All’indomani delle manifestazioni che hanno visto ieri migliaia di persone provenienti dal Libano meridionale e dalla Siria lanciarsi contro i reticolati di frontiera (e sul Golan anche superarli) la stampa israeliana commenta oggi con toni preoccupati la comparsa di un nuovo tipo di mobilitazione contro la politica israeliana: “l’arma delle masse”. “Questa arma consiste nel trasformare la quantità in qualità” scrive oggi su Yediot Ahronot l’analista militare Eitan Haber. L’effetto cumulativo delle dimostrazioni in Egitto, Libia e Siria ha cambiato la situazione. “La giornata della Naqba ha segnato ieri l’inizio di una nuova fase nel conflitto israelo-palestinese” analizza Haber. Molti osservatori israeliani temono che le marce sui confini di Israele assumeranno un carattere ancora più vasto a settembre, con la possibile proclamazione all’Onu di uno Stato palestinese. Ma la preoccupazione maggiore per l’establishment sionista è il riaffacciarsi della questione del “diritto al ritorno dei palestinesi”, una questione che Israele ha sempre imposto come “non negoziabile” in ogni tavolo di trattativa. “Per Israele – sostiene il l’editorialista israeliano Nahum Barnea – il ritorno di profughi palestinesi nel proprio territorio è una linea rossa, che non può essere valicata”. Il quotidiano filo-governativo Israel ha-Yom rileva che con queste manifestazioni “gli estremisti nel mondo arabo hanno iniziato ieri la lotta pratica per imporre (ad Israele) il cosiddetto Diritto del Ritorno”.
Ascolta l’intervista a Bassam Saleh realizzata da Radio Città Aperta:
La chiusura della Cisgiordania da parte delle autorità israeliane è stata prolungata di 24 ore in seguito agli incidenti verificatisi ieri in occasione della Giornata della ‘Nakba. Anche la polizia israeliana resta schierata in forze a Gerusalemme est e sulle alture occupate del Golan, dove ieri gruppi di dimostranti provenienti dalla Siria sono riusciti ad abbattere un tratto dei recinti di frontiera e a penetrare nella città drusa di Majdel Shams occupata dal 1967 dagli israeliani. Lo stato di allerta resta elevato anche ai confini israelo-libanesi dopo che ieri un migliaio di dimostranti provenienti dal Libano meridionale hanno cercato di superare i reticolati di confine. Secondo la stampa, sono stati respinti sia dal fuoco dell’ Esercito libanese sia da quello dell’esercito israeliano. In quegli incidenti, affermano i giornali israeliani, si sono avute «circa dieci vittime», libanesi e palestinesi.
La marina militare israeliana ha intanto fermato a colpi di armi da fuoco una nave proveniente dall’Egitto con aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza e l’ha costretta ad invertire la rotta. Lo riferiscono fonti locali confermando che l’episodio si è concluso senza vittime. La nave Finch – ribattezzata ‘Spirito di Rachel Corriè – l’ attivista statunitense uccisa dagli israeliani a Gaza nel 2003 – era partita dal Pireo (Grecia) l’11 maggio scorso e poi aveva attraccato al porto egiziano di el-Arish, nel Sinai settentrionale. È stata intercettata dalla marina israeliana quando ha cercato di entrare nelle acque di Gaza. A bordo trasporta tubature destinate alla rete fognaria di Gaza. Un segnale pesante per la rotta della Freedom Flotilla internazionale che a giugno cercherà di forzare il blocco navale israeliano che assedia Gaza.
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