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Elezioni europee: che tutto cambi perché nulla cambi?

Le elezioni europee dicono che l’austerità imposta con la forza dalla troika Bce, Ue, Fmi sta sconquassando la vita delle popolazioni, provocando tensioni sociali crescenti e delegittimando la classe politica continentale. La sconfitta dei “partiti del rigore” è il dato che accomuna tutte le prove elettorali avvenute ieri (in attesa di conoscere gli esiti del primo turno della amministrative italiane, peraltro condizionate come sempre dala presenza di “liste civiche” che rendono opachi i movimenti sotterranei dell’opinione generica).

Sembra che il più rapido a capire l’aria che tira, in Italia, sia stato ancora una volta Mario Monti, che ovviamente non era affatto ignaro di quanto covava in Francia, Grecia e nella stessa Germania. La sua nota diffusa ieri sera è la fotografia di come l’establishment finanziario che ha fin qui gestito senza alcuna opposizione reale la politica europea intende affrontare la situazione.

 

«I risultati delle elezioni in Francia e in Grecia impongono una riflessione sulla politica europea. La disciplina del bilancio pubblico rimarrà un elemento essenziale dell’Unione economica e monetaria. È importante per i singoli paesi, anche a prescindere dai vincoli comunitari, attenersi ad una finanza pubblica responsabile sull’arco del ciclo economico, che nell’ambito della spesa pubblica privilegi quella per investimenti produttivi rispetto alla spesa corrente, e che non scarichi oneri sulle generazioni future, come per lunghi periodi era accaduto in Francia, in Italia, in Grecia e in altri paesi. Una finanza pubblica responsabile è condizione necessaria, ma non certo sufficiente per l’obiettivo chiave: una crescita sostenibile, creatrice di occupazione e orientata all’equità sociale. Per questo, è fondamentale che l’Europa adotti con urgenza concrete politiche per la crescita. L’Italia deve avere , in questo, un particolare ruolo di orientamento e di impulso in Europa».

«Tale ruolo, intrapreso dal governo fin dall’inizio e pur trovandosi allora in una condizione finanziaria di oggettiva debolezza troverà ora uno spazio maggiore. Nell’estate scorsa l’Italia ritenne di accettare sia la richiesta dell’Unione europea di anticipare dal 2014 al 2013 il pareggio di bilancio, sia una pesante lettera della Banca Centrale europea che dettava numerosi e dettagliati obblighi. Pur dovendo rispettare tali vincoli ereditati, l’attuale governo ha assunto un ruolo di sollecitazione alla crescita, in particolare promuovendo in febbraio la lettera, sottoscritta da altri undici Capi di governo ma non da quelli di Germania e Francia, che ha chiesto alla Commissione e al Consiglio europeo misure per la crescita, che saranno oggetto di discussione e di decisione al Consiglio europeo di giugno».


 

In sintesi, possiamo dire che c’è una presa d’atto dei problemi politici sollevati dalla politica fin qui seguita e una realistica “disponibilità alla correzione”, ma per non cambiare assolutamente linea.

Crescita e rigore sono sue concetti inconciliabili, in un contesto di crisi. Per quelli che sono i meccanismi che governano le scelte di investimento (il motore di qualsiasi “crescita”), o c’è un’azione potente da parte dei “privati” mentre lo Stato riduce la sua presenza nell’economia, dismettendo e semi-regalando il patrimonio pubblico, oppre – all’opposto – c’è una semiclassica scelta keynesiana di investimento pubblico che aumenta temporaneamente il deficit e quindi il debito. La “terza via” non è stata mai trovata.

Che Monti, dunque, aggiunga la parola “crescita” agli inviti ripetuti a una “politica di bilancio responsabile” è più ch ealtro un far buon viso a cattivo gioco; un non mollare la presa mentre lo scenario politico intorno sta cambiando. Prevede un aumento di pressioni partitiche perché faccia “qualcosa” per far riprendere l’accumulazione e fa il classico passo di lato disponendosi a presentarsi come il primo e più affidabile partner di Hollande e di chi, in Germania, imporrà alla Merkel un atteggiamento meno unilaterale fino alla sua uscita di scena, l’anno prossimo.

Questo non impedirà un aumento delle “turbolenze” nel breve periodo e nelo scenario interno, ma difficilmente si tradurrà in un cambiamento: sia di governo che di scelte politico-economiche. La presa della troika sull’Italia appare particolarmente salda, grazie a una destra ormai frammentata e impossibilitata a “staccare la spina” al governo in carica e un un Pd disposto a immolarsi nella difesa a oltranza di questo governo. Il capitale globale può dunque stare tranquillo sul futuro a breve dell’Italia.

