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Le Farc colombiane: “Continuiamo la lotta”

In un comunicato pubblicato dell’agenzia Anncol, le Farc hanno anche rigettato l’appello alla smobilitazione lanciato dal presidente colombiano Juan Manuel Santo.

“La pace in Colombia non nascerà con la smobilitazione della guerriglia, ma con l’abolizione delle cause che danno luogo alla rivolta”, avevano a loro volta asserito le FARC in un comunicato diffuso dal loro sito web.

In questo contesto, sono emersi i nomi di quattro persone considerate i possibili successori di Cano.

Cano, leader delle FARC, 63 anni, era stato ucciso venerdì in un combattimento avvenuto sulle montagne del Cauca, nel sud-ovest, del paese.

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Maurizio Matteuzzi
Ucciso il capo delle Farc 
Due interrogativi: vedere chi sarà il
successore e se la via del negoziato è più vicina
Prima Raul Reyes, il «ministro degli esteri», nel 2008; poi il Mono Jojoy, il capo dell’ala militare, nel 2010; ora Alfonso Cano, il jefe maximo.
I militari colombiani (solo colombiani o come negli altri casi poderosamente guidati dalle forze speciali Usa?) hanno inferto un colpo durissimo alle Farc, il gruppo guerrigliero più longevo dell’America latina, 47 anni. Un esultante presidente della repubblica Juan Manuel Santos, ex-ministro della difesa con Alvaro Uribe, ha potuto mandare il messaggio al paese e al mondo dell’uccisione di Alfonso Cano – «il colpo più devastante a questo gruppo nella sua storia» -, accompagnato da una minaccia a «tutti i membri dell’organizzazione: smobilitate o finirete in galera o in una tomba».
Il ministro della difesa Juan Carlos Pinzon ha poi spiegato che Cano è stato raggiunto e ucciso in un’operazione nelle montagne del dipartimento di Cauca, nel sud-ovest della Colombia. Rintracciato attraverso intercettazioni telefoniche, prima gli aerei hanno bombardato l’accampamento e poi gli elicotteri hanno scaricato gli uomini che hanno ucciso il leader delle Farc e «molti altri» guerriglieri. Un’operazione da mille uomini. Probabilmente è servita anche la taglia di 4 milioni di dollari sulla sua testa.
Il cadavere di Cano, senza i grossi occhiali e rasato della fluente barba, è stato mostrato in tv.
Alfonso Cano era il nom de guerre di Guillermo Leon Saenz. Era nato a Bogotà nel ’48 da una famiglia di classe media e aveva studiato antropologia e diritto nella prestigiosa Università nazionale della capitale. Si era unito alla Joventud comunista negli anni ’60-’70 e poi aveva fatto il salto verso la lotta armata ed era entrato nelle Farc alla fine di quel decennio, divenendo l’esponente più in vista dell’ «ala politica» sotto la protezione dei due più riconosciuti leader dell’organizzazione, prima Jacobo Arenas, morto nel ’90, poi di Manuel Mirulanda «Tirofijo», morto nel 2008. 
Aveva preso parte a tutti i diversi – e infruttuosi – tentativi di arrivare a una soluzione negoziata della guerra civile strisciante che dal ’67 si vive in Colombia: nei primi anni ’80 con il presidente conservatore Belisario Betancur, nei primi anni ’90 in Venezuela e Messico con il presidente liberale Cesar Gaviria, fra il 1999 e il 2002 nel Caguan, in Colombia, con il presidente conservatore Andres Pastrana.
Ora si aprono due ordini di interrogativi. Il primo è vedere chi succederà a Cano, il secondo è capire se la sua morte spianerà la strada a una soluzione negoziata.
Fra i possibili successori si fanno vari nomi. I più probabili sembrano al momento quelli di Ivan Marquez, l’uomo più vicino a Cano e un sopravissuto della strage della Union Patriotica (il tentativo di dare vita a una sinistra «civile» negli anni ’80-’90 finito nello sterminio, con l’attiva partecipazione dell’establishment politico-militare, di 3000 militanti e attivisti, fra cui vari candidati alla presidenza della repubblica), e di «Timochenko», nome di battaglia di Rodrigo Londoño, un medico in origine formatosi nei paesi dell’antico blocco sovietico, considerato esponente dell’ala più dura. Ma questi e gli altri candidati sono capi «regionali» e questo potrebbe avere delle conseguenze nel futuro delle Farc.
Il secondo interrogativo è cosa succederà ora. Santos, nel suo primo anno da presidente, ha cercato di liberarsi dall’ombra inbarazzante del suo predecessore Uribe, smarcandosi via via ma subendo le sue critiche per aver allentato la morsa della «sicurezza democratica», la guerra senza quartiere che è stata il marchio degli 8 anni di Uribe. Con l’eliminazione di Cano – il primo capo supremo delle Farc abbattuto sul campo – può esibire un trofeo di enorme valore e puo liberarsi dall’ingombrante predecessore (e suo ex-mentore). I militari e i servizi colombiani – finanziati, addestrati, guidati dagli specialisti Usa grazie ai miliardi del Plan Colombia – hanno mostrato di saperci fare. Ma di qui a credere che il conflitto armato in Colombia sia vicino alla fine il passo è lungo.
Nonostante non controllino più «la metà del paese» come negli anni ’90, le Farc mantengono una capacità militare significativa, alimentata anche dai proventi del narco-traffico. Secondo Nuevo Arcoiris, una ong colombiana, nel primo semestre dell’anno, le Farc hanno incrementato le azioni armate del 10% rispetto allo stesso periodo del 2010. Ma ci sono gli ottimisti che sperano che l’uccisione di Cano e l’indebolimento indubbio, spingano le Farc sulla via del negoziato.

