GAZA
Vittorio Arrigoni è stato strangolato tra le 23 del 14 aprile e l’1 di notte del 15. Era ancora vivo nel video girato dai suoi rapitori e messo in rete. Il volto tumefatto e sanguinante dell’attivista e giornalista italiano mostrato dalle immagini filmate era il risultato dei colpi durissimi che aveva ricevuto, in particolare uno inferto alla testa con il calcio di una pistola da Bilal al Omari, suo occasionale compagno di palestra, nelle prime fasi del sequestro allo scopo di fermare il suo tentativo di liberarsi e fuggire.
E’ la verità degli imputati – Mohammed Salfiti, 23 anni di Karama; Tarek Hasasnah, 25 anni di Shate; Amer Abu Ghoula, 25 anni di Shate e Khader Jram -, che forse non corrisponde pienamente a quanto è accaduto. Inoltre altri due componenti del gruppo di rapitori, il giordano Breizat e il palestinese al Omari, considerati i «capi» della cellula salafita, non possono raccontare la loro versione. Sono stati uccisi un paio di giorni dopo il ritrovamento del corpo di Vik durante il blitz effettuato nel loro rifugio di Nusseirat da una unità scelta di Hamas. Tuttavia è la prima volta, cinque mesi dopo l’assassinio di Vittorio, che viene reso noto, anche se solo in parte, il file delle indagini svolte dalla procura militare di Hamas (tutti e quattro gli imputati sono membri con compiti diversi delle forze di sicurezza) e mai consegnato ai legali della famiglia Arrigoni. Due giorni fa è finalmente giunta dall’Italia a Gaza la procura (sulla base dei criteri fissati dal movimento islamico) a favore del Centro palestinese per i diritti umani che rappresenterà i famigliari di Vik all’udienza di domani. Si spera che Hamas non trovi ulteriori pretesti per non riconoscerla.
Perché è stato ucciso Vittorio che a Gaza aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita e dove godeva della stima di tanti palestinesi? L’avvocato Najar ha una lunga risposta a questa domanda che da mesi si pongono tanti. «Dalle confessioni e dichiarazioni del mio assistito e dagli altri imputati emerge che l’intento del gruppo, informale non una vera e propria organizzazione, era quello di sequestrare un occidentale per ottenere la liberazione dello sceicco Abdel-Walid al-Maqdisi, arrestato da Hamas per attività sovversive», ha spiegato Najar. «Breizat era tornato a Gaza (vi era entrato la prima volta un anno e mezzo prima e vi aveva fatto ritorno, grazie a documenti falsi, tra febbraio e marzo 2011, ndr) allo scopo preciso di trovare un modo per liberare lo sceicco Maqdisi che era stato suo maestro in Giordania», ha aggiunto l’avvocato sostenendo che «attraverso il rapimento i giovani volevano affermare l’esistenza della loro cellula armata (ideologicamente legata a Tawhid wal Jihad, ndr) e non avevano intenzione di uccidere l’italiano». Vero, falso? Najar alza la spalle. «Questo è ciò che leggo negli atti». Perché proprio Vittorio Arrigoni? «Il mio assistito (Jram) che lavorara nella stazione dei vigili del fuoco davanti ad un edificio frequentato da Vittorio, mi ha detto di aver insistito molto su quel nome perché era conosciuto a Gaza e perché, secondo lui, l’italiano conduceva una vita poco conforme ai costumi locali, troppo da occidentale». In sostanza, ha spiegato il legale, «il fine del rapimento era di far liberare prima di ogni altra cosa Maqdisi e subito dopo dare una lezione all’italiano: pestarlo, impaurirlo e poi liberarlo».
Ma le cose sono andate in modo diverso e Vik è stato brutalmente ucciso. «La polizia di Hamas (la sera del 14 aprile, ndr) ha ricostruito in poche ore la dinamica del rapimento e ha arrestato subito Khader Jram che seguiva i movimenti di Arrigoni, gli aveva parlato la sera del sequestro e aveva segnalato i suoi spostamenti ai complici. Per evitare la cattura perciò Breizat ha ucciso l’italiano e con altri due complici ha provato a far perdere le tracce, assieme ad altri due (al Omari e Salfiti,ndr) ma sono stati rapidamente individuati». La figura del giordano, descritto come freddo e calcolatore dagli altri membri del gruppo, rimane un mistero anche nell’indagine svolta da Hamas. Scorrendo gli atti, l’avvocato Najar dice che la procura militare non è stata in grado di accertare collegamenti tra Breizat e «forze esterne» interessate ad eliminare Vittorio Arrigoni, ma gli investigatori non li escludono.
L’impressione che abbiamo ricavato ieri è che durante il processo l’avvocato Najar e i legali degli altri imputati addosseranno a Breizat e al Omari, che non possono più parlare, le responsabilità maggiori. Salfiti, ad esempio, ha dichiarato sotto interrogatorio che quando Vittorio è stato ucciso «lui era al gabinetto» e di non aver visto nulla. Hasasnah ha fornito una versione simile. Jram invece afferma di aver avuto un ruolo secondario, non operativo, nella gestione del sequestro mentre al Ghoula dice di aver soltanto dato in affitto l’appartamento usato dai rapitori per nascondere Vittorio e di non aver mai saputo delle intenzioni del gruppo armato. Assisteremo perciò ad un intenso «scaricabarile». Jrar nel frattempo si dichiara «molto pentito» per aver insistito sul rapimento di Vik e spera in una condanna a pochi anni di carcere. Spetterà al giudice militare Abu Omar Atallah fare chiarezza mettendo fine alle reticenze delle autorità di Hamas che in cinque mesi non hanno diffuso alcun comunicato sull’assassinio di Vittorio. Persino la data del processo non è stata annunciata.
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