Cosa ti ha colpito di più?
L’idea di «rilanciare la concertazione». Trovo incredibile pensare di riesumarla parlando di struttura contrattuale. Al di là del giudizio sul 23 luglio 1993, la concertazione è saltata, quella fase del sindacato è assolutamente conclusa. In una struttura contrattuale serve solo – solo – a definire i limiti per l’iniziativa sindacale. Compresa ovviamente la parte retributiva.
E nel merito?
C’è un giudizio inverosimile su quello che è successo nel corso degli ultimi due anni. Come se non ci fossero delle novità vere. Penso a quello che è successo a pubblico impiego, scuola, ricerca, metalmeccanici – non solo alla Fiat – e nel commercio. Non siamo di fronte a dei «brutti accordi», ma a un vero e proprio assalto a diritti, democrazia e libertà sindacale. Come si fa a prescindere da tutto questo? Siamo al punto che le aziende non faranno più le trattenute sindacali, attraverso accordo sottoscritti da altre organizzazioni. Nell’accordo del commercio viene recepito per intero il “collegato lavoro”Lì le aziende non pagano più gli oneri per la sanità; un’enormità…
E quindi che succede?
Non pagano l’Inps e quindi le aziende dovrebbero pagare direttamente il trattamento di malattia.
Dov’è il guadagno, per loro?
Ci saranno aziende che pagano e altre, in particolare tra le piccole, che non potranno farlo. Siamo di fronte a cose enormi: ma la prima questione da affrontare – la prima – è diritti, democrazia e libertà sindacale. Perché quando si fanno accordi che escludono altre organizzazioni sindacali, si apre una questione enorme nel paese. Sconosciuta, nella storia repubblicana.
C’è una comprensione di questa priorità, nel «lavoratore medio»?
Non vedo ancora i segnali di una campagna di informazione che faccia comprendere la portata della partita che si è aperta. Tanto più in preparazione dello sciopero generale del 6 maggio, «tenerla bassa» – non solo nei confronti di Confindustria, ma anche della altri sindacati – è un errore. Perché siamo alla negazione della libera espressione di posizioni diverse.
Torniamo alla proposta…
C’è un’analisi burocratica degli accordi fatti, unitari e non, senza guardare al peso specifico delle categorie né all’evolversi della situazione, né della demolizione di diritti e tutele sul piano legislativo, con il pieno assenso di Cisl e Uil. C’è un’ipotesi di definizione dei limiti – nella parte retributiva – che non ha senso in un quadro che non è concertativo, ma di offensiva diretta contro i lavoratori. Questa definizione di “contratto leggero”, “elastico”, “di cornice”, non significa nulla se non si chiarisce esattamente cosa vuol dire in termini contrattuali. L’«adattabilità» delle condizioni contrattuali a livello di territorio o azienda non è certo un’alternativa alle «deroghe». Significa che tutte le cose più rilevanti vengono sottratte al contratto nazionale e, con «l’adattabilità», rimesse a quello di secondo livello.
Pensi all’inquadramento?
No, mi riferisco all’orario. Cosa vuol dire «definire delle griglie a livello nazionale» sull’orario di lavoro o sull’inquadramento? L’orario minimo e massimo sono già previsti nei contratti. Perché aggiungere delle «griglie» esigibili sulla flessibilità di orario? C’è contrattazione oppure l’azienda ci «informa» e poi procede a una gestione unilaterale? Inoltre, la Cgil deve dire chiaramente che non c’è nessuna disponibilità a metter mano alla regolamentazione del diritto di sciopero. Se qualcuno pensa che sia possibile farlo, accettando magari parte delle proposte della Fiat – come le sanzioni sulle organizzazioni – lo dica. Se ne assuma la responsabilità. Saremmo di fronte a un’assoluta novità e una rottura con la storia della Cgil
In queste condizioni, si può fare una riforma delle regole di rappresentanza sindacale «per via pattizia» con Cisl e Uil?
Quando dei sindacati firmano accordi che tolgono ad altre organizzazioni permessi, diritti, fino alle trattenute per le tessere, c’è un attacco alle libertà sindacali.
Quindi niente «via pattizia»?
Può essere «verificata», ma si deve partire da questo dato: come si ripristina una condizione di libertà, democrazia e diritti? Se non si chiarisce prima questo, la discussione diventa stucchevole. Sul versante della democrazia e della rappresentanza ci vuole un’iniziativa di carattere legislativo, non c’è dubbio. Parlo anche a chi è fuori da queste discussioni. Quello che sta succedendo non è un problema solo sindacale; ha un rapporto diretto con quel che accade nel paese, con l’intenzione esplicita di cambiare la Costituzione.
Ha senso andare a uno sciopero generale con in tasca un «punto di caduta» così?
Metodo e sostanza sono la stessa cosa. Mentre si sta preparando uno sciopero generale è sorprendente – e aggiungo: incomprensibile – che 20 giorni prima esca una proposta della segreteria, senza alcun percorso di elaborazione (tranne un seminario). Siamo al punto che i segretari generali di categoria vengono a sapere dal «taccuino della Cgil» che c’è una proposta della segreteria sulla struttura contrattuale. È un’idea della confederalità che non ha mai funzionato così.
Ma questo è uno sciopero indispensabile…
Il fatto che sia stato portato a 8 ore nella stragrande maggioranza delle categorie e dei territori è estremamente importante. La gente che è chiamata a farlo, tentando di fare di quella giornata un momento di aggregazione con studenti, precari, ricercatori, non ha alcuna intenzione di fare un atto di testimonianza, una tantum. Rappresenta invece l’apertura di una fase di mobilitazione che mette al centro la redistribuzione del reddito, il precariato e la democrazia. Sarebbe paradossale che un giornata così importante fosse fissata e utilizzata con l’idea di rilanciare due giorni dopo la concertazione. Sarebbe inaccettabile nei confronti dei lavoratori.
da “il manifesto” del 10 aprile 2011
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