Roma, 13 agosto 2011, Nena News – E’ giusto tirare le somme della «rivoluzione del 25 gennaio» a sei mesi dalla caduta del raìs Hosni Mubarak? Alaa al Aswani pensa di sì. Scrittore di punta, intellettuale impegnato in politica che, anche con i suoi romanzi, ha svolto un ruolo di primo piano nella denuncia del regime di Mubarak, Aswani non risparmia critiche al Consiglio supremo delle Forze Armate che guida la transizione egiziana dallo scorso 11 febbraio. «Non sono soddisfatto, le cose dovrebbero andare in modo molto diverso», dice scuotendo la testa. Laureato in odontoiatria a Chigaco, Aswani dieci anni fa ha deciso di seguire le orme del padre scrittore, Abbas al Aswani, scrivendo un romanzo, «Palazzo Yacoubian» (2002) – che racconta la brulicante vita di un edificio del centro del Cairo in cui gli abitanti affrontano la corruzione e la brutalità del regime – diventato in poco tempo un best seller in tutto il mondo. La sua capacità di catturare la vita dell’Egitto in tutte le sue diversità, dalla società alla politica, ha portato molti a paragonarlo al Premio Nobel per la letteratura Neguib Mahfouz. Abbiamo incontrato Alaa al Aswani nel suo studio di Garden city, al Cairo.
D. A che punto siamo tre mesi dopo le dimissioni di Hosni Mubarak?
R. Diciamo che sono avvenute tre cose: Mubarak non è più al potere, Mubarak è sotto processo e siamo passati dall’inverno all’estate (sorride).
D. Un giudizio secco, che chiama in causa il Consiglio supremo delle Forze Armate (Csfa) che guida l’Egitto dal giorno della caduta di Mubarak.
R. E’ inutile girarci intorno. I militari stanno guidando la rivoluzione in modo rivoluzionario. Non è un gioco di parole. Il Consiglio supremo delle Forze Armate non sta muovendo i passi necessari per proteggere le conquiste fatte tra gennaio e febbraio dal nostro popolo, dai nostri giovani. La rivoluzione ha costretto Mubarak a farsi da parte dopo trent’anni ma questo è solo il primo atto di un processo che deve portare all’eliminazione del vecchio regime. I militari invece hanno accettato le dimissioni (dell’ex presidente) per mantenere intatto il regime, la loro idea della rivoluzione è completamente diversa da quella di coloro che l’hanno fatta in piazza Tahrir. In questi sei mesi le forze protagoniste della rivolta anti-Mubarak hanno dovuto fare enormi pressioni sul Csfa per proseguire sulla strada del cambiamento e i militari hanno risposto a queste pressioni sempre in ritardo e con riluttanza.
D. I generali egiziani spingono per la stabilità e per ottenerla, secondo l’opinione di molti egiziani, hanno stretto un’alleanza di fatto con i movimenti islamisti, come i Fratelli musulmani e i salafiti. Lei cosa ne pensa?
R. Non ho le prove per confermare l’esistenza di questa alleanza. Posso dire però che le formazioni politiche ad orientamento religioso sostengono tutto ciò che annunciano e decidono i generali e criticano duramente coloro che puntano l’indice contro i militari. E’ puro opportunismo politico. Posso affermare con certezza invece che questi movimenti islamisti hanno stretto un patto tra di loro dal quale l’Egitto deve guardarsi. I salafiti sono persone che vivono come mille anni fa, senza televisione, radio, cinema, tengono le donne segregate in casa. Gli attivisti della Gamaa al Islamiyya fino a non molti anni fa attaccavano i posti di polizia, lanciavano attacchi armati contro i musulmani non osservanti, i cristiani e i turisti stranieri. Queste forze non possono essere un punto di riferimento per il futuro del nostro paese. Ma non sono preoccupato anche se i sauditi stanno finanziando generosamente i salafiti. I fanatici non rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione egiziana e non avranno un peso eccessivo nella politica nazionale.
D. Il 29 luglio però erano in centinaia di migliaia nelle strade dell’Egitto ad invocare la creazione di uno Stato islamico mentre la manifestazione (prevista ieri) dei sufi (mistici islamici), dei cristiani, dei giovani della rivoluzione e dalle forze politiche progressiste è stata rinviata, anche per i dissensi esplosi tra gli organizzatori. Non crede di sottovalutare il peso degli islamisti?
R. No, perché gli islamisti riescono a dare molta visibilità alle loro iniziative ma non godono di larghi consensi. Il 29 luglio sono stati in grado di portare tante persone in strada perché, grazie ai finanziamenti che ricevono, hanno garantito i trasporti e il vitto ai dimostranti. Ma la realtà dice che i sufi, che rigettano l’islamismo radicale, in questo paese sono 10-15 milioni. In Egitto la popolazione è tollerante, vive e lascia vivere, è lontana dal fanatismo. Il nostro paese è multiculturale. Mi preoccupa molto di più la piega che ha preso la situazione post-rivoluzionaria. La polizia è la stessa, molti degli uomini del regime di Mubarak sono rimasti al loro posto, il regime è lo stesso. Sabato (oggi per chi legge,ndr) avremo una riunione per discutere proprio di questo.
D. E chi parteciperà a questa riunione?
R. Diversi intellettuali, qualche esponente della politica. Preferisco non dare altri particolari perché si tratta di una riunione riservata di persone che desiderano un futuro di progresso e sviluppo per l’Egitto e tutti i suoi abitanti.
D. Parliamo proprio degli intellettuali. Come giudica il loro ruolo nella rivoluzione.
R. Se per intellettuali intendiamo gli scrittori, i giornalisti, i cineasti, allora la loro partecipazione prima e dopo la rivoluzione è stata minima, deludente. Per il semplice fatto che molti di questi intellettuali erano al servizio del regime di Mubarak. Se invece per intellettuali consideriamo anche, come faccio io, gli studenti universitari, i giudici, i blogger, allora la partecipazione è stata importante e decisiva.
D. Nei prossimi mesi si terranno le elezioni, legislative e presidenziali. L’attenzione al momento è concentrata sulla futura composizione dell’Assemblea del popolo e si parla poco del futuro capo dello stato. Si fanno molti nomi per quella carica, tra i quali quello dell’ex segretario generale della Lega araba Amr Musa e c’è anche una candidata donna, la giornalista Butheina Kamel. Lei chi vorrebbe come presidente dell’Egitto?
R. Non ho ancora fatto una scelta ma al momento vedo bene Mohammed el Baradei (l’ex direttore dell’Agenzia internazionale per l’enegia atomica rientrato in Egitto all’inizio del 2010, ndr) che, a mio avviso, grazie alla sue posizioni di apertura verso le varie componenti della nostra società potrebbe diventare un buon presidente. In futuro però potrebbero emergere figure altrettanto positive ed importanti, meglio rinviare le scelte ad momento opportuno. Nena News
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