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Turchia, il regime depista: “arrestati membri del Pkk, sapevano delle bombe”

La notizia ‘bomba’ è stata sparata dai media di regime turchi e subito ripresa da quelli internazionali: la polizia turca ha arrestato due presunti membri o simpatizzanti del PKK che il giorno prima del massacro di Ankara avevano postato su twitter alcuni messaggi in cui si prefigurava la possibilità di un attentato in occasione della ‘Marcia della Pace’ convocata da sindacati e partiti di sinistra turchi e curdi.
Che qualcuno potesse chiedersi, alla vigilia di una grande manifestazione delle sinistre, se si sarebbe replicato lo scenario di Diyarbakir del 5 giugno o di Suruc del 20 luglio, quando altri attentati fecero strage al comizio del leader curdo Demirtas e poi ad una conferenza stampa convocata dai giovani socialisti che si apprestavano a raggiungere Kobane, non dovrebbe stupire nessuno che conosca anche di sfuggita la situazione turca.
Eppure l’arresto, basato finora sui “sembra” e sui “si dice” dimostrerebbe che a fare strage di curdi e di attivisti di sinistra sia stata la guerriglia curda anche se non è dato sapere con quale obiettivo…
 E questo nonostante il fatto che con sospetta celerità le autorità di sicurezza abbiano indicato fin da subito in due esponenti dello Stato Islamico gli autori del massacro: uno sarebbe Yunus Emre Alagoz, il fratello dell’attentatore di Suruc Abdurrahman Alagoz, e l’altro dovrebbe chiamarsi Omer Deniz Dundar, reduce da due viaggi in Siria.

Nonostante appaia evidente che le stragi costituiscono una minaccia diretta alle opposizioni di sinistra del ‘sultano’ Erdogan e una tragica misura di stabilizzazione del vacillante potere dell’Akp, negli ultimi giorni le autorità turche, a partire dal primo ministro Ahmet Davutoglu, hanno sempre indicato come responsabili sì i jihadisti dell’isis, ma anche i membri del Pkk, e perché no quelli del Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (i marxisti turchi del DHKP-C) o magari gli agenti della Siria o dell’Iran.
E visto che finora la pista ‘curda’ aveva fatto breccia solo nei settori più reazionari e sciovinisti della società turca, dove monta un sentimento di odio viscerale mai sopito nei confronti dei “corpi estranei” – sinistre, curdi e altre minoranze – ecco che gli arresti intervengono a fornire ‘prove più convincenti’.

