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Libia: si schianta un aereo Usa

Uno dei due è stato già raccolto da incursori statunitensi a bordo di elicotteri, il secondo «è in corso di salvataggio». Il portavoce dei militari, Vince Crawley, ha naturalmente soseuto che si è trattato di un’avaria tecnica e non di fuoco della contraerea.

Intanto, i paesi attaccanti stanno cercando una via per risolvere l’evidente assenza di una filiera di comando unitaria. Downing Street starebbe proponando una «struttura ibrida» in cui la Nato mette a disposizione una parte delle sue strutture di comando e controllo, ma senza assumere la guida dell’operazioE’ simile al modello adottato in Afghanistan, in cui il comando spetta all’Isaf e non all’Alleanza. La soluzione è chiaramente pensata per aggirare le contrarietà tedesche e turche.

Il comando delle operazioni in Libia affidato alla Nato, a conferma della linea interventista “tricolore”, «rappresenta la soluzione di gran lunga più appropriata». Ad affermarlo è stato Giorgio Napolitano.

Ultimi sviluppi.

 

Nel frattempo, si apre un’altra frattura all’interno della “coalizione dei volenterosi”. Da Londra Nick Harvey, sottosegretario del ministero della difesa, non esclude un intervento di terra delle truppe britanniche in Libia. «Non credo che in questa fase possiamo prevederlo o escluderlo del tutto», ha detto alla Bbc; ammettendo che un eventuale intervento di terra non sarebbe però di «dimensioni significative». Arrampicandosi su molti specchi, Harvey ha persino sostenuto che la cacciata di Gheddafi non è l’obiettivo della campagna militare; ma è «l’obiettivo politico del governo britannico». Solo l’ultima frase sembra attendibile, bisogna dire.

Gli ha immediataemnte risposto il primo ministro francese, Francois Fillon: «È esplicitamente escluso che si proceda ad un intervento di terra». Come se chi tocca terra per primo si prendesse anche quello che c’è sotto (petrolio e gas, of course).”Non spetta a noi deporre Gheddafi; spetta solo al popolo libico decidere del destino e del futuro dei suoi leader”.

Si è invece ridotta la distanza tra i protagonisti del fronte Nato. Barack Obama e il premier turco Tayyip Erdogan hanno concordato che i «contributi nazionali» per l’attuazione della risoluzione 1973 dell’Onu «sono resi possibili dalle capacità di controllo e dal comando unico e multinazionale della Nato». Sembra un compromesso che consente di frenare l’oltranzismo interventista franco-inglese, unendo le perplessità statunitensi all’aperta contrarietà turca.

Obama ha del resto parecchi problemi interni. Circa la metà degli elettori repubblicani americani, oltre a un terzo di quelli democratici, disapprovano il modo in cui il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha gestito l’intervento Usa in Libia. Un sondaggio della CBS conferma le critiche del Congresso, dove molti parlamentari di entrambi gli schieramenti hanno criticato Obama per non aver preventivamente informato il Parlamento prima di dare l’ordine alle truppe di intervenire.

Il presidente russo Dmitri Medvedev ha invece messo in risalto la propria preoccupazione per gli sviluppi futuri in Medio Oriente. La situazione «in Nord Africa» potrebbe «influenzare» il processo di pace. «È passato un pò di tempo dalla mia visita nei territori palestinesi», ha detto Medvedev. «Purtroppo la situazione in Medio Oriente e Nord Africa non è diventata più facile di recente e anzi si è aggravata considerevolmente».

Anche la contrarietà russa sta per sfociare in un’iniziativa diplomatica alquanto pesante. Lo ha anticipato il ministero degli esteri francese: «l’appello della Russia per il cessate il fuoco potrebbe essere discusso dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel summit di giovedì», fra due giorni.

 

Per quanto riguarda la “sinistra democratica” (con l’accento sulla seconda parola e la scomparsa della prima), c’è da segnalare l’elmetto da parà indossato dall’ex sessantottino, poi «verde» molto “realista”, Daniel Cohn Bendit. C’è chi invecchia male, bisogna ammetterlo.

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