 

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Il comunicato dell’Associazione nazionale Nuova Colombia

L’ASSASSINIO DEL COMANDANTE ALFONSO CANO E’ UN ATTACCO VIGLIACCO ALLA LOTTA PER LA PACE CON GIUSTIZIA SOCIALE!

Nella giornata di venerdì 4 novembre, dopo intensi bombardamenti e cruenti e prolungati scontri, è caduto combattendo il Comandante in Capo delle FARC-EP, Alfonso Cano.

Tra brindisi trionfalistici e conati di bile reazionaria, gli oligarchi e i loro lacchè, i filoimperialisti e i borghesi di ogni risma fanno festa danzando intorno all’altare della resa e della smobilitazione della guerriglia, che però esistono soltanto nei loro sogni e nelle loro menti perverse.

Con la perdita di uno dei più brillanti dirigenti politico-militari della resistenza colombiana, il movimento insorgente e quello popolare subiscono certamente un duro colpo. Alfonso Cano, oltre ad essere il Comandante in Capo delle FARC, era anche un riferimento intellettuale, teorico ed etico per milioni di colombiani e latinoamericani che ne hanno sempre apprezzato lo spirito di sacrificio, la lucidità d’analisi, le grandi capacità politiche e la profonda cultura.

Tuttavia, come già avvenuto in occasione dell’assassinio dei Comandanti fariani Raúl Reyes e Jorge Briceño, e della morte per cause naturali del leggendario Manuel Marulanda, le FARC hanno dimostrato di poter rimpiazzare qualsiasi dirigente e di sopperire agli eventuali scompensi causati dai colpi inferti dal nemico grazie al principio della direzione collettiva, ad un’innegabile solidità organica e politico-ideologica e, cosa ancor più importante, al profondo radicamento tra le masse popolari.

Pertanto, quando l’oligarchia capeggiata da Santos promette un’imminente smobilitazione della guerriglia e una rapida conclusione manu militari del conflitto sociale ed armato colombiano, mente spudoratamente. E lo fa dopo mesi e mesi in cui gli stessi media di regime riconoscevano l’estrema difficoltà delle forze armate governative -e dell’intero apparato repressivo- nel far fronte all’incessante operatività delle FARC in tutta la Colombia, che solo nel 2010 avevano realizzato 2272 azioni e messo fuori combattimento 4341 militari e poliziotti, tra morti e feriti.

Di conseguenza, continua ad essere assolutamente necessaria una soluzione politica del conflitto, per porre fine al bagno di sangue provocato dall’imperterrita politica guerrafondaia del regime narco-mafioso e dall’imperialismo, e per veicolare quelle trasformazioni strutturali di cui il paese ha un disperato bisogno. E’ il clamore della maggioranza del popolo colombiano, come dimostrano le tenaci lotte dei lavoratori petroliferi contro gli scempi delle multinazionali, le inarrestabili mobilitazioni degli studenti contro la mannaia privatizzatrice della Riforma dell’educazione, l’indomabile resistenza indigena e contadina e l’ennesima, maggioritaria astensione al circo delle recentissime elezioni amministrative.

Chiamiamo tutti i movimenti, comitati, collettivi, partiti, associazioni, sindacati e singole persone solidali con la lotta dei popoli a pronunciarsi con forza. La nostra Associazione denuncia ancora una volta il fascista governo Santos, che a parole dice di esser disposto a dialogare con la controparte ma poi fa di tutto per assassinarne i dirigenti, e ribadisce – come ha sempre fatto in oltre un decennio d’incessante attività solidale con le lotte del popolo colombiano – che senza giustizia sociale, né in Colombia né altrove, mai potrà esserci una vera pace.

Associazione nazionale Nuova Colombia 6 novembre 2011

 

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