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Grecia: la resa si arena sul taglio delle pensioni

Per ora il si definitivo alla cura della troika non è ancora venuto da parte dei tre partiti che appoggiano la maggioranza parlamentare dell’uomo della Bce Lucas Papademos. La trattativa, iniziata formalmente ieri sera e andata avanti per ore fino a notte, sembra essersi arenata sul taglio delle pensioni. Nessuno sembra volersi assumere la responsabilità di «scelte dure che segneranno il futuro della Grecia per i prossimi 50 anni», ha detto il leader dell’estrema destra (Laos) Karatzaferis al termine dell’incontro rimandato poi ad oggi. Su chi dovrà pagare un risanamento del bilancio dello stato greco non c’è dubbio: i greci. Il problema è come e quanto, cioè su quali settori dovrà essere concentrato un salasso da parecchi miliardi di euro. Confermate le anticipazioni già emerse ieri e ancora prima nei giorni scorsi: taglio del 22% del salario minimo che passerà alla cifra miserrima di poco più di 500 euro lordi; privatizzazioni in grande stile per 50 miliardi; 150 mila licenziamenti nel settore pubblico più altre 15 mila nelle aziende a partecipazione statale dismesse; taglio della spesa sanitaria e farmaceutica. La troika pretende anche un salasso sui pensionati, già ridotti in miseria dalle ‘riforme’ del governo Papandreou. La Germania non vuole concedere alle pur farsesche trattative in corso ad Atene un minuto di più. «Lo swap dei bond greci è atteso per la prossima settimana, non c’è un piano B per Atene» ha avvertito il viceministro dell’Economia tedesco, Thomas Steffen, senza menzionare che al momento mancano i presupposti perchè l’operazione di sostituzione dei titoli, che aiuterà Atene ad alleggerire il suo debito di 100 miliardi di euro, avvenga davvero. L’Europa e il Fondo monetario internazionale (anche il direttore generale Christine Lagarde sarà all’Eurogruppo convocato da  Juncker a Bruxelles alle 18 di oggi) vogliono due cose da Atene entro oggi: l’accordo con i creditori privati sullo ‘swap’ dei titoli (i privati accetteranno nuovi bond perdendo oltre il 70% e il ‘compromesso’ sui tassi di interesse sembra attestarsi a quota 3,6%), e l’accordo con la troika Ue-Bce-Fmi sulla nuova cura da cavallo. Senza entrambi, l’Eurogruppo minaccia di non dare il via libera ai 130 miliardi di euro necessari ad Atene per scongiurare il default a marzo, quando andranno in scadenza 14,5 miliardi di obbligazioni. A quel punto Atene non avrebbe i soldi non solo per rifinanziare il debito in scadenza, ma neanche per pagare stipendi dei lavoratori pubblici e pensioni. 
Oggi si capirà se l’intoppo sulle pensioni è serio o se è una moina dei partiti greci per difendere una dignità che l’opinione pubblica del loro paese non gli riconosce più.
Di seguito tre interessanti – e tragici – reportage da Atene.

Grecia, stipendi e pensioni in pasto alle banche

(Argiris Panagopoulos, Il Manifesto 9 febbraio 2012)

La Ue, il Fondo monetario internazionale e la Bce trasformano la Grecia nella più grande Chinatown dell’Europa per quando riguarda i bassi stipendi, l’abolizione della contrattazione collettiva del lavoro e le garanzie di protezione dei lavoratori. I greci saranno chiamati a pagare una nuova montagna di soldi per il salvataggio delle banche, però la «troika» vuole tenere le loro mani lontane. Per tre anni i governi greci non potranno esercitare il diritto di voto per le azioni delle banche in loro possesso, lasciando per l’ennesima volta mano libera agli stessi banchieri che hanno rovinato il paese. Il contrario di quel che è successo negli Stati Uniti e in Inghilterra.

La crisi non risparmia nessuno. Il Sacro Consiglio Permanente della chiesa ortodossa greca non ha aspettato il taglio del costo del lavoro e ha annunciato la chiusura della sua radio, mentre la sua frequenza si dice sia stata assicurata a un armatore.

