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Il futuro incerto dell’Egitto

«Brutt’aria ma giochi non chiusi»
Michele Giorgio

Quale Egitto è davanti ai nostri occhi un anno dopo la caduta del «faraone» Mubarak e le elezioni legislative che si sono concluse all’inizio del mese? Lo abbiamo chiesto all’analista Mouin Rabbani del Middle East Report e collaboratore della rivista di politica Jadaliyya
Siamo vicini all’anniversario della rivolta contro Mubarak e da poco si sono chiuse le elezioni legislative. Tracciamo un bilancio.
E’ stato un anno di eccezionale importanza, per l’Egitto e tutta la regione. Quanto abbiamo visto e vissuto è stato drammatico da ogni punto di vista ma le trasformazioni desiderate dagli egiziani, o da una parte di essi, non sono ancora arrivate. Le forze armate al potere hanno deluso le speranze che avevano alimentato nei giorni successivi alla caduta di Mubarak. Due interrogativi gravano ora sul futuro del paese: la giunta militare lascerà ai civili tutti i poteri come aveva promesso un anno fa? I Fratelli musulmani, vincitori del voto, sapranno mitigare la loro agenda sociale e scrivere una nuova costituzione che garantisca i diritti di tutti i cittadini, laici e religiosi, conservatori e progressisti?
E lei cosa si aspetta?
I segnali dicono che i militari faranno il possibile per riservarsi alcuni importanti poteri. E per raggiungere questo obiettivo potrebbero stringere ulteriormente l’alleanza di fatto che hanno con i Fratelli musulmani, la forza politica e sociale più organizzata in Egitto. Ciò potrebbe lasciare mano libera ai Fm di imporre regole sociali più rigide e una costituzione più conservatrice.
I Fm eviteranno di spingere sull’accelleratore?
Credo che i Fm non abbiano intenzione di forzare la mano. Hanno ottenuto già tanto, in appena un anno dalla clandestinità sono arrivati a conquistare il parlamento. Possono accontentarsi, almeno per ora. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che un’altra forza islamista, i salafiti, molto più radicali dei Fm, ha ottenuto un risultato elettorale eccezionale, che nessuno aveva previsto alla vigilia. I salafiti metteranno in difficoltà i dirigenti di Fm, li accuseranno di non lavorare alla trasformazione immediata dell’Egitto in uno Stato islamico. E’ questa pressione potrebbe obbligare i Fm a radicalizzare la loro politica e spingerli a fare passi che ora pensano di non muovere.
Ma l’Egitto del dopo-Mubarak non è soltanto esercito e movimenti islamici. I giovani rivoluzionari e le forze progressiste fanno sentire la loro voce, rimangono protagoniste in Piazza Tahrir…
Vero, e la determinazione dei giovani, soprattutto quelli legati alla sinistra, forse bilancerà le spinte verso la formazione di un’alleanza organica tra militari e islamisti. I giovani non rinunceranno ai cambiamenti che chiedono da anni e non esiteranno a tornare in piazza Tahrir per far valere le loro ragioni. Inoltre i giovani dei Fm sono legati a parte delle lotte dei loro coetanei laici e ciò influenzerà le scelte dei dirigenti più anziani del movimento. Ci sono anche le lotte dei lavoratori che non accennano a placarsi e attraverso di loro la sinistra e le altre forze progressiste faranno sentire la loro voce. La crisi economica potrebbe rivelarsi la variabile in grado di rimettere tutto in gioco. Le forze che domineranno il parlamento e la giunta militare non hanno un piano valido per contrastarla e difficilmente potranno adottare soluzioni efficaci entro pochi mesi. E’ una sfida che il futuro esecutivo rischia di perdere.
Senza dubbio la maggioranza uscita dalle elezioni dovrà affrontare problemi enormi. Ciò non ridimensiona la sconfitta, non solo elettorale, delle forze laiche e progressiste che si ritrovano ai margini dopo aver fatto la rivoluzione contro Mubarak. La delusione è forte, ne è una conferma anche la decisione dell’ex direttore dell’Agenzia atomica internazionale, Mohammed el Baradei, di rinunciare alla corsa alla presidenza.
El Baradei non ha avuto scelta. Ha capito che l’atteggiamento delle forze armate e la maggioranza schiacciante ottenuta dai partiti islamisti renderanno secondario il ruolo del capo dello stato e che il parlamento non sarà il laboratorio dell’Egitto pluralista e multiculturale che tanti sognano. Ma i giochi non sono fatti e chi oggi è in minoranza non resterà a guardare.

da “il manifesto”

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