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Spagna, “reforma laboral” in salsa Monti

«Reforma laboral», mannaia su contratti e licenziamenti
Jacopo Rosatelli

MADRID
«So che la riforma mi costerà uno sciopero generale»: questa la confessione del premier spagnolo Mariano Rajoy, in un confidenziale scambio di battute con il collega olandese, all’ultimo Consiglio europeo del 30 gennaio. Le parole del leader conservatore, al suo debutto a Bruxelles, sono state catturate da un microfono e, una volta diffuse, hanno messo in imbarazzo il governo del Partido popular. Sulle misure in materia di mercato del lavoro, che verranno presentate oggi al consiglio dei ministri, infatti, vige ufficialmente il più assoluto riserbo. Ma la consapevolezza di stare cucinando un piatto indigeribile per i sindacati è ben presente nelle file dell’esecutivo di Madrid. Il dialogo con le organizzazioni dei lavoratori non è stato nemmeno cercato: un fatto inedito, che ha suscitato le ferme proteste delle due principali confederazioni, la socialista Unión General de Trabajadores (Ugt) e Comisiones Obreras (Ccoo), collocata più a sinistra. E pensare che da parte loro la disponibilità al confronto – e all’accordo – non mancava. Lo scorso 25 gennaio, infatti, avevano stipulato un «patto per l’impiego e la negoziazione collettiva» con l’associazione degli imprenditori, che prevedeva l’impegno alla moderazione salariale in cambio della rinuncia da parte padronale a chiedere (ancora) di più. Un’intesa che, nelle intenzioni dei sindacati, doveva servire a impedire che il governo agisse per conto proprio – e con mano pesante. Come invece accadrà.
Se è vero che il diavolo si nasconde nei dettagli, è opportuno attendere la presentazione del testo della «riforma». Tuttavia, dalle indiscrezioni giornalistiche e dalle dichiarazioni ufficiali in parlamento dello stesso Rajoy e della ministra dell’impiego (sic – non «del lavoro»), Fatima Báñez, si può dedurre che probabilmente ci sarà una modifica che favorirà la prevalenza del contratto aziendale su quello nazionale, oltre alla possibilità di sospendere la vigenza di qualunque contratto in caso di difficoltà economiche dell’impresa. Sotto le mentite spoglie dell’annunciata «semplificazione» delle forme contrattuali, inoltre, potrebbe celarsi un peggioramento delle garanzie in caso di «licenziamento irregolare», attualmente rappresentate da un risarcimento di 45 giorni per ogni anno trascorso nella stessa impresa. In Spagna, infatti, la fine di un rapporto di lavoro può essere dal giudice dichiarata «nulla», con conseguente reintegro, oppure semplicemente «irregolare». In quest’ultimo caso, il lavoratore non ha diritto al reintegro, ma a un indennizzo economico, che potrebbe ora venire «alleggerito»: invece che ricevere l’equivalente del salario di 45 giorni per anno lavorato, l’ammontare si calcolerebbe solo su 33 giorni per anno. Non dovrebbe essere previsto, invece, il «contratto unico» per tutti i nuovi assunti, difeso all’interno dell’esecutivo da Luis de Guindos, ministro dell’economia ed ex direttore di Lehman Brothers nella penisola iberica: la ministra Báñez ha pubblicamente dichiarato di ritenerlo incostituzionale.
Una cosa, tuttavia, è certa: la «riforma» servirà a ricevere i complimenti di Angela Merkel e della Commissione Ue, ma non a creare lavoro. Lo ha implicitamente ammesso lo stesso premier Rajoy, nelle sue comunicazioni alla Camera dei deputati dell’altro ieri, riconoscendo che i dati sull’occupazione nel 2012 peggioreranno ulteriormente. Oggi le persone senza impiego sono il 22,85% della popolazione attiva, e secondo il centro studi della banca Bbva arriveranno al principio del prossimo anno al 24,6%. D’altronde, l’esperienza insegna: anche il governo socialista di Zapatero fece approvare ben due «riforme» del mercato del lavoro, che avrebbero dovuto combattere la disoccupazione e dare prospettive ai giovani (quasi metà sono senza lavoro). In realtà, resero più facile per l’impresa vedersi riconoscere la legittimità dei licenziamenti per motivi economici ed eliminarono il divieto di cumulare più di tre contratti a termine di fila. Leggi che a Zapatero costarono uno sciopero generale: ma di questo Rajoy sembra non preoccuparsi.
da “il manifesto”

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