Papadimos ha chiamato ieri sera i tre leader che appoggiano il suo governo tecnico per rispondere con un «prendere o lasciare» sul mini Memorandum che dovrà accettare il paese per garantire il nuovo maxi prestito e il taglio del debito nelle mani dei privati. Papandreou, Samaras e Karatsaferis hanno di fatto detto sì da giorni ai diktat della «troika», mentre all’interno dei due grandi partiti Pasok e Nuova Democrazia si alzano con più insistenza voci contrarie.

Il governo di «Papadimios», «Papa-boia», come è stato ribattezzato dall’opinione pubblica, sembra abbia accettato un forte taglio del 22% per lo stipendio minimo, che sarà esteso ai lavoratori del settore privato. Così un lavoratore nuovo avrà un stipendio mensile di 586,10 euro, invece dei 751,40 euro che aveva precedentemente, perdendo di fatto tre delle dodici mensilità dell’anno, mentre il sussidio di disoccupazione si riduce a 360 euro al mese. La «troika» ha poi un debole per i giovani. Così chi è sotto i 25 anni dovrà sopportare un altro taglio del 10% del suo stipendio minimo e accontentarsi di 528,49 euro al mese. E non basta. perché resta aperta la possibilità di un nuovo taglio del salario minimo e degli stipendi nel settore privato nei prossimi mesi e anni. Da parte sua il governo greco festeggia perché ha salvato la 13esima e la 14esima.

Il salario giornaliero per un lavoratore non sposato e senza esperienza si riduce ai 26,18 euro, dai 33,57 euro, e per uno sposato ai 28,80 dai 36,92 euro. Lo stipendio per un lavoratore con tre figli e nove anni di lavoro si abbasserà agli 808,96 dai 1.037,13 euro. Per quando riguarda le pensioni lo scenario più probabile prevede l’immediato taglio del 15%-20% delle pensioni e del 15% per quelle integrative. La «troika» vuole una forte diminuzione dei contributi assicurativi, ma il governo greco sostiene che nel peggiore dei casi non deve superare il 10%. Gli stipendi e i contributi più bassi non si accompagneranno solo a pensioni più basse ma anche al bisogno di una riforma assicurativa e all’aumento della età pensionabile. L’abolizione del posto fisso nelle aziende a partecipazione statale e nelle banche si accompagnerà alla diminuzione dei loro stipendi e pensioni. Se non bastasse tutto questo, la «troika» imporrà fino alla fine del luglio «l’allineamento con i paesi concorrenti» della convenzione collettiva del lavoro.

Intanto il segretario generale dell’unica centrale sindacale del settore privato Gsee, Giannis Panagopoulos, ha fatto una visita lampo alla sede dell’Ufficio Internazionale del Lavoro (Ilo) a Ginevra per prendere iniziative anche legali contro la violazione dei diritti internazionali del lavoro da parte della «troika», mentre oggi Gsee deciderà il piano dei nuovi scioperi e manifestazioni. Panagopoulos è stato martedì a Berlino dove ha informato dettagliatamente i sindacati e i parlamentari tedeschi sulle misure della «troika» contro i lavoratori greci. La distruzione della società greca è stata ammessa indirettamente dall’istituto di Bruxelles Eurostat, che ha notificato come già alla fine del 2010 il 27,70% della popolazione in Grecia o 3,03 milioni di persone vivevano ai limiti della soglia di povertà.

Gli ordini dei medici, avvocati e ingegneri hanno fatto ieri fronte comune per difendere la democrazia, lo stato sociale e di diritto. «Non si mettono sotto dura prova le nostre resistenze economiche, ma specialmente i limiti della nostra resistenza come liberi cittadini in una società democraticamente strutturata», dicono nel loro comunicato comune. Nel frattempo un altro senza tetto è morto di freddo fuori dell’ospedale di Patrasso.


