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All’indomani del nuovo monito dell’Eurogruppo ad Atene affinché proceda con «un nuovo ambizioso programma di aggiustamento», i ministri delle Finanze dell’Ue hanno oggi accusato di nuovo la Grecia di non fare abbastanza per le riforme. Insomma 3 anni di massacro sociale, smantellamento del welfare, licenziamenti di massa, aumento delle tasse e decurtazioni salariali e pensionistiche non bastano per i tecnocrati di Bruxelles e i rappresentanti dei governi del nucleo di domando dell’UE.
«Gli sono state date molte possibilità e abbiamo visto così poca risposte – ha tuonato il responsabile delle Finanze svedese Anders Borg parlando con i giornalisti prima dell’inizio dell’Ecofin – È chiaro che l’attuazione delle riforme strutturali in Grecia sia fallita». «Non stiamo ponendo alcuna nuova condizione – ha fatto eco il ministro lussemburghese, Luc Frieden – Stiamo chiedendo quanto è già stato concordato. Se la Grecia non rispetta le condizioni poste, non c’è possibilità che ottenga un secondo pacchetto di aiuti» da 130 miliardi di euro, come deciso nei mesi scorsi. «Sono state prese delle decisioni in Grecia, ma la spesa non è realmente scesa. Non siamo soddisfatti», ha accusato dal canto sua la ministra delle Finanze austriaca, Maria Fekter, che ha chiesto alle forze politiche greche di impegnarsi per iscritto sulle “riforme” richieste per accedere al secondo piano di aiuti.
Accuse e contumelie che possono essere lette come un nuovo giro di vite per ottenere ancora di più dal governo ellenico in termini di tagli e privatizzazioni. Ma le dichiarazioni durissime delle ultime ore potrebbero anche preludere ad una espulsione dalla zona dell’Euro finora spesso evocata ma sempre rimandata. Già ieri infatti la possibilità che Atene debba dichiarare fallimento è stata di nuovo richiamata dai ministri dell’Economia della zona euro che hanno respinto la proposta di accordo tra Atene e i suoi creditori. Mentre il termine per le trattative sulle perdite che i creditori dovranno accettare è slittato al prossimo 13 febbraio, l’Eurogruppo spinge per un’intesa immediata. Il fiato sul collo di Atene contribuisce così a indebolire la già incerta posizione del governo greco nei confronti dei suoi creditori, per lo più banche e governi stranieri. Fino a ieri il ministro delle Finanze Evangelos Venizelos si diceva convinto che la “soluzione” sarebbe arrivata entro i termini precedentemente stabiliti, ma al termine del confronto tra i ministri di ieri il tutto è stato di nuovo rinviato.
Il contenzioso sull’operazione di ‘debt swap’, ovvero la sostituzione dei titoli in scadenza, è sui tassi di interesse. I creditori, che detengono circa 206 miliardi di euro del debito greco (su un totale di circa 330 miliardi), non vogliono andare sotto il 3% di interessi, e la loro posizione è sostenuta dagli altri governi dell’Eurozona. I creditori privati non vogliono accettare una cifra così bassa, dopo aver già ingoiato, nel precedente accordo, una perdita di valore del 50% delle obbligazioni esistenti. Per questo l’Eurozona sta di fatto ricattando Atene chiedendo di fare in fretta e accusando il governo ellenico – che tra l’altro è guidato dal ‘Bce’ Papademos – di essere alla base del prolungamento della trattativa dopo aver respinto la proposta del capo negoziatore per l’Iif (Institute on international financig, che raggruppa i principali istituti creditori di Atene), Charles Dallara, che aveva messo sul piatto interessi al 4-4,5%. Se non si arriverà presto ad un accordo a marzo la situazione potrebbe precipitare, perché Atene non saprebbe come rimborsare i 14,4 miliardi di bond in scadenza.
Dalla Germania alla Francia, dal Fondo monetario alla Ue, arriva unanime la richiesta di stringere i tempi e di blindare la ristrutturazione del debito ellenico che secondo loro metterebbe a rischio la tenuta dell’euro. «Chiediamo alla Grecia di trovare un accordo nei prossimi giorni», ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jena Claude Juncker, ribadendo che i ministri dell’UE vogliono progressi immediati sulle “riforme strutturali” prima di concedere altri aiuti.
