GERUSALEMME
È incandescente il clima lungo la frontiera israelo-libanese e ai principali posti di blocco tra Israele e i Territori occupati, in vista delle manifestazioni – imponenti stando alle previsioni – del 5 giugno (con un anticipo già oggi) che vedranno migliaia di palestinesi e arabi commemorare il 44esimo anniversario della «Naksa», la sconfitta subita dagli eserciti arabi nella Guerra dei sei giorni (1967) e l’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est, delle Alture del Golan e del Sinai (poi restituito all’Egitto).
La stampa israeliana ieri ha riferito con grande evidenza l’avvertimento lanciato dai vertici militari: non verrà permesso ad alcun palestinese o cittadino arabo di superare i reticolati che corrono lungo le linee di armistizio, come è avvenuto il 15 maggio (nell’anniversario della «Nakba») ai piedi del villaggio druso di Majdal Shams, sul Golan. Quel giorno, tra il Libano del sud, il Golan e la Striscia di Gaza, i profughi uccisi furono almeno 12 (aprirono il fuoco anche i soldati libanesi).
«Le nostre frontiere non diventeranno Bilin», ha detto una fonte militare al giornale Jerusalem Post, in riferimento alle manifestazioni settimanali che i palestinesi, con l’appoggio di pacifisti israeliani e stranieri, tengono ogni venerdì nel villaggio cisgiordano, simbolo della lotta popolare contro il muro di separazione costruito da Israele. I comandi militari dello Stato ebraico perciò hanno fatto rafforzare le postazioni lungo la frontiera, in particolare nei pressi del moshav Avivim.
In casa israeliana si guarda al 5 giugno con grande attenzione. Non tanto per gli aspetti di sicurezza quanto per le implicazioni politiche e diplomatiche. Dopo la prima «Marcia del ritorno» (15 maggio) gli analisti locali evidenziarono che per Israele sarebbe arduo fermare, sparando, masse di profughi palestinesi disarmati che chiedono di far ritorno alle loro case e villaggi originari, sulla base della risoluzione 194 dell’Onu. Parlarono perciò di una «nuova strategia» palestinese, delineata nella pagina Facebook «La terza Intifada» (sino ad oggi 375mila adesioni), che se attuata potrebbe mettere Israele in seria difficoltà sul piano internazionale. Da qui la decisione di non consentire che l’iniziativa palestinese, figlia anche delle rivolte arabe di questi mesi, metta radici e diventi permanente.
L’avvertimento israeliano sembra aver avuto effetti immediati a Beirut. Secondo il quotidiano Daily Star, l’esercito libanese ha dichiarato «area militare chiusa» l’intera fascia di territorio nazionale a ridosso della frontiera con Israele, in modo da costringere i rifugiati palestinesi a tenere le commemorazioni sul piazzale dell’ex prigione di «Khiam», a quattro km dal confine, e bloccare la «Marcia del ritorno 2». Ben diversi sono i piani dei profughi che intendono allestire un grande accampamento lungo i reticoliti di confine, guidati, ha assicurato l’ex comandante militare del campo di Ein al Hilweh, Munir al Maqdah, dai leader locali dei movimenti Fatah e Hamas. Inoltre il 5 giugno dalla Cisgiordania, facendo pressione sui posti di blocco centrali di Kalandia e Betlemme, e da Gaza convergendo su Erez, i profughi «si dirigeranno verso al Aqsa» (Gerusalemme). Nelle stesse ore migliaia di egiziani riuniti in piazza Tahrir al Cairo, di giordani (e forse anche di siriani), manifesteranno a sostegno dei diritti dei palestinesi. Raduni sono previsti anche in Galilea. Il 7 giugno musulmani e cristiani e gli studenti universitari manifesteranno in varie città, anche all’estero, per ricordare l’occupazione del settore palestinese di Gerusalemme.