Atene, mense dei poveri piene e carrelli vuoti nei supermarket  

Daniele Mastrogiacomo (La Repubblica del 9 febbraio 2012)

ATENE – La folla preme, sbanda, urla. Qualcuno alza i pugni e picchia sul portone di acciaio. «Aprite, siamo qui dall´alba, abbiamo bisogno di lavoro!». Ragazzi e ragazze, ma anche anziani. Uomini con la barba lunga, donne col viso segnato dalla stanchezza. Dall´altra parte della porta blindata una voce gutturale gela la rabbia che rischia di diventare sommossa: «Siete troppi. Tornate domani». Il centinaio di disoccupati cede.
Impreca, bestemmia, alza ancora i pugni; qualcuno crolla in ginocchio. Le facce sono terree, gli sguardi duri. Il sorriso è un ricordo del passato. La Grecia soccombe sotto il peso della recessione: è sull´orlo del fallimento. Ma è già morta. L´Europa, il moderno giurista Dracone, chiede l´impossibile: vivere con 568 euro al mese. Lordi. Non resta che attendere il nuovo Solone e sperare che, con il rigore, riporti anche i fasti dell´antica Atene. Georgios Tsigas, consigliere del lavoro dell´ufficio di collocamento del Pireo, scuote la testa: «Non c´è niente da fare. Siamo sommersi dai disoccupati. Ogni giorno arrivano 800 persone, ma ci sono solo 10 offerte di lavoro. Vendite. Al telefono. Medicinali, libri, macchine, elettrodomestici. Niente stipendio fisso. Si guadagna in percentuale. Con obbligo di presenza. Dodici ore al giorno. Se ti assenti, anche per pochi minuti, sei fuori. Chi viene? Chiunque. Dai 18 ai 65 anni. Molti hanno poca esperienza. Hanno fatto gli impiegati per una vita, non sanno neanche dove cominciare. Puoi stare giorni interi senza vendere nulla. E senza vendite, niente soldi. Torni a casa a mani vuote. Non riesci neanche a mangiare».

LE MENSE DEI POVERI

Ce ne sono venti solo ad Atene. Sette al Pireo. Le ha organizzate la Chiesa ortodossa. Davanti a quella della Santissima Trinità, a due passi dal porto, la fila arriva sulle banchine. Attraversa un´arteria a quattro corsie. Le macchine sfrecciano facendo lo slalom tra le persone in attesa. Nessuno si muove perché nessuno vuole perdere il turno. Si apre alle 12 e si chiude alle 13. Stamattina sono in 300, c´è cibo solo per un centinaio. Molti devono rinunciare. Resistono al gelo che colpisce a raffiche. Soccombono solo quando chiude il portone. Due addetti alla sicurezza, che sembrano armadi, premono la cancellata su questo muro umano. Anche qui proteste. Rassegnate. Il pope, lo sguardo severo, non ha bisogno di spiegare. Alza la mano: «Basta, tornate domani». Si giustifica: «Facciamo quello che possiamo. Ma abbiamo anche noi i nostri problemi. Da domani interrompiamo le trasmissioni della nostra radio: siamo stati costretti a licenziare il personale. Troppi costi. Fino a qualche mese fa venivano soprattutto immigrati. Ora la maggioranza sono cittadini greci. Hanno perso tutto: auto, lavoro, casa. Non hanno nemmeno i soldi per fare la spesa».

FURTI E BUGIE

Crista Olegamossos fa la direttrice di un supermercato. Si alza alle 5 e lavora dalle 7 alle 9 di sera. «Prima eravamo in 15, oggi siamo in quattro. Ma due sono pagati per quattro ore. Con l´altra collega, a tempo pieno, dobbiamo fare tutto: da scaricare la merce dai camion ai turni alla cassa. Se rifiuti, ti licenziano. Abbiamo eliminato i carrelli, ora ci sono solo i cestini. La gente compra l´essenziale. Spese di 10, 15 euro al massimo. E spesso non riescono a pagare. Ogni giorno c´è qualcuno che prova a saldare con una carta di credito. Ma è vuota. Allora chiedono di andare a casa per prendere il contante. Spariscono con la merce e non tornano più. A fine giornata ci rimetto». Almeno il 30% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Molti si fanno aiutare da parenti e amici. Ma moltissimi non possono far altro che rubare. Gli scippi sono aumentati del 300%. Come gli assalti per strada, i furti dentro casa. Un lettore ci ha scritto: «Ormai usciamo di casa soltanto con 30 euro. Niente portafoglio, usiamo le fotocopie dei documenti. In caso di scippo salviamo gli originali».