Diversamente va invece per gli altri paesi, a cominciare dalla Francia. Hollande non è un bolscevico, ovviamente. Ma un paio di robuste correzioni rispetto alla politica sarkozista dovrà farle. Anche perché il “cittadino” francese è mediamente più attento del “mezzo suddito” italiano rispetto alle promesse elettorali. E se ti sei guadagnato la vittoria gridando che “l’austerità non è una fatalità” qualcosa dovrai fare. Con prudenza, come risulta già dal suo primo discorso: “Prima di tutto il risanamento per far uscire il Paese dalla crisi. Poi la riduzione del debito. Poi la ricostruzione sociale, per assicurare a tutti l’accesso ai servizi pubblici”. Tre tempi, addirittura!

E peggio ancora per la Grecia, dove i due referenti principali del grande capitale europeo (socialisti e conservatori) rischiano la sparizione e comunque risultano impossibilitati a formare qualunque governo (insieme sommano solo 149 seggi sui 300 del Parlamento). Ma nemmeno la Grecia, per quanto piccola sia, può davvero esser messa fuori dalla moneta unica senza scatenare una crisi verticale di “fiducia” nella costruzione europea.

Si va dunque a una qualche correzione del “rigore”, che permetta di abbassare il livello di tensione interna ai paesi più in fibrillazione? Il problema che a livello europeo deve essere affrontato è proprio questo; dare l’impressione di un cambio di rotta, senza effettuarlo davvero. Le mosse che sono state fatte finore – pareggio di bilancio nelle Costituzioni, fiscal compact, ecc – sono andate troppo avanti e troppo in profondità per poter essere “ribaltate” senza conseguenze gravi.

E il malessere dei “mercati” – con le aperture in caduta pesante delle borse asiatiche stamattina – sta lì a ricordare che chi comanda davvero non sono più le leadership politiche che sorridono in televisione. La Borsa di Tokyo ha chiuso gli scambi in profondo rosso (-2,78%). Vedremo tra poco come andrà su quelle continentali.

 

p.s. Chi dovesse pensare che la nostra lettura delle lezioni francesi sia “ideologica” farebbe bene a leggere questo commento dei Il Sole 24 ore, organo di Confindustria. Sottolineiamo, da parte nostra, la frase che riconosce il “fantastico Hollande” come parte integrante dell’affidabile – per il capitale – classe politica francese: “accademicamente formattato come la miglior classe dirigente francese (Hec, Sciences Po e l’Ena)”.

 

Se un socialista all’Eliseo serve a incanalare la protesta

Attilio Geroni

Se tutti i voti di protesta finissero come alle presidenziali francesi, le cose sarebbero decisamente più facili in Europa. Purtroppo non è così e chi nei mesi scorsi ha avuto paura dell’ascesa di un socialista all’Eliseo, avrebbe fatto meglio a preoccuparsi di altre forze e tendenze populiste, anti-capitaliste e anti-europeiste.

La variabile più preoccupante emersa dalle elezioni del 6 maggio è infatti la Grecia: frammentata, polarizzata, con i due partiti storici – Pasok e Nea Dimokratia – che faranno fatica a trovare un minimo comun denominatore per governare. E con i neonazisti di Alba d’Oro che entrano in Parlamento e la sinistra radicale e anti-austerity di Syriza che contende il secondo posto ai socialisti.

Visto quello che è successo e potrebbe accadere ad Atene, il risultato francese deve essere valutato come rassicurante. Già in occasione del primo turno, il voto a favore di Hollande era stato interpretato soprattutto come un voto di sanzione contro Nicolas Sarkozy. Il carattere protestatario era stato inoltre evidenziato dalla spettacolare performance del Fronte Nazionale di Marine Le Pen.

Hollande, che non soffre di patologie estremiste essendo accademicamente formattato come la miglior classe dirigente francese (Hec, Sciences Po e l’Ena), può essere il giusto personaggio di compromesso tra quanti in Europa sostengono il primato del rigore e quanti – come lui – vogliono spostare il baricentro delle politiche economiche verso la crescita.

Perché l’austerità, come dimostra la Grecia e purtroppo sta dimostrando anche la Spagna, ha un costo sociale elevatissimo. Perché la stessa crisi economica, ormai al quinto anno, sta fiaccando il morale dei cittadini di altri Paesi europei, Italia inclusa. Se un socialista all’Eliseo serve anche a incanalare positivamente il tasso fisiologico di malcontento che attraversa la seconda economia della zona euro, allora il suo lavoro al fianco di Angela Merkel e Mario Monti potrebbe essere economicamente proficuo e socialmente utile.

Ci sono già troppi focolai di anti-politica e populismo in Europa, dentro e fuori l’Eurozona. La crisi del debito sovrano è un terreno fertile per gli estremismi, il modo in cui si è proceduto finora per uscirne lo è ancora di più. Dissodare questo terreno con qualche idea in più sulla crescita e sull’equità non peggiorerà sicuramente la situazione.

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