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Siria. La Turchia invoca l’intervento militare della Nato

“Ora la situazione è molto grave. Finora siamo stati pazienti con la Siria ma se il governo commetterà ancora degli errori alle frontiere questo sarà un problema della Nato, come recita l’articolo 5”. E’ questa la minaccia contenuta in una intervista al Corriere della Sera del premier turco Erdogan, alla vigilia della sua visita in Italia. Erdogan sottolinea che “Assad non ha mantenuto nessuna delle promesse fatte” e che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dovrebbe prendere la cosa seriamente così come la Ue non dovrebbe rimanere un osservatore esterno. “Se penso a un intervento armato? Questo non è solo un problema della Turchia, servono passi comuni del Consiglio di sicurezza, della Lega araba” ha detto esplicitamente Erodagn. Sui rapporti con Israele, Erdogan sottolinea che la Turchia era il più importante alleato di Israele nell’area ma loro hanno fatto grandissimi errori. “Abbiamo dettato delle condizioni a Israele: vogliamo scuse pubbliche, un risarcimento per le famiglie delle vittime” per l’attacco alla Freedom Flotilla di aiuti umanitari e la fine dell’assedio di Gaza. “Se non saranno soddisfatte queste condizioni le nostre relazioni non si normalizzeranno mai”.

Intanto in Siria sono stati aperti alle 7 orario locale (le 6 italiane) in tutte le città siriane i seggi per le elezioni politiche di oggi. Lo ha annunciato l’agenzia di stampa nazionale Sana. Sono più di 7mila i candidati che si contendono 250 seggi del Parlamento di Damasco, il primo eletto dopo la recente riforma costituzionale voluta dal presidente Bashar al-Assad. Sono previste imponenti misure di sicurezza in considerazione del fatto che in diverse zone della Siria proseguono le violenze. Una parte delle forze di opposizione hanno infatti chiesto di boicottare il voto non considerando democratica la tornata elettorale. Eppure questa volta i siriani hanno la possibilità di votare anche altri partiti oltre quello Baath. I 7.195 candidati, di cui il 10 per cento donne, si sfidano per ottenere i 250 seggi dell’Assemblea del Popolo, dominata da mezzo secolo e fino a febbraio scorso dal Baath, il partito arabo socialista, guidato dall’attuale presidente Bashar al Assad, da dodici anni al potere dopo averlo ereditato dal padre Hafez, rimasto in carica per 30 anni. Un cambiamento decisamente significativo. Un attacco militare oggi contro la Siria annullerebbe questo percorso di democratizzazione per sostituirlo con il bonapartismo turco o con le leggi islamiche delle petromonarchie come Qatar e Arabia Saudita.

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