La sua nomina, che segue di poche ore le dimissioni del suo predecessore Felipe Bulnes, fatte passare come dovute a questioni personali, testimonia tanto l’indurimento del conflitto che da quasi un anno tiene in scacco la società cilena, quanto l’incapacità del governo di far fronte alla forza e alla coscienza dell’enorme movimento che chiede la fine del modello pinochetista e del lucro nel sistema educativo del paese australe.
Beyer, economista, accademico, considerato un tecnocrate e fervente credente nel darwinismo sociale che è alla base dell’ideologia neoliberale, è un duro che si è sempre mostrato contrario ad un sistema educativo per tutti. Il gioco per il neoministro allora è quello di convincere i cileni che a fianco di un sistema d’élite destinato alle classi dirigenti, possa stare in piedi anche un sistema pubblico di qualità che comunque resterebbe sottofinanziato e non in condizione di competere col privato. Tutti i primi commenti alla nomina di Beyer da parte del movimento studentesco sono duramente negativi ed hanno già manifestato di non avere alcuna intenzione di incontrare il ministro.
Eppure Felipe Bulnes, predecessore di Beyer, in carica da luglio, e dimessosi il 30 dicembre, aveva tutto per riuscire. Avvocato, giovane, brillante esponente della vera aristocrazia cilena ma con un profilo più moderato rispetto al presidente Sebastían Piñera, sembrava la faccia presentabile del regime neoliberale cileno. Bulnes aveva l’esperienza adatta per sfiancare il movimento studentesco cileno atteso al riflusso dopo mesi di mobilitazioni. Questo aveva costretto alle dimissioni il predecessore di Bulnes, quel Joaquín Lavín, ex-enfant prodige del neoliberalismo cileno, sconfitto nelle presidenziali 1999 da Ricardo Lagos e che si era fatto scoppiare tra le mani l’enorme mobilitazione studentesca che da nove mesi tiene in scacco uno degli ultimi governi di destra della regione. Il dialogante Bulnes doveva riuscire a sgonfiare il movimento che nella comunista Camila Vallejo (foto) aveva trovato una dirigente di caratura mondiale. Invece è stato anch’egli costretto alla resa a testimonianza che il modello educativo privatizzato e classista, instaurato dai Chicago Boys col sangue dei desaparecidos della dittatura di Augusto Pinochet, non sta più in piedi.
Sebastián Piñera, ancora presentato sul mainstream mediatico come un politico di successo, è oramai alla disperazione. Dopo i fasti televisivi della liberazione dei 33 minatori, quando aveva saputo capitalizzare lo stare per settimane col favore di telecamera a fianco al pozzo dove i poveri lavoratori erano rinchiusi a causa della deregulation del settore minerario dettata dal modello neoliberale, Piñera si va rivelando per quel berluschino che è e i cileni stanno dimostrando di non voler più merce avariata. Appena il 23% lo appoggia ancora e ben il 62% lo disapprova. Sono dati catastrofici, i peggiori per qualunque presidente dal ritorno alla democrazia nel 1990. In cambio (fonte CEP) ben il 70% dei cileni appoggia il movimento studentesco, un dato insolito a livello mondiale per movimenti di questo tipo, soprattutto dopo così tanti mesi di un conflitto che ha paralizzato l’anno accademico e scolastico nel paese ma ha visto sempre i genitori e gran parte della società a fianco degli studenti.
Il movimento è in queste settimane semisilente -in Cile è piena estate- ma pronto a riprendere con più forza il prossimo marzo. Affronterà Beyer, nuovamente un uomo del conflitto come Lavín. Gli studenti continueranno a chiedere più educazione pubblica e la fine del lucro e il ministro risponderà con più individualismo e più profitto, mascherati come libertà di scelta. Tra tutti i movimenti che nel 2011 sono comparsi a livello mondiale, i vari indignados, occupy e primavere arabe, quello cileno è quello che ha mantenuto più a lungo il campo sulla base di una chiarezza ideologica e senza alcun dubbio nello schierarsi politicamente a sinistra. Adesso si prepara il momento dello scontro finale. O con Camila Vallejo o con Harald Beyer. O con il movimento studentesco o con i “momios” neoliberali.
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