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Vittorio, un timbro per la verità

 

L’inchiesta condotta dalla Procura militare di Hamas sul sequestro e l’assassinio dell’attivista e giornalista italiano – compiuti da un (presunto) gruppo salafita esattamente tre mesi fa a Gaza – si è chiusa nella seconda metà di giugno, come le autorità avevano annunciato il mese scorso e riportato dal manifesto. Il file è stato consegnato ai giudici militari che lo stanno esaminando e si preparano a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per due palestinesi (al momento in carcere) coinvolti nell’omicidio (altri due sono rimasti uccisi in un conflitto a fuoco con reparti scelti di Hamas poco dopo l’assassinio di Vik, un quinto indagato è in libertà vigilata). Tuttavia l’assicurazione data da più parti all’avvocato italiano Davide Tundo, che per mesi è stato consulente a Gaza city del “Centro per i Diritti Umani” e costante punto di riferimento della famiglia Arrigoni, che il fascicolo sarebbe stato messo a sua disposizione in modo da essere portato in Italia e tradotto, non è stata sino ad oggi realizzata. E’ chiaro da tempo che solo la diffusione dei verbali degli interrogatori degli imputati potranno chiarire i motivi che hanno spinto i rapitori a prendere in ostaggio Vittorio, il perché del suo assassinio e se è esistita una regia esterna.

La speranza si è trasformata nell’ennesima delusione. A riferire al manifesto questo passaggio dall’entusiamo allo scoraggiamento è lo stesso Tundo, rientrato da qualche giorno in Italia. «Il fascicolo relativo alle indagini è stato depositato il 23 giugno – racconta l’avvocato -, quel giorno con un collega del Centro per i Diritti Umani ci siamo recati in Procura (a Gaza city, ndr). Era l’occasione che aspettavamo da tempo: io ero in partenza pochi giorni dopo e avevamo insistito con le autorità locali affinché il deposito del fascicolo avvenisse in tempo utile da permettermi di ottenere tutte le copie necessarie da consegnare alla famiglia Arrigoni». Sembrava fatta, e invece. «Seduto e trepidante in Procura – prosegue Tundo – osservavo l’impiegato fare copia del fascicolo, nonostante le bizze della fotocopiatrice. Ma all’improvviso è arrivato il colpo di scena. Ci viene detto che la procura che avevamo ottenuto (dalla famiglia Arrigoni) di seguire le indagini e portare in Italia quel prezioso file non andava più bene». «Si trattava solo di apporre i timbri di “conformità” e pagare il dovuto – aggiunge il legale  – ma il procuratore capo ha bloccato tutto. A suo dire la traduzione in arabo della procura doveva avvenire da parte della Delegazione Palestinese in Italia, con apposizione del relativo timbro, più un altro timbro non meglio specificato del Ministero degli Esteri italiano». Una carenza legale mai rilevata prima. «Da quel giorno – conclude l’avvocato italiano – è iniziato un tira e molla che non ha portato risultati: le copie sono rimaste lì (a Gaza) e con esse la verità nella vicenda di Vittorio, secondo gli inquirenti di Hamas».

Questo atteggiamento ostruzionistico delle autorità di Hamas non nasce dall’irrazionalità, ma punta evidentemente ad obiettivi molto  concreti. E non si tratta in ogni caso di paura della verità. Chi scrive, alla luce degli elementi a sua disposizione, esclude che Hamas, come organizzazione politica e militare, sia coinvolta nella pianificazione ed esecuzione del sequestro di Vittorio (così come tende ad escludere la «regia esterna»). E’ possibile invece che il governo di Hamas voglia usare la tragica vicenda di Vittorio Arrigoni per conquistare riconoscimenti politici. Ma se quello della Delegazione Palestinese in Italia (quindi dell’Anp di Abu Mazen) è relativamente facile da ottenere, quello del Ministero degli esteri italiano potrebbe rivelarsi un ostacolo insuperabile. L’Italia di Silvio Berlusconi rifiuta qualsiasi rapporto con Hamas e alla luce dei suoi stretti rapporti di amicizia e di alleanza con Israele, è assai improbabile che accetti di ufficializzare, con un timbro del ministero degli esteri, un documento destinato al movimento islamico. Non vorremmo perciò che i desideri nascosti di Hamas e l’intransigenza del governo di Roma neghino la possibilità di poter apprendere informazioni decisive ai famigliari di Vittorio su quanto è accaduto tra il 14 e il 15 aprile scorsi. I genitori, Egidia Beretta ed Ettore Arrigoni, la sorella Alessandra, la compagna di Vik, hanno il diritto di sapere e con essi tutti coloro che in Italia e in vari paesi amavano e stimavano Vittorio e il suo lavoro a sostegno dei diritti dei palestinesi di Gaza.

questo articolo e’ stato pubblicato il 15 luglio 2011 dal quotidiano Il Manifesto

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