Intanto Grigoris Peponis – uno dei due alti magistrati greci incaricati della lotta contro il crimine economico, che il 29 dicembre avevano chiesto di essere sollevati dal loro incarico denunciando interferenze «dall’alto» nelle loro indagini – accusa il precedente governo di aver truccato i bilanci per poter giustificare gli attacchi contro welfare e lavoro. L’alto magistrato ha chiesto l’apertura di un’indagine su eventuali responsabilità penali dell’ex premier ed attuale presidente del partito socialista Pasok, Giorgos Papandreou, e dell’allora ministro delle Finanze e attuale ministro per l’Ambiente, Giorgos Papaconstantinou, riguardo il denunciato aumento artificiale del deficit nel bilancio del 2009. Ci sono testimonianze, sostiene nel suo rapporto Peponis, «in cui si parla chiaramente di aumento e di calcolo arbitrario del deficit nel bilancio dello Stato nel 2009». L’indagine da parte del magistrato è partita dopo la denuncia di Zoi Georganta, docente di Econometria all’Università di Salonicco, ed alto funzionario del Servizio di Statistica greco, secondo la quale il deficit del bilancio del 2009 è stato intenzionalmente portato al 15,4% per poter attuare misure economiche più dure di quelle necessarie. Dopo di che, Peponis, secondo la legge, ha dovuto sottoporre la questione al Procuratore Generale dell’Areios Pagos (la Corte suprema del Paese) al quale spetterà giudicare se si dovrà procedere contro i due politici e altri funzionari dello staff economico del ministro. Mentre i socialisti accusano i magistrati di invadere il campo della politica e di essere manovrati da oscuri interessi, tutti i partiti dell’opposizione e anche il centrodestra (Nea Dimocratia) hanno chiesto le dimissioni di Giorgos Papaconstantinou e di Filippos Sahinidis, allora sottosegretario alle Finanze e attuale vice ministro nello stesso dicastero, accusati da alcuni funzionari del Servizio Statistico ellenico (Elstat) di aver operato pressioni affinché le stime sul deficit fossero ritoccate al rialzo.
Nel paese, nel frattempo, le proteste di lavoratori dipendenti e autonomi non si placano, anche se il clima di disillusione rispetto ad una possibile via d’uscita dalla crisi si fa sempre più plumbeo. Ieri sono scesi in strada anche gli agricoltori greci che protestano contro l’aumento dei premi assicurativi e degli altri obblighi di legge a causa dei quali si trovano in una situazione insostenibile. Ieri numerose manifestazioni sono state realizzate davanti agli uffici dell’ente per le Assicurazioni Agricole (Elga) in tutto il Paese, mentre per domani sono previste manifestazioni di protesta davanti agli uffici della Deh, l’azienda elettrica statale, organizzate da diverse organizzazioni del settore in collaborazione con il Pame, il sindacato vicino al Partito Comunista, l’Organizzazione delle Donne di Grecia (Oge) e il Fronte di Lotta degli Studenti (Mas). Per venerdì 27 gennaio è invece in programma un’altra serie di manifestazioni davanti alle succursali della Banca dell’Agricoltura e il 29 gennaio sono previste manifestazioni in diversi punti delle principali strade del Paese. Per il 4 febbraio è stata indetta una grande manifestazione a Salonicco con una marcia di protesta verso il Centro Fieristico Internazionale della città, dove sarà inaugurata la Fiera Internazionale dei macchinari agricoli «Agrotica».
Dopo le proteste delle scorse settimane le farmacie rimarranno di nuovo chiuse oggi pomeriggio ad Atene in segno di protesta contro la decisione del governo di liberalizzare il loro settore. Anche i giornalisti di Atene si stanno astenendo oggi dal lavoro per otto ore fino alle 18.00 per poter partecipare ad una Assemblea Generale straordinaria decisa dal sindacato dei giornalisti ateniesi (Esiea).
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