NIENTE TASSE, NIENTE LUCE

E´ l´aspetto più odioso delle crisi. Per combattere l´evasione le cartelle esattoriali contengono anche l´utenza elettrica. Il controllo incrociato funziona. Ma gli effetti sono devastanti. Chi non paga l´Ici si ritrova senza luce. Bastano due mesi e sei al buio. Senza indennità di disoccupazione o con stipendio minimo da 600 euro è difficile pagare anche le imposte. Lo Stato ha ordinato ai suoi esattori di procedere alle interruzioni. La maggioranza si è rifiutata. Allora il lavoro è stato affidato ad un´impresa esterna, privata. Due settimane fa un intero paese della Grecia del nord, sommerso dalla neve, si è ritrovato al buio. La popolazione è ricorsa alle candele. Senza corrente elettrica ha rischiato di rimanere congelata. Si pensa alla privatizzazione persino delle pompe di benzina. Le compagnie petrolifere hanno passato la mano e sono sparite. La grande evasione, quella vera, rasenta il 70%. Ma nessuno la combatte seriamente.

IL MERCATO DEI RIFIUTI

Dietro il porto del Pireo c´è il più grande mercato clandestino di materiale raccolto nei cassonetti della nettezza urbana. Due intere strade sono occupate da questa fiera improvvisata e clandestina. Si vende di tutto, a prezzi stracciati. Un euro per un paio di scarpe, due per un impermeabile. Basta lavarli e si possono indossare. Ma anche bicchieri, pentole, quadri, libri, vecchi cellulari e pc. Tra i venditori abbiamo incontrato dei giornalisti licenziati. In due anni hanno chiuso tre importanti quotidiani e una nota tv nazionale. Riciclano quello che avevano in casa. Un mercato delle pulci dei disperati. «Bisogna improvvisare», spiegano, «fare il nostro mestiere in Grecia oggi è impossibile. Molti hanno trovato lavoro come spazzini. E´ l´unica offerta del momento. Tre mesi, a 400 euro. Ma devi essere in forze. Se ti ammali è finita. Un solo giorno di assenza e ti sostituiscono. Fuori, c´è la fila».

 

“I prezzi su, gli stipendi giù, Noi greci, una vita in bilico”

Toria Mastrobuoni, da Atene (La Stampa del 9 febbraio 2012)

Ci vogliono tre, quattro secondi per mettere a fuoco la situazione. Non perché non ci sia luce, sono le tre di pomeriggio. Ma perché siamo nel centro di Atene, davanti alla facoltà di Legge. E la scena lascia senza fiato. Tre ragazzi sono accasciati in un angolo, due con le siringhe in mano. Studenti vanno e vengono, incuranti. Spazza un vento gelido e uno dei tre indossa soltanto una felpa. Fabio fa segno di andare oltre, si stringe nelle spalle, «ormai è normale, la polizia neanche interviene più. E quando lo fa è per caricare gli studenti». Poco più in là un gruppo di senzatetto chiede l’elemosina davanti a una chiesa. Altri fantasmi, altri passanti impassibili che camminano oltre. E la polizia la troviamo qualche strada più in là, dove la presenza di squatter e studenti si è fatta visibilmente più densa.

Siamo a Exarchìa, il cosiddetto quartiere degli anarchici, ma la coabitazione con la polizia sembra serena. Almeno, finché il livello di allarme non sale, racconta Fabio. Tipicamente, quando i sindacati proclamano lo sciopero. In quei giorni, come martedì scorso, il richiamo generale è: tutti a Syntagma, la piazza di fronte al Parlamento. Gli scontri cominciano da qui. Ma oggi è una giornata tranquilla, passiamo davanti a un parco occupato: ci volevano fare un parcheggio, gli studenti l’hanno impedito e hanno fatto piantare degli alberi ai bambini del quartiere. È bellissimo, colorato. Le vie accanto pullulano di bar dall’aria nordeuropea, ragazze con i capelli rosso fuoco, piercing a perdita d’occhio, aromi inconfondibili nell’ aria, e, qua e là una chioma rasta.

