Secondo quanto comunicato dall’ufficio stampa della Nato, sabato sono state effettuate 184 missioni. 70 di queste portano la definizione di strike sorties, che però non necessariamente sono operazioni in cui si è fatto uso delle armi. Vengono così indicate anche le operazioni di individuazione obiettivi, ricognizione o disturbo elettronico delle difese antiaeree.
Sul terreno, però, le forze di Gheddafi stanno stringendo il cerchio su Misurata e hanno ripreso il controllo di Brega. Da quest’ultima cittadina i “ribelli” si sono ritirati. Ufficialmente si tratta di una “ritirata strategica”; circa 400 combattenti sono stati visti tornare sulle posizioni di partena, a oltre un decina di chilometri dal porto.
La sua importanza strategica è notevole, perché – insieme a Ras Lanuf – rappresenta il principale centro dell’industria petrolifica libica – qui passa infatti gran parte del 1,5 milioni di barili dell’export giornaliero libico prima dell’inizio della rivolta il 15 febbraio scorso.
I ribelli” stanno anche facendo i conti con le perdite inflitte loro dagli “alleati”. La Nato ha infatti preso di mira una colonna di insorti, provocando almeno 13 morti e 7 feriti nei dintorni di Brega. Un clasico episodio di “fuozo amico” che minaccia di far aumentare le tensioni già esistenti tra i vertici politici e militari delle forze dell’opposizione a Bengasi. «È stato un terribile errore, e ci scusiamo, non permetteremo che succeda più» ha detto Abdul Hafidh Ghoga, vice presidente e portavoce del Consiglio transitorio nazionale di Bengasi. Un personaggio che però ha però cercato di prendere le distanze da un comandante militare ritenuto molto popolare, cui all’inizio aveva dato pieno appoggio. Khalifa Haftar, un ex colonnello che recentemente è tornato in Libia dopo aver vissuto per molti anni negli Stati Uniti, è però da alcune fonti indicato come uno dei pilastri dell’”aiuto fraterno” offerto dagli Usa tramite la Cia (le uniche “forze di terra” che al momento possono oeprare senza violare apertamente il mandato Onu).
Ora Ghoga afferma che il colonnello Haftar non ha nessun ruolo guida all’interno delle forze militari degli insorti. Che un “fronte” così malmesso possa resistere a delle forze regolari, per quanto duramente colpite dai raid aerei, è chiaramente una scommessa su cui nessuno fa puntate.
Ma anche nel regime gheddafiano i problemi non mancano.
Il ministro della difesa britannico, Hague, ha ammesso alla Bbc di aver parlato con l’ex ministro degli esteri libico Mussa Kussa, ma non dopo la su fuga in Gran Bretagna.
Il capo del Foreign Office non ha voluto commentare quanto scritto oggi dal Sunday Times secondo cui l’ex capo della diplomazia libica in questi giorni starebbe “consigliando” altri responsabili del regime a seguire il suo esempio.
Tutte le diplomazie sono alla ricerca di una soluzione. Molto più difficile ora che non prima dell’attacco occidentale. Gheddafi non sembra avere nessuna chance di restare al potere, ma se non gli viene offerta alcuna via d’uscita – a lui e tutti i suoi – sarà alla fine indispensabile inviare truppe di terra. Nel disegno iniziale, sponsorizzato soprattutto dai francesi, il dominio dell’aria era visto come sufficiente a immobilizzare le truppe del Rais e “accompagnare” l’avanzata dei “ribelli” sui terminali petroliferi (se non addirittura si Tripoli). Una sopravvalutazione della consistenza militare dei cirenaici che ora rischia di far impantanare tutta la guerra.
Una via d’uscita è però quello che cercano – a quanto si capisce – anche i figli di Gheddafi. In questo senso si è espresso anche il vescovo sudafricano Desmond Tuti, premio Nobel per la pace: “nel mondo in cui viviamo a volte occorre scegliere il male minore: consentire a Gheddafi un atterraggio morbido e salvare il maggior numero di vite possibili”.
Nelle ultime ore, il vice ministro degli Esteri libico Abdelati Labidi, responsabile degli affari europei, è entrato oggi in Tunisia attraverso il valico di frontiera di Ras Jedir. Labidi è arrivato al confine a bordo di un’auto ufficiale seguita da un’auto di scorta. Il convoglio ha poi preso la strada verso Djerba. Ovvero per l’aeroporto più vicino. Ma si è immediatamente dopo appreso che non aveva seguito la strada di Moussa Koussa – ovvero Londra – ma si era diretto verso la ben più neutrale Atene. Il governo greco ha immediatamente confermato che Abdelati Labidi è latore di un messaggio di Gheddafi. Non una fuga, dunque, ma una missione per conto del “capo”.
In tarda serata, arrivano poi le conferme. «Pare che le autorità libiche cerchino una soluzione», ha detto il ministro degli Esteri greco Dimitris Droustas dopo il colloquio fra l’emissario di Muammar Gheddafi e Papandreou. «C’è bisogno di una serio sforzo per la pace e la stabilità nella regione». Una fonte governativa greca ha detto alla Reuters che Obeidi ha affermato che la Libia vuole la fine dei combattimenti. Il vice ministro libico – ha aggiunto Droustas – ha detto al premier greco che si recherà anche a Malta e in Turchia.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa