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De profundis per “faccia d’ananas” Noriega

 «Faccia d’ananas» l’affare è chiuso

Di carcere in carcere, di qua e di là dell’Atlantico, alla fine il generale Manuel Antonio Noriega è ritornato in patria, dopo esattamente 22 anni dall’invasione dei marines a Panama, che lo rovesciò da dittatore il 20 dicembre 1989.
«Faccia d’ananas» (come veniva soprannominato, per le profonde cicatrici di un’acne giovanile) dovrebbe restare comunque dietro le sbarre fin che campa (ha 77 anni e non è in buona salute) per i carichi pendenti con la giustizia di casa, che lo condannò a 60 anni di reclusione (ridotti a 20) come mandante dell’assassinio di tre oppositori.
Al suo arrivo all’aeroporto Tocumen, dove lo attendeva un gruppo di antichi sostenitori, Noriega è stato trasferito, nel mezzo di imponenti misure di sicurezza, al carcere El Renacer, poco lontano dalla zona del Canale, in una cella di 12 metri quadrati. Il governo ha cercato di depistare i giornalisti: traducendolo in carcere via terra e non in elicottero, com’era stato annunciato, e facendolo precedere alla prigione da due auto superscortate. Da ognuna, è sceso un uomo in sedia a rotelle, che però non era lui. «Motivi di sicurezza», ha spiegato la ministra dell’interno, Roxana Mendez: l’operazione serviva a «garantire che non si verificassero attentati». Noriega – ha poi assicurato alla stampa la ministra – «è entrato in carcere, accompagnato dal procuratore Prado e dal suo medico». L’avvocato di «Faccia d’ananas», Julio Berrioz, ha invece protestato per le modalità del trasferimento, che non gli hanno consentito di entrare subito in contatto con il suo cliente.
Il ministro degli esteri panamense, Roberto Henriquez (del governo del presidente Ricardo Martinelli, grande amico di Berlusconi), ha dal canto suo garantito che all’ex-dittatore non saranno riservati trattamenti di favore, né tantomeno (nonostante l’età) gli arresti domiciliari. Noriega, infatti, i primi 21 anni di galera a Miami (per una condanna per narcotraffico) se li era fatti in qualità di prigioniero di guerra: aveva un comodo appartamento e poteva vestire la divisa da generale.
In fin dei conti era stato catturato al termine di una vera e propria operazione bellica che l’allora presidente Usa, George Bush (senior), volle denominare «giusta causa». Ventisettemila marines della famigerata 82 Divisione Aviotrasportata (da Fort Bragg, North Carolina) furono paracadutati nella capitale panamense e in pochi giorni sbaragliarono le Forze di difesa comandate da Noriega, che il 16 dicembre (dopo aver annullato le elezioni) si era proclamato presidente de facto.
Non si è mai avuto un bilancio ufficiale delle vittime. Ma furono circa 4mila i morti di quel cruento blitz, in particolare civili nell’agglomerato urbano del Chorrillo, nei pressi del quartier generale panamense.
Noriega fu prelevato il 3 gennaio successivo dalla nunziatura apostolica di Città di Panama, dove si era rifugiato; portato in una prigione della Florida e messo sotto processo. La sua linea di difesa fu denunciare di essersi arricchito non di narcodollari bensì di lauti compensi della Cia che aveva servito per tre decadi. Fu ugualmente condannato a trent’anni; ma sempre trattato con i guanti bianchi.
A Noriega, per esempio, viene attribuito il sabotaggio dell’aereo in cui morì (nel luglio 1981) il generale Omar Torrijos, un antimperialista (non comunista) uomo forte di Panama dagli anni ’60, di cui Faccia d’ananas era l’infido secondo, nonché capo dell’intelligence. Il Pentagono non perdonò mai a Torrijos i Trattati Torrijos-Carter del 1977 che portarono (il 31 dicembre 1999) alla restituzione del Canale Interoceanico alla sovranità panamense: con la chiusura della Escuela de las Americas (dove si formarono tutti i generali dittatori latinoamericani) e la graduale e definitiva dipartita del Comando Sud della U.S. Force dalla Zona del Canale. Rimase storica quella frase di Torrijos che indusse Carter a negoziare: «basterebbe una scimmia per dinamitare il canale». Finì che Noriega si sostituì a Torrijos al vertice della Guardia nazionale panamense e, di fatto, alla guida del paese.
Noriega aveva forti legami col narcotraffico, in particolare con il cartello colombiano di Medellin del boss Pablo Escobar. Ha fatto il doppio e triplo gioco nella sua azzardata e misteriosa carriera. Fino a diventare un battitore libero assai scomodo anche per gli Stati uniti. Civettava con i sandinisti al potere in Nicaragua; e contemporaneamente foraggiava i contras di materiale bellico. Era diventato insomma una sorta di Saddam del Centro America.
Scontata la pena negli states, Noriega fece di tutto per evitare l’estradizione in Francia (controfirmata da Hillary Clinton) dove era stato condannato a 7 anni per riciclaggio di denaro sporco (per 2,3 milioni di dollari). Ma nell’aprile dello scorso anno dovette varcare l’Atlantico per essere tradotto in un penitenziario francese. E dire che nel 1987, con Chirac primo ministro, e Mitterrand capo di stato, aveva ricevuto la Legion d’onore. Anche a Parigi gli avvocati del generale Noriega chiesero invano l’applicazione della Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra. Ma un certo riguardo glielo hanno riservato. Fino a che hanno pensato che fosse meglio disfarsene estradandolo verso il suo paese natale.
Il tramonto dell’esistenza di «Faccia d’ananas» nelle patrie galere non si preannuncia esaltante. Eppure c’è ancora qualcuno che lo teme e chi specula che presto lo lasceranno andare.
Chissà se avrà ancora quel vezzo di portare le mutande color rosso contro il malocchio.

 

da “il manifesto”

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