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L’ipoteca degli islamici sulla Tunisia

Le recenti elezioni per l’Assemblea Costituente in Tunisia hanno visto una affermazione del partito islamico El Nahdah, che ha riportato la maggioranza relativa dei voti, circa 1.400.000, ed ha eletto 89 deputati su 200.
Sulla trasparenza della vittoria di El Nahdah non ci sono dubbi, né si possono fare sensatamente recriminazioni, ma vale invece la pena di approfondire la sua conoscenza, inquadrando anche quanto avviene in Tunisia con quanto avviene nel resto del mondo arabo relativamente all’affermazione di partiti di ispirazione religiosa.
Dopo il fallimento del pan-arabismo di nasseriana memoria, del socialismo arabo, dell’allineamento all’occidente dei governi moderati della regione, le masse arabe non hanno trovato altra alternativa credibile ed organizzata che nei partiti di ispirazione religiosa, per la maggior parte filiazione politica dei Fratelli Mussulmani egiziani e delle loro ramificazioni in tutto il mondo arabo.
Questi partiti per decenni hanno svolto un intelligente lavoro sociale di supporto alle masse più diseredate, forti delle donazioni alle moschee e dei soldi che gli sono sempre arrivati dall’Arabia Saudita, teocrazia wahabita che in quanto ad arretratezza nei costumi e fanatismo religioso non è seconda a nessuno, perseguitati dai reggimi arabi oggi caduti non hanno però avuto nessun ruolo attivo nelle rivolte di Tunisia ed Egitto, ma che sono stati abili ed intelligenti nel loro operare subito dopo la caduta dei regimi di Ben Alì e Mubharak , hanno vinto le elezioni ed ora sono al potere.
In Tunisia El Nahdah si presenta in questo momento come una forza di stabilizzazione della situazione politica e sociale, attenta a non scontentare nessuno e ad insediarsi in maniera più salda possibile in tutti gli strati ed i gangli della società.
Questo partito tiene ben distinti i piani del Governo e dell’Assemblea Costituente, ben sapendo che al momento non ha i numeri, ne la forza necessaria nella società, per poter andare in una ipotetica direzione confessionale della direzione della cosa pubblica, che tra l’altro dice chiaramente di non volere.
Per quanto riguarda la politica estera  El Nahdah ed il governo che giuda non riserveranno alcuna sorpresa, sono per una sostanziale continuità con il passato, hanno come punto di riferimento economico l’Unione Europea, con cui la Tunisia ha l’85% del proprio interscambio economico e commerciale, e tiene ad ottenere un ruolo di partner privilegiato con questa.
Per quanto riguarda i rapporti con l’Italia, anche qui sostanziale continuità con il passato e desiderio di incrementare interscambio economico, turismo ed investimenti di aziende italiane, siamo già il loro secondo partner commerciale ma non nascondono di preferirci ad altri partner e si aspettano un ampio miglioramento delle relazioni bilaterali.
I loro leader affermano che la loro scelta strategica è il consenso – perché il futuro della Tunisia è nella democrazia -, che non vogliono uno stato confessionale, anche se la democrazia non è in antitesi con l’islam, e comunque la democrazia sarà adattata secondo la visione della società tunisina.
All’Assemblea costituente cercheranno di creare una nuova architettura costituzionale basata sulla divisione dei poteri, e sono per un sistema politico di tipo parlamentare (in questo hanno l’identica posizione della sinistra comunista e marxista).
Considerano il loro Governo un Governo per le riforme, anche se si dicono coscienti del fatto che durerà poco perché dovranno esserci le elezioni politiche, che però non sono state ancora fissate, mentre l’Assemblea Costituente non ha una scadenza temporale, e vogliono riformare in via prioritaria la Giustizia, la Sicurezza, l’Amministrazione ed il sistema dei media, cosa quest’ultima che preoccupa molto i laici e la sinistra.
Dicono di non avere modelli esterni, anche se riconoscono che il modello turco ha una sua validità, ma non lo vedono assolutamente come un modello da seguire.
