbero generare un incremento del PIL palestinese pari a 3,4 miliardi di dollari.

È proprio nell’area C, infatti, che si trovano l’86% delle riserve naturali, il 91% delle foreste, il 48% dei pozzi e il 37% delle sorgenti della Cisgiordania. Queste risorse, invece, vengono sfruttate dagli israeliani che controllano l’area destinandola principalmente ad attività commerciali.

Come denunciato dall’ ONG Human Rights Watch, la superficie dell’area C destinata allo sfruttamento economico è 1,7 volte superiore a quella destinata alle abitazioni. In altre parole, gli insediamenti ebraici in Cisgiordania non nascerebbe per uso essenzialmente residenziale, ma per garantire il controllo israeliano della maggior parte delle risorse palestinesi.

A tele proposito, si consideri che l’area del Mar Morto non rappresenta solo un asset strategico per il turismo israeliano, che produce il 2,8% del PIL nazionale. Essa è ricca di depositi minerali (potassio, bromo, magnesio, e Sali) che costituiscono una fonte di risorse prioritaria per l’industria farmaceutica e cosmetica, ovvero uno dei settori chiave dell’economia israeliana. (“Senza Stato, il fallimento del progetto nazionale palestinese”, Meltemi editore 2024).

(*) Si tratta di “zone economiche speciali”, in cui il governo israeliano incentiva gli investimenti calmierando il costo della terra, finanziando lo sviluppo di infrastrutture e riducendo le tasse per individui e imprese.

(**) Le aree A, B e C sono una suddivisione della Cisgiordania stabilita dagli Accordi di Oslo II (1995) tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Si tratta di una divisione amministrativa e di sicurezza pensata come temporanea (in vista di un accordo definitivo, che però non è mai arrivato). 

Area A – Circa il 18% della Cisgiordania, comprende le principali città palestinesi (come Ramallah, Nablus, Betlemme, Jenin). È sotto pieno controllo civile e di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). Israele vi entra solo con operazioni militari speciali. 

Area B – Circa il 22% della Cisgiordania, comprende molte cittadine e villaggi palestinesi. È sotto controllo civile palestinese, ma con controllo congiunto sulla sicurezza (ANP e Israele). 

Area C – Circa il 60% della Cisgiordania, comprende la maggior parte del territorio non urbanizzato, le colonie israeliane, le aree agricole, i valichi e le zone strategiche. È sotto il pieno controllo israeliano, sia civile (in materia di pianificazione e costruzioni) sia di sicurezza. I palestinesi che vi vivono hanno forti restrizioni per costruire o sviluppare infrastrutture.

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3 Commenti


  • Alberto E.M. TORBOLI

    Condivido il titolo dell’articolo e mi permetto di postillare: più che un furto, si tratta di una rapina. Perché si esercita sistematicamente la violenza al fine di assicurarsi il possesso di case, territori ed attività altrui.
    La motivazione del genocidio è economica, altro che religiosa…
    Il genocidio da parte di Israele serve quindi a diminuire drasticamente il numero dei palestinesi rapinati della propria terra.
    Genocidio, dunque. Non semplicemente omicidio.
    Genocidio è una parola composta da un termine latino (“caedes”, strage, uccisione) e da un termine greco (“ghenos”, razza, genere, specie, stirpe, parentela).
    È quindi perfetta per descrivere ciò che sta accadendo in Palestina.


  • R.P. NW

    Una domanda: come mai l’Unione Sovietica ha appoggiato la nascita del “focolare ebraico” in Palestina?
    Intendo nel 1947. Senza le armi cevoslovacche la prima guerra arabo-israeliana poteva avere un esito differente.
    Grazie per la cortese risposta.
    R.P. NW


    • Redazione Contropiano

      Probabilmente per un errore di valutazione… Molti dei fondatori di Israele venivano da partiti socialisti e dal movimento operaio e quindi si poteva pensare che avrebbero formato uno Stato diverso da quel che poi è diventato. Il problema è che era stato sottovalutato il peso del sionismo, che è costitutivamente razzista e suprematista. Insomma, una volta usciti dalla “diaspora” – che favoriva sicuramente un atteggiamento internazionalista – i sionisti ex socialisti si sono tramutati in “differenzialisti”: socialismo per sé (kibbutz, ecc) e pulizia etnica per i palestinesi. Poi, col tempo, abolizione completa anche di quel poco di “socialismo” economico (che o è per tutti oppure per nessuno)

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