Iniziative che culmineranno in una manifestazione a Manama di decine di migliaia di bahraniti il 14 febbraio, anniversario della rivoluzione – repressa nel sangue un mese dopo. Gli attivisti programmano di dare vita ad una tendopoli per chiedere l’elezione di un parlamento «vero». Richiesta respinta dalla monarchia che non vuole cedere i suoi poteri. La mano pesante dei servizi di sicurezza del re sunnita Hamad al Khalifa – che regna su una maggioranza di sciiti – si fa sentire anche sugli stranieri. Nelle ultime ore diversi reporter e attivisti dei diritti umani sono stati respinti all’arrivo all’aeroporto di Manama. Ieri due straniere, l’avvocata palestinese americana Huwaida Arraf e Radhika Sainath – entrambe attive con l’ International solidarity movement nei Territori occupati palestinesi -, sono state arrestate nei pressi della Standard Chartered Bank di Manama (il fermo è stato filmato e messo in rete yfrog.com nfzg5z) mentre partecipavano ad una manifestazione pacifica. Arraf e Sainath, che verranno espulse nelle prossime ore, si trovano in Bahrain per partecipare come monitors alle attività della Witness Bahrain initiative . Testimoni hanno riferito che le due donne sono state state circondate dagli agenti e percosse prima di essere spinte con la forza nelle jeep della polizia. In serata le autorità hanno oscurato il sito della loro organizzazione ( www.witnessbahrain.org ) e altri media legati alle proteste popolari. «La polizia anche ha disperso con la forza le manifestazioni dirette verso la piazza della Perla (dove l’anno scorso si concentrò la protesta contro la monarchia, ndr ) ma la repressione non fermerà chi vuole democrazia e uguaglianza tra tutti i cittadini», prevede Nabil Rajab, direttore del Centro bahranita per i diritti umani. Per il governo la polizia avrebbe risposto alla «violenza dei dimostranti». Ieri a Manama è stato anche il giorno delle squadracce Fateh (conquistatori) che, attraverso contromanifestazioni a Manama e in altre località del piccolo arcipelago, tentano di intimidire chi protesta contro il re. Ma vogliono anche ribadire il dominio dei sunniti giunti duecento anni fa dalla penisola arabica da «conquistatori» in Bahrain. Ieri i Fateh sfilavano per le vie del centro della capitale sventolando le bandiere dell’Arabia saudita, per sottolineare i legami strettissimi con Riyadh che già un anno fa corse in soccorso di re Hamad. «La monarchia fa di tutto per alimentare il conflitto tra sunniti e sciiti e denuncia le manovre dell’Iran, ma quella bahranita è una società cosmopolita, aperta al mondo esterno, formata da giovani che guardano ad un futuro migliore. In piazza a chiedere riforme e diritti ci vanno tutti: musulmani, cristiani, bahai, uomini e donne», spiega la sunnita Reem Khalifa, la giornalista più nota del Bahrain. «Questa non è una rivoluzione sciita ma la rivoluzione di tutti i cittadini. Purtroppo la comunità internazionale non vede il Bahrain e non ci offre il sostegno che ci occorre per spingere il re ad approvare le riforme». Più che alla comunità internazionale Reem Khalifa dovrebbe rivolgere le sue critiche all’Europa e, soprattutto, agli Stati Uniti, protettori del fedele alleato re Hamad che ospita in Bahrain la base della V Flotta americana, una delle più importanti perché di fronte all’Iran. Michael Posner, sottosegretario di stato Usa per i diritti umani, due giorni fa, a proposito dell’aumento della tensione in Bahrain, si è limitato ad esortare la monarchia a rinunciare «ad un uso eccessivo della forza» contro i dimostranti.
da “il manifesto”
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