Il partito di El Nahdah, forte dei finanziamenti provenienti dal Qatar, si presenta come una compagine ben organizzata, fortemente strutturata, con quadri di istruzione superiore molto intelligenti e preparati.
Si è dotata di un ottimo Ufficio Culturale, formato da quadri molto preparati ed istruiti, segnale evidente di come questo partito ha intrapreso un lavoro di lunga durata per conquistare nella società n’egemonia che potremmo definire di senso “gramsciano”.
Nel partito è anche sviluppata e qualificata la presenza femminile, ed El Nahdah ha eletto 42 donne sulle complessive 49 elette all’Assemblea costituente, questo certamente in virtù del particolare meccanismo elettorale adottato (liste bloccate in cui dovevano alternarsi rappresentanti dei due sessi) e non certo di specifica volontà politica o volontà del corpo elettorale, ma comunque il fatto che la voce delle donne all’Assemblea Costituente è una voce islamica nel dibattito peserà.
Il capo di El Nahadah, sig. Rached Ghannouchi, ha più volte pubblicamente dichiarato che l’islam è contro la violenza e il terrorismo e da dritti uguali a tutti i cittadini e che bisogna avere valori morali in economia altrimenti si liberano i peggiori istinti del capitalismo.
In sostanza El Nahdah si presenta come una grande forza centrista, che vuole rassicurare all’interno, specialmente sul tema della laicità dello Stato, ed all’esterno, specialmente nei rapporti economici e nell’assicurare di riconoscersi nel cosiddetto “islam moderato”.
Una mano a vincere le elezioni all’estero la hanno data ad El Nahdah, naturalmente senza che ne sapessero nulla da ambo le parte, la destra europea, infatti dove la destra è più forte e xenofoba le comunità di immigrati tunisini hanno votato El Nahdah, anche come segno di appartenenza e di difesa, valga per tutti l’esempio del voto dei tunisini in Lombardia, che ha visto El NahdaH al 50% e quello in Emilia-Romagna, dove invece ha preso il 30%.
Ora El Nahdah nella sua strategia di conquista del consenso si trova innanzi a sei questioni che faranno la differenza tra la vittoria, e la conquista della società per i prossimi 30 anni, o la sconfitta, e le questioni sono le seguenti: laicità dello Stato, interpretazione dell’art. 1 della Costituzione, rapporti con i Salatiti, Unità della Sinistra, rapporti con il sindacato, riequilibrio economico delle regioni interne, e possiamo anche dire che le prime e le seconde tre questioni siano di fatto due grandi nodi da sciogliere.
La Tunisia è dal momento della sua indipendenza uno stato laico, e a tutt’oggi è il più laico dei paesi arabi, questo non vuol dire che la sua popolazione non sia religiosa, anzi, ma vi sono delle conquiste e delle convinzioni che sono ben radicate nel popolo algerino, e toccarle potrebbe essere per gli islamici molto pericoloso, e non solo nel breve termine, ad esempio in Tunisia il divorzio (non il ripudio, il divorzio!) esiste dal 1956 ed l’aborto (entro i tre mesi di gravidanza e per particolari casi, ma per un paese arabo è tantissimo!) dal 1967, le donne tunisine sono le meno velate e le più emancipate del mondo arabo, la birra è in libera vendita e ben gradita ai palati tunisini, tutte cose ben difficili da rimuovere e radicate tra la gente, anche e soprattutto dal punto di vista politico.
Altro scoglio, che preoccupa però molto i laici, è l’interpretazione dell’art. 1 della costituzione, infatti sembra scontato che l’art.1 della nova costituzione sarà pari pari l’art. 1 della vecchia costituzione, che grosso modo recita:” la Tunisia è uno Stato sovrano, indipendente ecc., la sua religione è l’Islam e la sua lingua è l’Arabo; finora era interpretato nel senso che l’Islam è la religione della Tunisia e non dello Stato, ma  lo interpreteranno nel senso che l’Islam è la religione dello Stato tutto cambierà per forza di cose. Ovviamente i laici e la sinistra stanno già facendo un fuoco di sbarramento contro questa ipotesi.
