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Francia: “Nulla li fermerà, bisogna quindi fermarli”

Nel tardo pomeriggio di venerdì 14 aprile il Consiglio Costituzionale ha sostanzialmente approvato la riforma presidenziale – bocciata solo per ciò che concerne 6 disposizioni secondarie, peraltro in parte palliative -, mentre ha bocciato la prima proposta di referendum per mantenere a 62 anni l’età pensionabile.

Nella notte tra venerdì e sabato, Emmanuel Macron ha promulgato in tutta fretta la legge, e lunedì sera si esprimerà con un allocuzione pubblica trasmessa in diretta televisiva.

A parte la parzialissima bocciatura del Consiglio i punti cardine della riforma, cioè del testo uscito dalla Commissione Mista Paritaria, permangono: allungamento dell’età pensionabile dai 62 ai 64 anni, eliminazioni di alcuni “regimi speciali” per alcune categorie di lavoratori di alcune aziende, allungamento del periodo obbligatorio di versamento dei contributi per il sistema “a ripartizione”.

Sabato, Olivier Véran, portavoce dell’attuale esecutivo, ha dichiarato che con la pubblicazione nel giornale ufficiale la legge entrerà in vigore all’inizio di settembre.

Tra la sua promulgazione e la sua entrata in vigore c’è lo scoglio dei decreti attuativi redatti dai ministeri competenti, i quali dovranno in parte essere trasmessi al Consiglio di Stato, che deve esprimersi prima della sua pubblicazione. Da lì le informazioni devono essere trasmesse nel dettaglio alle caisses d’assurance maladie.

Un iter non semplice, dai tempi serrati e dall’esito non scontato, come è successo per il progetto di privatizzazione dello scalo parigino, la cui attuazione è rimasta lettera morta, per poi essere abbandonato ufficialmente all’inizio del 2020.

Ma qui la posta in gioco, sul piano politico generale, è piuttosto differente.

Le parole del portavoce dell’esecutivo danno la cifra della pervicace deformazione della realtà che alberga tra le stanze del potere: «c’è una volontà, un bisogno di distensione nel paese che noi condividiamo; per questo che la legge è stata promulgata dopo il Consiglio Costituzionale e il Presidente tende immediatamente la mano ai sindacati».

Aggiungiamo noi: senza averli mai voluti incontrare, in questi circa tre mesi di mobilitazioni e fregandosene fino all’ultimo della richiesta, formulata negli ultimi giorni da parte dei leader delle maggiori organizzazioni sindacali, di «ritirare solennemente» la riforma, come aveva chiesto espressamente Laurent Berger a capo della CFDT.

Dopo le decisioni del Consiglio e l’ennesimo atto di forza del presidente è chiaro che la distanza tra paese legale e paese reale è divenuta incolmabile. Irrimediabile.

Questo sentimento è stato ben espresso dalla neo-segretaria della CGT, Sophie Binet, che ha affermato: «Fin dall’inizio, il disprezzo indirizzato verso i lavoratori è stato costante. Ma la loro dignità nelle strade è stata più forte».

Decisamente più duro il leader della La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, che in un tweet di sabato ha definito Macron «ladro di vita» affermando che «l’attuale lotta per il ritiro della legge riguarda oggi una certa idea di dignità».

Olivier Mateu, segretario della UD13 della CGT (la regione marsigliese), figura di spicco del sindacalismo militante all’interno della Confederazione e del comparto più mobilitato (insieme a Sud) in questi mesi, già scettico rispetto alle possibilità che il Consiglio si esprimesse a favore dei lavoratori, ha affermato: «La Francia del passato ha parlato. Ne prendiamo atto. Per vincere il movimento deve uscire dalle posture classiche e assumere forme mai viste prima».

Per l’attuale esecutivo la legge ha terminato il suo “cammino istituzionale” – espressione ripresa dalle precedenti affermazioni di Macron – anche se il 3 maggio, sempre il Consiglio dovrà esprimersi su una seconda ipotesi referendaria.

Mentre l’estrema destra della Le Pen che si opposta alla riforma – solo a parole, in Parlamento – di fatto tira i remi in barca, e mira a capitalizzare nelle prossime elezioni (piuttosto lontane) il voto per vendetta contro l’attuale establishment politico, le forze della sinistra istituzionale raggruppate nella NUPES e le organizzazioni sindacali e giovanili che compongono l’inter-sindacale chiamano alla continuità della lotta. Queste ultime con azioni locali ed una grossa mobilitazione per il primo maggio.

Intanto, come avvenuto nelle serate in cui il governo aveva usato l’articolo 49.3 per far passare la legge senza un voto in parlamento, e poi quando la prima mozione di sfiducia contro l’esecutivo era stata respinta per appena 9 voti, ci sono state numerose manifestazioni anche con scontri violenti in numerose città.

Tutto questo dopo una giornata che aveva visto sin dalla mattina numerose iniziative di protesta, con i dintorni della sede del Consiglio Costituzionale, militarizzata dal giorno prima e  immortalata nella foto di apertura del quotidiano “Libération”, con le manifestazioni vietate nelle sue vicinanze.

Il 13 aprile, per il dodicesimo sciopero “inter-professionale”, e contestuale mobilitazione nazionale, erano nuovamente scese in piazza circa un milione e mezzo di persone. Il Ministero dell’Interno dava un terzo dei numeri dichiarati dagli organizzatori, con il consueto sprezzo del ridicolo, specie per ciò che riguarda il conto dei manifestanti nelle città maggiori: Parigi, Marsiglia e Lione.

La risposta dei settori più coinvolti nella lotta non si è fatta attendere, e già nel sabato pomeriggio (nel mentre scriviamo) erano previste manifestazioni.

Le quattro federazioni sindacali del lavoratori delle ferrovie (CGT, UNSA, Sud e CFDT), hanno annunciato, prima della giornata del primo maggio, un giorno della “colère cheminot” per giovedì 20 aprile.

Restano mobilitati, tra le altre le categorie più coinvolte nella protesta, operatori ecologici, lavoratori del petrol-chimico, operai del settore energetico, portuali…

Il Bureau Federale della CGT chiama a due giorni di iniziativa prima del Primo Maggio: il 20 aprile, specificatamente sulla questione delle pensioni, ed il 28 aprile sulle pensioni e le morti sul lavoro.

Thomas Vacheron, membro del Bureau, ai microfoni di Franceinfo ha affermato: «tra oggi e il primo maggio, saranno intraprese diverse manifestazioni, azioni, scioperi e manifestazioni per fare tornare il governo sui propri passi».

Abbiamo scelto come titolo, il testo che lo scrittore Joseph Andras ha scritto per “Mediapart”.

Non si fermeranno, bisogna fermarli“.

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1 Commento


  • Mara

    Bisogna fermare la tendenza al presidenzialismo nel nostro paese. La deriva ad un regime autoritario sarebbe molto facile se si delegando troppi poteri ad un uomo solo.

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