D’altronde mentre milioni di persone piangono i morti di Ankara – per il governo sono 97, per diverse fonti sanitarie e curde invece 137 – ieri sera allo stadio di Konya, città anatolica tra le più reazionarie del paese, migliaia di spettatori hanno fischiato il minuto di silenzio chiamato dallo speaker durante l’incontro di qualificazione per i campionati europei tra la nazionale turca e quella islandese. Forse un omaggio della curva nazionalista e islamista al presidente Erdogan, che faceva bella mostra di sé in tribuna d’onore. L’odio per i curdi e per le sinistre è in Turchia “ideologia di stato”, e non certo da qualche anno.
Poche ore prima della ‘rivelazione choc’ sul possibile coinvolgimento del Pkk nel massacro di Ankara, quasi ad annunciarla, erano venute le parole pronunciate dal presidente Erdogan dopo alcuni giorni di totale silenzio. “C’è stato senza dubbio una colpa, un errore ad un certo punto. Quanto grave? Lo chiarirà l’inchiesta” ha affermato il presidente, che ha aggiunto: “Ci sono state negligenze? Scopriremo quali sono state le nostre mancanze e come sia potuto succedere alla fine dell’inchiesta”. Un’inchiesta che sarà condotta dal Consiglio di Sorveglianza dello Stato, organismo che dipende direttamente dalla Presidenza della Repubblica, e nella quale le opposizioni di sinistra e i movimenti popolari protagonisti di giorni di proteste massicce non possono assolutamente fare affidamento. D’altronde, hanno rivelato alcuni giornalisti, all’incrocio a poca distanza dalla stazione ferroviaria dove sabato scorso due bombe sono esplose facendo strage di manifestanti, alcuni passanti hanno trovato ieri dei resti umani carbonizzati in tre diversi punti. Il che la dice lunga sulla serietà dell’inchiesta in questione e sull’abnegazione con cui la polizia scientifica di Ankara cerca di scoprire l’identità delle vittime e dei carnefici.
“Secondo le informazioni ricevute, ci sarebbero in preparazione moltissimi attacchi nel nostro Paese, e una parte di queste operazioni avrebbe avuto origine in Siria” ha detto Erdogan. Per ottenere qualche punto percentuale in più alle prossime elezioni del 1 novembre il ‘sultano’ traballante punta sulla paura, sull’agitazione della minaccia esterna. 
In realtà i sondaggi – l’ultimo realizzato dal’istituto di ricerca Samer – indicano che la strategia della tensione promossa dal regime non funziona granché, visto che l’Akp prenderebbe solo il 39.3%, in calo di un punto rispetto al 7 giugno quando gli islamisti persero la maggioranza assoluta; i repubblicani del Chp otterrebbero invece il 25.5%, l’estrema destra nazionalista dell’Mhp il 14.6 e le sinistre curde e turche coalizzate nell’Hdp rimarrebbero stabili al 13.2%, superando di nuovo il draconiano sbarramento del 10%. Lo stallo che ha impedito la formazione di un esecutivo durante l’estate permarrebbe, e gli islamisti per governare dovrebbero ricorrere ad una alleanza con l’attuale opposizione socialdemocratica e laicista.
Per placare le rimostranze di chi accusa, dall’interno del sistema, gli apparati di sicurezza di “non aver vigilato abbastanza” per evitare l’attentato di sabato e i precedenti, il ministero degli interni ha nel frattempo deciso di silurare il capo della polizia di Ankara, Kadri Kartal, il capo dell’intelligence della polizia e quello dei dipartimenti della sicurezza. Tagliando qualche testa tra i suoi sottoposti il responsabile degli interni Selami Altinok spera così di salvare la propria, che Erdogan e Davutoglu potrebbero essere costretti a sacrificare di fronte a una rabbia popolare sempre più diffusa. 
Lunedì Altinok aveva anche sospeso dal servizio – mica destituito – due agenti che nei giorni scorsi avevano legato alla loro camionetta il cadavere di un presunto militante del Pkk, Haci Lokman Birlik, ucciso a Sirnak e lo avevano trascinato per mezzora nelle strade della città, documentando le loro gesta con un video che ha fatto presto il giro dei social network.
Ma le misure palliative adottate dal regime non placano affatto la rabbia, l’indignazione di centinaia di migliaia di manifestanti che si sono riversati nelle strade di tutto il paese dopo la mattanza di sabato. I cortei gridano ‘Erdogan assassino’ e ‘Sappiamo chi è Stato’, facendo chiara allusione alle responsabilità del regime nella strategia del terrore scatenata contro le opposizioni curde e di sinistra.
A Istanbul, Ankara, Izmir, Eskisehir e nelle città curde si susseguono marce e sit-in all’insegna dello slogan “Sappiamo il nome dell’assassino”, mentre continua lo sciopero generale convocato dai sindacati di classe Disk e Kesk e dalle associazioni professionali dei medici, degli avvocati, degli ingegneri e degli architetti. Nella metropoli sul Bosforo, di nuovo, i reparti antisommossa della polizia hanno attaccato una grande manifestazione “non autorizzata”, tempestando i partecipanti con gli idranti e i lacrimogeni. Qualche ora prima sindacalisti e attivisti di sinistra erano stati bloccati prima che riuscissero a salire sul traghetto che da Kadikoy, sulla sponda asiatica, porta i passeggeri a Eminonu, su quella europea. Mobilitazioni si sono svolte in diversi quartieri dell’enorme città, e in molti casi si segnalano l’intervento della polizia e la dura reazione dei manifestanti. Come ad Okmeydani, dove i militanti delle organizzazioni rivoluzionarie turche hanno risposto alla repressione dalle barricate erette nelle strade e facendo uso di armi da fuoco.

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