Fabio Giardina, il nostro cicerone ateniese, è un medico italiano che vive in Grecia da vent’anni. La sua compagna, Augustina, è furibonda. Ha 38 anni e fa la ricercatrice in biochimica. Davanti a un cappuccino pessimo in un bar delizioso ci fa due conti su una tovaglietta di carta: «Prima della crisi guadagnavo 1.250 euro. Ora ne guadagno 850, grazie ai tagli del governo. Ma non è che la vita non si aumentata, anzi. Con l’Iva al 23% è tutto più caro. La benzina costa 1,7-1,8 euro al litro. E con le ultime misure del 2011 hanno introdotto una tassa sulla casa ma che caricano direttamente sulla bolletta elettrica. Un ricatto orrendo!». Augustina cita l’esempio dell’appartamento dei suoi genitori: per circa 100 metri quadri nel quartiere Kipseli, un quartiere borghese vicino al centro, pagavano 45 euro all’anno. Dallo scorso autunno ne pagano 570. Dodici volte tanto.

Il caso di Augustina è tipico per i 750 mila dipendenti pubblici che sono stati il primo e più duro, per ora, bersaglio selle misure di correzione dei conti intrapresi dalla Grecia per far fronte alla crisi. Ma l’impoverimento improvviso di questa fetta di popolazione, colpita da tagli agli stipendi in media del 20 per cento – la televisione racconta ogni sera di bambini maltrutiti che svengono a scuola, di neonati abbandonati in vertiginoso aumento – ha anche conseguenze sull’economia del Paese. Antonis Sergiannis è un signore elegante di 64 anni con una barba bianca e una sciarpa rossa che non toglie neanche dietro la cassa del suo piccolo ristorante a Plaka, vicino al Partenone, nel cuore della città. Quando racconta la sua odissea attraverso tre anni di crisi la voce ogni tanto trema: «A Natale gli affari sono crollati del 70%. Quando i greci vengono a mangiare qui non si prendono più il Gyros, insomma lo spiedino al piatto, ma lo preferiscono nella pita, nel pane, così costa di meno. E poi c’è il crollo del turismo».

Antonis sostiene che i disordini frequenti nelle vie del centro – che gli sono costati anche due vetrine rotte – allontanano i turisti. Ma in questo quartiere si incrocia anche un’altra, tipica sentinella di ogni recessione: i negozi che comprano oro. Nicos sorride un po’imbarazzato dietro il bancone del suo squallido, stretto loculo: «C’est la vie», prova a scherzare in francese. Quanti clienti sono passati? «Ventiquattro». Dall’inizio della settimana? «No no, oggi». Sono appena le cinque.

Poco oltre, a piazza Syntagma, dove non più tardi di due giorni fa qualche esaltato bruciava bandiere tedesche, le macchine passano veloci agli incroci. I taxi sono tantissimi. In mobilitazione anche loro contro le liberalizzazioni. Abbiamo appena pagato 3,80 euro per una corsa di otto minuti. A Roma bastano appena per salire Diamo un’occhiata all’indice più affidabile per il benessere o il malessere di un Paese: il menù base del Mc Donald, sul lato lungo della piazza. Un doppio cheeseburger, patatine e bibita costa 3,50 euro. Ma un gruppetto in tenuta sportivissima ci distoglie da pensieri impuri. Hanno tutti l’aria sfinita e felice. «Io e i miei amici abbiamo fatto 40 chilometri in bici per venire qui» spiega un tipo piccolino, raggiante, in tuta blu. Si chiama Manu Kapnoupolos. Gli chiediamo che lavoro fa. «Ah, no, non lavoro. Ho una pensione di invalidità». Lo guardiamo meglio. Di invalidità? «Già», fa. E si tocca, senza un filo di vergogna, le due robustissime gambe d’acciaio che hanno appena macinato 40 chilometri di fiero asfalto ateniese. Roba da Paraolimpiadi, ci viene da ironizzare. Ma lui è già schizzato via.

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