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Si spaccano le organizzazioni islamiche egiziane

I Fratelli Musulmani d’Egitto, la forza politica meglio organizzata del paese, hanno annunciato che non parteciperanno alle manifestazioni di massa previste per oggi in piazza Tahrir, al Cairo, contro la giunta militare al potere. Il Partito della Libertà e Giustizia, organo politico dei Fratelli musulmani, ha annunciato che questa decisione nasce dalla preoccupazione di non “trascinare il popolo verso nuovi scontri sanguinosi con partiti che cercano vantaggi dalle tensioni” secondo un comunicato sul suo sito internet.

Al contrario invece il Fronte Salafita egiziano ha annunciato che parteciperà alla grande manifestazione prevista per oggi in Piazza Tahrir, al Cairo, contro il Consiglio Supremo delle Forze armate, al potere dalla caduta di Hosni Mubarak. Il movimento islamico radicale ha fatto sapere tramite i social network che chiede una tabella di marcia chiara per la transizione del potere a un governo civile, processi rapidi per i responsabili delle uccisioni di manifestanti che si sono registrate in questi giorni, risarcimenti per le famiglie di quanti sono stati uccisi o feriti nelle proteste. Il Fronte Salafita ha rivolto un appello ai suoi sostenitori affinchè si radunino per protestare non solo in Piazza Tahrir, ma in tutto il paese.

La situazione in Egitto continua a rimanere molto confusa. Il primo ministro, Essam Sharaf, e il suo governo, hanno presentato ieri sera le dimissioni, rimettendo il proprio mandato a disposizione del Consiglio Supremo delle Forze Armate il quale non ha ancora preso una decisione chiara e sta valutando se accettarle o meno invitando le forze politiche a un dialogo urgente per esaminare la crisi. Quello che al momento appare ancora certo è che le elezioni parlamentari si terranno secondo il calendario previsto, a partire dal prossimo 28 novembre, indipendentemente dalle sorti del governo Sharaf, come ha precisato l’attuale vice premier Ali el Selmi.

Dopo la giornata di ieri che aveva visto pochi incidenti tra manifestanti e forze di polizia, in serata ci sono invece stati nuovi scontri e i manifestanti hanno tentato di raggiungere la sede del ministero dell’Interno, presidiato da carri armati e agenti in tenuta antisommossa che hanno respinto i giovani sparando lacrimogeni. Sempre in serata, ad Alessandria, un poliziotto è morto, mentre cinque manifestanti e altri sei agenti della polizia sono rimasti feriti in scontri.

Qui di seguito un interessante articolo di Michele Giorgio

L’esito della seconda rivoluzione egiziana è nelle mani dei Fratelli musulmani
Michele Giorgio

È nelle mani dei Fratelli musulmani, e delle altre formazioni islamiste, la chiave del successo di una possibile «seconda rivoluzione» egiziana, volta a portare a compimento la prima, del 25 gennaio, contro Hosni Mubarak e far cadere il regime, oggi rappresentato dall’alleanza tra il Consiglio supremo delle Forze Armate e l’establishment economico che tiene strette nelle sue mani le redini del Paese. I Fm – che i sondaggi indicano come il partito di maggioranza relativa che uscirà dalle elezioni che cominciano il 28 novembre (se confermate) – hanno annunciato che parteciperanno oggi pomeriggio alla «marcia del milione» alla quale aderiscono decine di forze politiche e di movimenti di ogni colore. Ma quale sarà il loro atteggiamento verso il Consiglio Supremo delle Forze Armate (Csfa) resta l’interrogativo che si pongono in tanti. Si uniranno concretamente alla testuggine che stanno mettendo insieme tante anime della rivoluzione del 25 gennaio per scardinare l’intransigenza dei generali del Csfa? Sceglieranno senza ambiguità la piazza per impedire ai militari di ritagliarsi, anche a costo di tante vite umane, il potere di ultima parola nell’Egitto che attende un nuovo Parlamento, un nuovo Presidente e una nuova Costituzione?
Già durante la rivoluzione del 25 gennaio i Fratelli musulmani mantennero per diversi giorni un atteggiamento prudente, ai limiti dell’ambiguità, nei confronti della rivolta che cresceva in piazza Tahrir. Alla ricerca della legalizzazione da parte delle autorità, furono tra quelle formazioni che accettarono di dialogare con il vice presidente Omar Suleiman, incaricato da Mubarak di avviare colloqui con quell’«opposizione decorativa» che di fatto gli reggeva il gioco da anni. Poi, spinti dai loro giovani, dalla loro base, i leader del principale movimento islamista egiziano non poterono fare a meno di aderire pienamente alla rivolta che l’11 febbraio costrinse Mubarak a lasciare il potere e il Cairo. Oggi la presenza massiccia, compatta di centinaia di migliaia di attivisti e simpatizzanti dei Fm darebbe il colpo del ko ai militari che in questi mesi hanno fatto spesso affidamento proprio sugli islamisti per mantenere la pace sociale e frustrare le ambizioni di reale cambiamento dei rivoluzionari laici. Ma pochi credono che i Fm si spingano fino a tanto. «È difficile che gli islamisti più moderati scelgano la strada del confronto aperto con i militari che li hanno aiutati non poco», spiega Hani Shukrallah, direttore del sito online del quotidiano al Ahram.
La guida Mohammed Badei e i dirigenti dei Fm egiziani valutano varie opzioni. Da un lato sarebbero avvantaggiati, e non poco, da un rapido passaggio dei poteri ai civili e dal ritiro dei «principi sovra-costituzionali». I generali dello Csfa infatti vogliono darsi il diritto di ultima parola e la facoltà di respingere gli articoli della nuova costituzione qualora fossero in contraddizione con la carta da loro emanata lo scorso marzo. Dall’altro lato una seconda rivoluzione finirebbe per allontanare la conquista del potere politico che i Fm vedono a portata di mano, subito dopo le elezioni. Se, assieme alle altre forze islamiste, riusciranno a conquistare la maggioranza della nuova Assemblea del popolo (Camera bassa), i Fratelli musulmani potranno scrivere la nuova Costituzione con articoli più aderenti ai principi religiosi. Sarebbe un traguardo eccezionale se si pensa che appena un anno fa, gli islamisti egiziani erano persequitati, tenuti sotto pressione e privati del diritto di partecipare alle elezioni con un loro partito.
Ecco perché Mohamed Badei esita a dare pieno appoggio a chi, anche nella base del suo movimento, chiede, come a gennaio, «la caduta del regime». Ai Fratelli appare più allettante, e meno rischiosa, la richiesta, comune a gran parte delle forze politiche, della formazione immediata di un governo di salvezza nazionale per gestire la fase di transizione. Troppa cautela potrebbe però esporre Badei alle critiche dei leader salafiti più radicali, che accusano la Fratellanza di guardare troppo al conseguimento di traguardi politici immediati e troppo poco a una sollevazione popolare che, nei loro disegni, dovrebbe fare dell’Egitto un vero paese islamico.

da “il manifesto”

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