I dati parziali diffusi dal ministero dell’Interno iraniano parlano chiaro: i consensi per la lista vicina a Khameni sfiorano il 75%. Si è anche registrato un aumento dei votanti: 64.2% rispetto al 57% del 2008 nonostante l’aperto boicottaggio attuato dalle maggiori componenti riformiste che indicavano di disertare le urne. Ora i tre-quarti dei seggi del Majlis sarebbero appannaggio di deputati fedeli alla Guida Suprema che fanno il pieno di voti nelle città sante di Qom, Mashhad, vincono ampiamente (70%) a Isfahan e Tabriz e nelle stesse aree rurali, un tempo roccaforti delle posizioni populiste e non clericali dell’attuale presidente. Dei 30 seggi destinati agli oltre mille candidati della capitale 19 vanno ai conservatori clericali. Fra i nomi noti di cui è certa l’elezione ci sono: Gholam Ali Haddad-Adel, Ali Reza Marandi, Morteza Agha-Tehrani, Massoud Mir-Kazemi, Bijan Nobave-Vatan, Ahmad Tavakkoli, Ali Motahhari. In un Parlamento ampiamente occupato da politici diventati avversari, se non apertamente suoi nemici, il traghettamento verso le presidenziali del 2013 sarà per Ahmadinejad tutt’altro che una passeggiata. Non potendo più essere prim’attore di quella scadenza (ha già usufruito dei due mandati previsti) il presidente pensava di proporre un fedelissimo. Ma già lo scandalo dei finanziamenti bancari per 2.6 miliardi di dollari, che nello scorso autunno ha coinvolto due suoi deputati (il ministro delle finanze Hosseini e Asqar Abolhassani) l’aveva fortemente indebolito, evidenziando come tanti alleati d’un tempo – basij compresi – prendessero le distanze da lui e dal suo operato. Queste elezioni hanno sancito la spaccatura definitiva con la Guida Suprema e lo pongono in una posizione di debolezza. Lo conferma la stessa defaillance della sorella Parvin nel distretto “blindato” di Garmsar, sua città natale.
La tornata elettorale rafforza, dunque, il settanduenne Khamenei che ha riavvicinato a sé il gruppo degli ayatollah fondamentalisti (Yazdi, Hamedani) divisi negli anni passati da altri tradizionalisti (Zanijani) dal progetto del partito dei Pasdaran di rompere lo strapotere clericale. I chierici recuperano una centralità direttiva nei confronti del potente gruppo dei Guardiani della Rivoluzione pur cercando in quell’ambito una nuova figura simbolo per la presidenza. La partecipazione al voto ha anche risposto alle insinuazioni di osservatori internazionali sulla libertà di espressione e la popolarità del regime. Certo la componente clericale ha fatto leva sull’attuale situazione di attacco alla nazione: quello già attuato con le sanzioni e quello militare minacciato dal binomio Israele-Stati Uniti, così nella campagna elettorale le posizioni astensioniste erano bollate di mancanza di spirito patriottico e il diritto al voto era assimilato all’obbligo che il buon sciita deve avere verso la preghiera, cinque volte al giorno. Venerdì prossimo l’attività istituzionale riprende e lo sconfitto dell’urna Ahmadinejad è atteso proprio in Parlamento a un fuoco di fila di domande relative alle scelte governative sia in politica estera sia sul versante economico messi in oggettiva difficoltà dalla fase che la nazione attraversa. Se il sentimento nazionale è alto rispetto all’umiliazione delle sanzioni volute dall’Occidente bisogna però spiegare ai compatrioti come tamponare la tremenda inflazione e la vertiginosa crescita dei prezzi di talune merci sui mercati interni. Non è facile far digerire i tagli a certi sussidi individuali sostituiti con 38 dollari mensili e giudicati dall’iraniano medio scarsamente vantaggiosi. Eppure alcuni osservatori giurano che su queste tematiche l’ex sindaco di Teheran avrà modo di dar fondo alla sua abilità politica e lavorerà per cercare riavvicinamenti e aperture in una partita politica non definitivamente chiusa per la sua fazione. Lo spirito combattente potrebbe cercare rilanci oltre l’impietosa sentenza dell’urna.
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