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Prigionieri palestinesi in sciopero della fame

I media locali e internazionali hanno fatto a gara ieri per individuare la reale ragione dell’assenza di Fayyad al meeting di Gerusalemme: il premier palestinese non avrebbe voluto incontrare la controparte israeliana per rispetto verso la Giornata dei Prigionieri Palestinesi celebratasi ieri. La conferma arriverebbe da alcuni funzionari, rimasti anonimi, secondo i quali Fayyad avrebbe così voluto mostrare solidarietà alle migliaia di detenuti palestinesi che ieri hanno avviato uno sciopero della fame collettivo e a tempo indeterminato per protestare contro le politiche israeliane, il trattamento nelle carceri e le misure cautelari che Tel Aviv impone dal 1967.

Ma l’annuncio dei prigionieri membri di Fatah nelle prigioni israeliane di Naqab, Ofer, Nafah, Ramon, Jalbua, Shatta e Majiddu sconfessa Fayyad: mentre 2.300 prigionieri palestinesi sui 4.446 detenuti nelle carceri israeliane (Fonte: Addameer, gennaio 2012) hanno lanciato uno sciopero della fame collettivo, quelli di Fatah decidono di non prendere parte alla protesta.

Ragione principe è il ruolo assunto da Hamas nella lotta dei prigionieri palestinesi. Secondo Fatah, lo sciopero della fame lanciato ieri non è il prodotto del movimento dei detenuti, ma solo del partito islamico. Ad aderire allo sciopero della fame soltanto i prigionieri di Fatah provenienti dalla Striscia di Gaza.

Ed ecco che il partito di Abu Mazen opta per il boicottaggio della protesta, una delle forme più estreme di lotta del popolo palestinese. “La battaglia degli stomaci vuoti”, come è stata ribattezzata, non trova l’appoggio della principale fazione politica palestinese per ragioni di potere: l’obiettivo di Hamas, secondo Fatah, come riporta Al Quds Press International News Agency, è quello di creare il caos in Cisgiordania e di servirsi dei sentimenti delle famiglie dei prigionieri politici esclusivamente per preparare il terreno ad un colpo di stato contro l’Autorità Palestinese.

La lotta nelle carceri israeliane – spiega a Nena News Ziad Hemadan, ex prigioniero politico e ricercatore nell’associazione palestinese Al Haq – è il baluardo della lotta di un intero popolo. È dentro le carceri che si formano e si rafforzano le opinioni politiche, che si tiene viva la resistenza della popolazione. I prigionieri sono in prima linea e sono il cuore del movimento di lotta contro l’occupazione. Per questo vanno sostenuti: devono sapere di non essere soli, perché senza la loro forma estrema di resistenza non parleremmo più di Palestina”.

* Nena news

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