È incandescente il clima lungo la frontiera israelo-libanese e ai principali posti di blocco tra Israele e i Territori occupati, in vista delle manifestazioni – imponenti stando alle previsioni – del 5 giugno (con un anticipo già oggi) che vedranno migliaia di palestinesi e arabi commemorare il 44esimo anniversario della «Naksa», la sconfitta subita dagli eserciti arabi nella Guerra dei sei giorni (1967) e l’occupazione israeliana di Cisgiordania, Gaza, Gerusalemme Est, delle Alture del Golan e del Sinai (poi restituito all’Egitto).
La stampa israeliana ieri ha riferito con grande evidenza l’avvertimento lanciato dai vertici militari: non verrà permesso ad alcun palestinese o cittadino arabo di superare i reticolati che corrono lungo le linee di armistizio, come è avvenuto il 15 maggio (nell’anniversario della «Nakba») ai piedi del villaggio druso di Majdal Shams, sul Golan. Quel giorno, tra il Libano del sud, il Golan e la Striscia di Gaza, i profughi uccisi furono almeno 12 (aprirono il fuoco anche i soldati libanesi).
«Le nostre frontiere non diventeranno Bilin», ha detto una fonte militare al giornale Jerusalem Post, in riferimento alle manifestazioni settimanali che i palestinesi, con l’appoggio di pacifisti israeliani e stranieri, tengono ogni venerdì nel villaggio cisgiordano, simbolo della lotta popolare contro il muro di separazione costruito da Israele. I comandi militari dello Stato ebraico perciò hanno fatto rafforzare le postazioni lungo la frontiera, in particolare nei pressi del moshav Avivim.
In casa israeliana si guarda al 5 giugno con grande attenzione. Non tanto per gli aspetti di sicurezza quanto per le implicazioni politiche e diplomatiche. Dopo la prima «Marcia del ritorno» (15 maggio) gli analisti locali evidenziarono che per Israele sarebbe arduo fermare, sparando, masse di profughi palestinesi disarmati che chiedono di far ritorno alle loro case e villaggi originari, sulla base della risoluzione 194 dell’Onu. Parlarono perciò di una «nuova strategia» palestinese, delineata nella pagina Facebook «La terza Intifada» (sino ad oggi 375mila adesioni), che se attuata potrebbe mettere Israele in seria difficoltà sul piano internazionale. Da qui la decisione di non consentire che l’iniziativa palestinese, figlia anche delle rivolte arabe di questi mesi, metta radici e diventi permanente.
L’avvertimento israeliano sembra aver avuto effetti immediati a Beirut. Secondo il quotidiano Daily Star, l’esercito libanese ha dichiarato «area militare chiusa» l’intera fascia di territorio nazionale a ridosso della frontiera con Israele, in modo da costringere i rifugiati palestinesi a tenere le commemorazioni sul piazzale dell’ex prigione di «Khiam», a quattro km dal confine, e bloccare la «Marcia del ritorno 2». Ben diversi sono i piani dei profughi che intendono allestire un grande accampamento lungo i reticoliti di confine, guidati, ha assicurato l’ex comandante militare del campo di Ein al Hilweh, Munir al Maqdah, dai leader locali dei movimenti Fatah e Hamas. Inoltre il 5 giugno dalla Cisgiordania, facendo pressione sui posti di blocco centrali di Kalandia e Betlemme, e da Gaza convergendo su Erez, i profughi «si dirigeranno verso al Aqsa» (Gerusalemme). Nelle stesse ore migliaia di egiziani riuniti in piazza Tahrir al Cairo, di giordani (e forse anche di siriani), manifesteranno a sostegno dei diritti dei palestinesi. Raduni sono previsti anche in Galilea. Il 7 giugno musulmani e cristiani e gli studenti universitari manifesteranno in varie città, anche all’estero, per ricordare l’occupazione del settore palestinese di Gerusalemme.
da “il manifesto” del 3 giugno 2011
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