Il rapporto con i Salatiti è il terzo scoglio della questione religione/laicità dello stato, infatti i Salatiti (finanziati dall’Arabia Saudita) sono sempre più aggressivi nei confronti di El Nahdah, cominciano ad imporre la loro visione dell’islam e delle cose agli altri, ad esempio hanno richiesto ed ottenuto, con metodi che potremmo definire “spiccioli” la sostituzione della direttrice di una radio religiosa con uno dei loro per il solo fatto che era una donna, e quindi non poteva dirigere una radio religiosa, oppure nei quartieri popolari iniziano a fermare le ragazze senza velo chiedendogli, al momento con le buone maniere, di metterlo ecc.. Tutto questo mette El Nahdah in estrema difficoltà, una forza che si presenta come moderata e di stabilità non può certo tollerare a lungo questo stato di cose, che oggettivamente gli si ritorce contro, ma deve anche fare il conto con il fatto che nella Tunisia del dopo Ben Alì prima di innescare una qualsivoglia repressione è meglio pensarci bene e due volte, lo scontro con i Salafiti per l’egemonia dell’area religiosa è per El Nahdah di estrema importanza e delicatezza.
L’unità a sinistra potrebbe essere un altro grave problema per El Nahada, e naturalmente su questa partita può fare poco, perché poco può influenzare i suoi attori, che sono i suoi antagonisti al momento divisi tra loro, ed anche un poco litigiosi, ma che se si uniscono possono dargli seri problemi: i capi della sinistra comunista e marxista sono noti e stimati, al di la della forza elettorale dei loro partiti, alcuni sono stati anni in prigione, hanno carisma, i loro quadri hanno guidato insieme ai sindacalisti le rivolte locali, e gli islamici non c’erano, e questo un peso lo ha, a fronte di irrisolti problemi economici possono coalizzarsi con il potente sindacato e mettere in estrema difficoltà il governo, se uniti hanno buone prospettive per le elezioni amministrative che dovrebbero tenersi entro l’anno. Ovviamente tutto questo è legato alla reale volontà unitaria della sinistra tunisina.
Altro annoso problema per gli islamici è il rapporto con il sindacato, che in questi giorni ha tenuto il suo congresso, da cui è uscita una linea chiaramente di sinistra; El Nahdah vuole essere una forza di stabilità e di crescita, ma la crisi mondiale del capitalismo incalza anche la Tunisia, anzi la incalza più degli altri, per cui potrebbe trovarsi prestissimo a fare i conti con il sindacato CGTT, che in Tunisia è unitario, forte, prestigioso e che ha visto i suoi quadri guidare localmente le rivolte, avere contro un soggetto simile, specialmente se unito alla sinistra, che incalza su disoccupazione e sviluppo economico equo per tutti e sull’innalzamento dei livelli di vita dei lavoratori e delle masse popolari, non sarà certamente un bene per El Nahdah, d’altro canto però essendo il sindacato unitario ci sono dentro anche lavoratori islamici e religiosi, e questo potrebbe essere utilizzato da El Nahdah per frenare le rivendicazioni sindacali.
E per ultimo il problema più grande, quello in cui si gioca la parte fondamentale della partita, il riequilibrio economico a favore delle regioni interne, che sono quelle che hanno fatto la rivolta, che sono quelle più deluse, che sono quelle che hanno votato di meno, che sono quelle con il maggior tasso di disoccupazione, che sono quelle che reclamano lavoro e sviluppo, e che sono quelle che non vogliono aspettare, perché hanno fatto la rivoluzione non solo per un fattore politico, ma anche, e forse soprattutto, per un fattore economico; se entro un anno El Nahdah non riesce a soddisfare questa richiesta di riequilibrio economico le rivolta molto probabilmente riprenderà, perché le regioni interne, e segnatamente i loro giovani disoccupati, sono all’esasperazione, ed a questo punto El Nahdah, comunque vadano le cose, avrà politicamente perso.

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