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Prove di unità tra Arabia Saudita e Bahrein. Contro l’Iran

Nuova ondata di repressione in Bahrein contro oppositori politici e sociali. Le locali associazioni per i diritti umani denunciano oggi che 14 attivisti ed esponenti dei partiti di opposizione sono stati prelevati dalle loro case in numerosi villaggi del principato dai militari agli ordini della monarchia sunnita che dal 14 febbraio del 2011 un vasto movimento di massa chiede che si faccia da parte. Senza successo, anche a causa dell’attivo sostegno che i potenti vicini sauditi hanno concesso al dittatore della piccola petromonarchia, anche inviando centinaia di militari e poliziotti a sostegno della sanguinosa repressione contro i cittadini e i lavoratori, per lo più di fede sciita, che chiedono un cambio di regime e la fine della discriminazione politica, sociale ed economica nei loro confronti. Il bilancio della repressione è stato finora pesante: almeno 90 morti, centinaia di feriti, migliaia di arrestati ed esiliati.

L’intervento militare saudita ha impedito il rovesciamento del regime e ha di fatto trasformato il Bahrein in una sorta di protettorato di Ryadh. Ma alla monarchia feudale degli al Khalifa è giunto di nuovo anche il sostegno di Washington, dopo qualche mese di stop. Un sostegno diplomatico, certo, ma soprattutto militare, quello dell’amministrazione Obama che pochi giorni fa ha annunciato la ripresa delle forniture belliche a re Hamad bin Isa al Khalifa. Non materiali antisommossa come gas lacromogeni e  granate assordanti, si è giustificata la portavoce del Dipartimento di stato Usa, Victoria Nuland, lasciando intendere di non volersi associare alla repressione dell’opposizione interna. Gli Usa forniranno ufficialmente a Manama “solo” una nave da guerra, alcune motovedette e motori per i caccia F-16.

Il Bahrain, ricorda giustamente NenaNews, “resta un alleato strategico degli Usa che mantengono nel piccolo regno la base della V Flotta, incaricata di tenere sotto controllo (e sotto tiro) i «nemici» iraniani”.

E il minuscolo ma strategico principato fa gola anche ai vicini di Riad – sempre più in competizione nei confronti dell’influenza statunitense nel Golfo – che infatti stanno tentando, anche se non senza difficoltà, di dar vita ad un rapido processo di integrazione regionale a guida saudita.

Il 14 maggio i sei monarchi che governano gli aderenti al Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Qatar, Emirati, Bahrain, Kuwait ed Oman), si sono incontrati proprio a Riad per discutere del rafforzamento dell’unione politica dei paesi dell’area. All’Arabia Saudita interessa che all’integrazione economica già in atto se ne associ una, altrettanto rapida, di carattere politico. E per costringere i deboli vicini a forzare i tempi, le pressioni maggiori la monarchia saudita le starebbe esercitando proprio nei confronti del Bahrein, con il quale Riad vorrebbe intraprendere al più presto una vera e propria unificazione. Alla quale dovrebbe sommarsi un terzo paese, probabilmente l’Oman. Proclami panarabisti che promettono sicurezza e prosperità sono ormai al centro della propaganda del governo saudita da tempo.

I monarchi feudali del Golfo Persico soffrono sempre di più la invadente tutela da parte degli Stati Uniti e dei suoi apparati militari, e la tradizionale subordinazione agli interessi di Washington si sta tramutando sempre di più in una attiva competizione con gli USA soprattutto in Nord Africa e in Medio Oriente. I fiumi di soldi inviati agli alleati e il sostegno attivo alle destabilizzazione di regimi ritenuti avversari non sempre coincide con i desiderata di Washington. Al tempo stesso molte delle petromonarchie del Golfo sono assediate da rivolte popolari che solo una feroce repressione ha per ora bloccato. E in qualche modo una Unione del Golfo sul modello di quella intrapresa dai paesi europei potrebbe rafforzare la tenuta dei regimi locali, permettergli una proiezione economica e politica internazionale assai maggiore di quella a disposizione di piccoli principati, e svincolare tutta l’area dalla tutela statunitense. Naturalmente accrescendo il ruolo della famiglia reale saudita, il che certamente costituisce un risvolto negativo del progetto che finora ha frenato gli entusiasmi di alcuni paesi, in particolare del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti.

Ma ciò su cui insistono i sauditi è il valore aggiunto che l’integrazione economica, militare e parzialmente politica delle varie petromonarchie sunnite costituirebbe nei confronti delle richieste delle vaste minoranze sciite della regione e in particolare nel braccio di ferro con il potente Iran sul controllo delle risorse petrolifere e delle rotte militari e commerciali nel Golfo Persico.

Non è una caso che le opposizioni sciite del Bahrein abbiano respinto e denunciato il progetto di unificazione al quale il proprio regime starebbe per aderire. E non è mancata neanche la dura presa di posizione delle autorità iraniane. Ad esempio il presidente del Parlamento iraniano, Ali Larijani ha ammonito che “l’eventuale annessione del Bahrain all’Arabia Saudita avrà conseguenze gravi per tutta la regione”. In precedenza 192 membri del parlamento di Teheran avevano già condannato il progetto di integrazione tra Bahrein e Arabia Saudita.

Per ora il previsto annuncio sull’unificazione immediata tra Arabia Saudita e Bahrein non c’è stata, ma le proposte del re Abdullah sono chiare: una moneta unica, l’apertura delle reciproche frontiere, la creazione di un parlamento comune. E soprattutto l’integrazione dei due eserciti per bloccare quello che viene definito ‘l’espansionismo sciita’ – cioè iraniano – in tutto il Medio Oriente.

Quali che saranno i tempi dell’integrazione – gli ostacoli certamente non mancano – si conferma anche in questo quadrante del mondo la tendenza ad una integrazione che permetta alle potenze regionali di sostenere a un livello più alto la competizione globale con altre aree monetarie e geopolitiche già costituite o in via di costituzione.
Quale sarà l’atteggiamento degli Stati Uniti per ora non è chiaro: se è vero che un unico soggetto statuale nel Golfo, ostile non solo all’Iran ma tendenzialmente anche a Russia, India e Cina, potrebbe essere un utile e prezioso alleato di Washington, non è però detto che questa alleanza non si tramuti presto, troppo presto in conflitto aperto.

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