«La pace in Colombia non nascerà da nessuna smobilitazione delle guerriglia bensì dalla dall’abolizione definitiva delle cause che hanno portato alla rivolta», avevano risposto le Farc il giorno dopo, pur non chiudendo la porta al negoziato per arrivare «alla soluzione politica del conflitto».
Ieri nuovo comunicato: «Vogliamo informarvi che il compagno Timoleón Jiménez, con il voto unanime dei membri del segretariato, il 5 novembre è stato designato nuovo comandante in capo delle Farc». Rodrigo Londoño Echeverry, il vero nome di Jiménez, noto anche come Timochenko, era uno dei due candidati del segretariato (composto da 7 membri, ora ridotti a 6 dopo la morte di Cano) di cui si faceva il nome: uno Iván Márquez, comandante del Blocco Caribe, uomo molto vicino a Cano e come lui considerato esponente dell’ala più «politica»; l’altro Timochenko, capo del Blocco Magdalena Medio e considerato l’esponente dell’ala più «militare». Un segnale preciso che, pur nell’indebolimento generale delle Farc, rende improbabile un cambio di strategia. Con Timochenko «la continuità del piano strategico per la presa del potere da parte del popolo è garantita», scrive il comunicato.
Timochenko è uno dei meno conosciuti fra i membri del segretariato. Anche della sua vita si sa poco. Secondo un dossier diffuso dalla Procura generale colombiana, è nato il 22 gennaio 1959 a Calarcá, dipartimento di Qindío, nel centro della Colombia; andò a laurearsi in medicina a Mosca e all’Avana, poi a ricevere addestramento militare in Jugoslavia prima di tornare in Colombia e, nell’82, entrare nelle Farc, nel Fronte del dipartimento di Antioquia, dove salì rapidamente nella gerarchia interna, tanto che nell’86 era già il quinto fra i 7 del segretariato. Dopo fu spostato al comando del Blocco del Magdalena Medio, un’area strategia nel nord-est del paese. Antioqia, il dipartimento che ha come capitale Medellin, e Magdalena Medio possono in parte spiegare il radicalismo attribuito a Timochenko. Sono le due regioni che fra gli ’80 e i ’90 videro la nascita dei paramilitari, le squadracce-killer d’estrema destra all’inizio alimentate dal narco-boss del Cartello di Medellín Pablo Escobar, e amorevolmente curate dalle forze armate: lì la guerra fra le Farc e le Auc fu particolarmente selvaggia e senza quartiere. Timochenko, l’ha subito confermato il ministro degli interni German Vargas Lleras, diverrà il nuovo bersaglio prioritario dei militari colombiani (e Usa che li assistono nel Plan Colombia). I 5 milioni di dollari messi da Washington sulla sua testa (come «narco-trafficante») aiuteranno, ma Timochenko potrebbe rivelarsi un bersaglio difficile: come capo dell’intelligence delle Farc pare che sia prudente fino alla paranoia, che non dorma mai due notti nello stesso posto, che si muova con molta disinvoltura dalla parte venezuelana del confine (nello stato di Zulia) attraverso i monti della Serrania del Perijá, dove – sostiene almeno la Procura colombiana di aver appreso dai famosi files miracolosamente recuperati dal Pc di Raúl Reyes, il numero due delle Farc ucciso nel 2008 a seguito di un raid in territorio ecuadoriano – avrebbe «solidi legami con elementi, sia politici che militari, del regime di Chávez». Nuovi problemi con il Venezuela in vista?
da “il manifesto”
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