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Damasco sulla via di Tripoli

Dalle rive del Bosforo, il neo ministro degli esteri Giulio Terzi, al termine dei colloqui avuti ieri con suo omologo turco Ahmet Davudoglu, ha ribadito l’appoggio italiano all’«opposizione organizzata» siriana. Più che organizzata, l’opposizione al regime di Bashar Assad appare sempre più armata. Damasco ieri ha ammesso l’uccisione, giovedì in un agguato, di sei piloti dell’aeronautica militare e di quattro avieri. A rivendicare l’attentato è stato il cosiddetto Esercito libero siriano (Esl), che raccoglierebbe migliaia di disertori. L’abilità evidenziata da questi militari oppositori di Assad desta non pochi interrogativi. Nelle ultime settimane l’Els ha attaccato con precisione millimetrica obiettivi militari di primo piano provocando danni e diverse vittime. Appena qualche giorno fa ha colpito una base militare poco fuori Damasco e la sede del partito di governo Baath nella capitale, riuscendo a svanire nel nulla dopo gli attacchi. Un mordi e fuggi talmente efficace che genera il sospetto che i disertori siano assistiti da «specialisti» giunti dall’estero, come i «tawar» libici che sono stati aiutati non solo dai massicci bombardamenti della Nato ma, segretamente, anche da unità militari scelte arrivate dall’Europa.

Il sospetto di un coinvolgimento straniero non assolve, ovviamente, il regime siriano dall’aver scatenato una repressione violenta delle proteste, che hanno causato sino ad oggi almeno 3.500 morti (mille dei quali, secondo le autorità siriane, sarebbero militari uccisi negli scontri). Il Comitato Onu sulla tortura ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani in Siria compiute dal regime, in modo particolare casi di tortura che hanno coinvolto anche bambini. Ieri una manifestazione di protesta si è svolta anche ad Aleppo e in tutto il paese 18 persone sono state uccise, secondo quanto riferito dai Comitati di coordinamento locali. Al tempo stesso è evidente che poco alla volta si sta cercando di imporre alla Siria lo scenario libico. Ieri è scaduto l’ultimatum di 24 ore della Lega araba a Damasco perché accetti l’arrivo di 500 osservatori, senza che l’organizzazione abbia ottenuto una risposta da parte del presidente Assad. Il prossimo passo sembra essere, quindi, quello delle sanzioni economiche. Oggi è in agenda una riunione dei ministri delle finanze arabi per discutere di pesanti misure punitive alla Siria, che potrebbero essere sottoposte già domani ai rappresentanti dei paesi membri della Lega. Reticenti su di una «internazionalizzazione» della questione siriana, i ministri degli esteri arabi avevano però chiesto giovedì all’Onu di «prendere le misure necessarie a sostegno degli sforzi della Lega araba per risolvere la crisi in Siria». È il via libera preliminare ad intervento armato di «Volenterosi» anche in Siria?
Gli indizi sono molti, anche perché il Consiglio di cooperazione del Golfo (monarchie ed emirati), che domina la Lega Araba, lavora ad un piano simile a quello preparato per il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh, quindi all’abbandono del potere da parte di Assad. Lo ha riferito il sito del quotidiano al Sharq al Awsat, citando le dichiarazioni rilasciate dal ministro degli esteri saudita Saud al Faisal. «Abbiamo elaborato una soluzione che, crediamo, salverà il paese (la Siria) da un intervento esterno, nonchè dalla frammentazione e dal collasso economico», ha detto al Faisal a proposito del piano arabo imposto a Damasco, lasciando intendere che un rifiuto di Assad aprirebbe la strada ad un attacco straniero.
Dietro le quinte si parla di un possibile intervento limitato della Nato, di «corridoi umanitari» in Siria, ma non è detto che l’azione di forza arrivi dai paesi occidentali. La Turchia è pronta ad intervenire, anche senza la copertura della Nato, in accordo con i paesi arabi, ha spiegato ieri il ministro degli esteri Davutoglu durante la conferenza stampa tenuta con Terzi. Quest’ultimo si è spinto a fare notare che «il principio della non ingerenza negli affari interni non può avere un valore assoluto». Il primo passo potrebbe essere l’imposizione di due «zone cuscinetto» dentro il territorio siriano, al confine con la Turchia e a sud alla frontiera giordana.

da “il manifesto”

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