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Portogallo. 300.000 in piazza


300.000 in piazza Lisbona promette lotta
Goffredo Adinolfi LISBONA

Ieri pomeriggio sono confluite verso Lisbona, da ogni angolo del Portogallo, 300 mila persone tra disoccupati, lavoratori e pensionati, giovani e anziani, tutti, insieme, contro le misure sin qui adottate dal governo. Un fiume in piena, o meglio un mare di bandiere rosse, gialle, rosse-verdi, e un grido «O povo unido jamais sera vencido».

Non poteva esserci esordio migliore per il neo eletto segretario generale della Confederação Geral dos Trabalhadores – Cgtp – Armenio Carlos: la più grande manifestazione nella storia degli ultimi trent’anni. C’è da crederci, perché la centralissima praça do Comercio è uno spazio enorme, grande come Piazza Duomo a Milano, forse di più, e scegliere di concentrarsi in quel luogo, cosa che non accade praticamente mai, è una scommessa rischiosa.
Siamo soltanto all’inizio di un percorso complesso, così vale la pena lottare anche se si sa perfettamente che nell’immediato non si otterrà quasi null;, lo si fa perché quello che importa, oggi, è che ci sia un luogo – il sindacato – dove tanti diseredati possano ritrovare la loro dignità. Perché a volte, la lotta, da mezzo si trasforma in fine e questo è già abbastanza.
Per ora, la coalizione di governo non ha di che impensierirsi troppo: raccoglie ancora il 41% dei consensi contro il 25% del suo principale antagonista, il partito socialista. Bloco de Esquerda e Partido Comunista, uniche formazioni schierate contro le «politiche della Troika», molto difficilmente andranno al governo nei prossimi anni e quindi il loro pur considerevole 14% viene considerato poco o nulla. Ma si sa, le cose possono cambiare in fretta e l’appoggio dei media presto potrebbe non essere più sufficiente a convincere l’«opinione pubblica» circa la necessità di togliere diritti a destra e a manca pur di salvare il sistema bancario.
L’avvertimento lanciato da Armenio Carlos nel suo primo comizio in una manifestazione nazionale – «Compagni. noi non ci arrenderemo!» – suona dnque come una promessa che sarebbe stupido, da parte dell’«arco del debito», sottovalutare.

da “il manifesto”

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