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Barhein. Condannati all’ergastolo i leader della rivolta

Nena News. (Nella foto: proteste nella capitale Manama). Otto ergastoli per “complotto contro la monarchia” ai leader delle proteste popolari che in Bahrain vanno avanti da febbraio, chiedendo riforme e libertà. Altri tredici attivisti sono stati condannati alla prigonia tra due e quindici anni. Tra loro, anche un attivista di nazionalità danese che sino al 2001 aveva vissuto in esilio politico in Danimarca, per poi tornare in Bahrain e unirsi al movimento di protesta.

Gli otto condannati facevano parte di tre partiti minori di opposizione, che sull’onda delle rivolte in Tunisia e poi Egitto, avevano guadagnato il consenso delle piazze e  chiesto ripetutamente una riforma della monarchia assoluta di Hamad bin Isa al Khalifa. Che in risposta ha soffocato le proteste pacifiche nel sangue, facendo almeno 24 morti – secondo fonti ufficiali – e arrestando centinaia di manifestanti. A decine erano stati portati davanti a tribunali semi-militari, duemila gli studenti e lavoratori – in maggiornaza sciiti –  licenziati. Il re sunnita – alleato degli Stati Uniti di cui ospita la più grande base militare del Golfo e supportato dalle truppe saudite, guarda alla maggioranza sciita protagonista delle rivolte come al braccio destro dell’Iran.

“La sentenza é un messaggio negativo per la gente che non chiede altro se non maggiore libertà”, ha detto lo sceicco sciita Isa Qassim riportato da Associated Press, chiedendo poi una revisione della sentenza definita “ingiusta e parziale”. Anche dall’estero l’indignazione sciita non si fa aspettare. In una dichiarazione ufficiale riportata dalla Gazzetta Egiziana il movimento libanese Hizbollah definisce le sentenze della corte bahrenita “politicizzate e faziose”, esprimendo poi “piena solidarietà con il popolo oppresso del Bahrain”. Sul versante dei diritti umani, le organizzazioni Front Line e Amnesty International intervenute sulla sentenza di Abdulhadi al-Khawaja – bahrenita di nazionalità danese- hanno deprecato la condanna degli attivisti, colpevoli solo di aver manifestato a favore della democrazia. Secondo Front Line, al-Khawaja sarebbe stato torturato e violentato in prigione. Anche il dipartimento per i diritti umani delle Nazioni Unite ha espresso oggi la sue disapprovazione per sentenze che sanno di “persecuzione politica”.

Ora il re vuole chiamare le opposizione al tavolo dei negoziati per mettere fine agli scontenti popolari.  La prossima settimana, 300 invitati tra partiti politici e organizzazioni della società civile incontreranno il portavoce reale per il dialogo nazionale Isa Abdul Rahman che afferma:”Non ci sono limiti di tempo precisi, l’obiettivo del dialogo nazionale é che i partecipanti raggiungano un consenso”. Oltre ai gruppi sunniti vicini alla monarchia, ci sarà anche una delegazione del più importante partito sciita di opposizione Wefaq, che dall’inizio delle proteste chiede una monarchia costituzionale, senza la destituzione della famiglia reale. Anche il partito di orientazione socialista Wa’ad ha fatto sapere che invierà cinque rappresentanti. Il suo segretatrio generale Al Mousawi si mostra ottimista, spiegando che ognuno di loro tratterà un aspetto diverso delle contrattazioni: politica, società, economia e diritti umani.

“La possibilità  di un esito positivo del dialogo nazionale é pari a zero”, afferma Shadi Hamdi dell’istituto di ricerca Brookings Centre in Doha. Il portavoce del partitio di opposizione Wefaq, Khalil al-Marzuq, annuncia intanto:” La situazione é bollente. Se la gente perde la speranza che il dialogo nazionale possa fare qualcosa di serio per risolvere i problemi del popolo, non so come riusciremo a tenere le cose sotto controllo”.

*Nena News.

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