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Irlandesi al voto sul fiscal compact. Con la pistola alla tempia

 

Gli irlandesi saranno l’unico popolo europeo che potrà esprimersi attraverso un voto sul cosiddetto fiscal compact, il patto europeo di stabilità. In nessun altro paese dell’Unione infatti i governi hanno voluto organizzare consultazioni popolari come quella che oggi chiama alle urne circa 4 milioni di elettori irlandesi. Si tratta di un referendum consultivo, e quindi solo parzialmente vincolante per le scelte dell’esecutivo di Dublino. Ma che potrebbe avere, in caso di vittoria dei voti contrari, un riflesso importante sull’agenda politica dei partiti irlandesi e anche di quella continentale, considerando che entro pochi giorni si vota per le legislative sia in Francia sia in Grecia, paesi dove il numero degli euroscettici è sempre più alto e nei quali l’opposizione alle gabbie economiche e politiche imposte dall’UE ai singoli governi ha portato già ad una crescita delle destre e delle sinistre.
Gli ultimi sondaggi pubblicati dai quotidiani irlandesi prevedono una affermazione dei si. Se infatti dal referendum uscisse un No il governo di Dublino potrebbe vedersi negare i finanziamenti provenienti dall’Esm, il Meccanismo Europeo di Stabilità, in un momento in cui l’economia irlandese è in ginocchio a causa della crisi, degli ‘aiuti’ degli ultimi anni pagati a caro prezzo e delle scelte liberiste dell’attuale governo di destra. E quindi anche molti elettori contrari all’Unione Europea – già nel 2001 e nel 2008 in simili referendum due trattati comunitari vennero bocciati – potrebbero orientarsi questa volta per l’astensione o per un voto favorevole ‘di necessità’ più che per convinzione. Nel sondaggio dell’Irish Times pubblicato pochi giorni fa i sì erano dati al 39% e i no intorno al 30%, quindi con una percentuale enorme e determinante di indecisi. Coloro che non andranno alle urne, secondo alcuni, saranno molti, visto che nelle precedenti consultazioni su questioni inerenti l’Unione Europea il voto contrario degli irlandesi non è stato rispettato.
Insomma l’esito della consultazione è quindi assai incerto, perché molti elettori potrebbero vivere il referendum di oggi oltre che come un segnale da dare alle opprimenti ed estranee istituzioni europee anche ad un governo che sta continuando a penalizzare il lavoro e i diritti sociali, a diminuire i sussidi di disoccupazione – i senza lavoro sono il 14% – e a costringere decine di migliaia di cittadini ad espatriare in cerca di lavoro. Se prevalesse il ‘si’ il voto incoraggerebbe il governo di coalizione tra i laburisti e il centrodestra del Fine Gael, guidato dalla premier Enda Kenny, a varare nuovi tagli allo stato sociale e ad aumentare le tasse sui cittadini, in un paese che brilla nel continente per il livello di tassazione minimo per le imprese.
I sostenitori del “fiscal compact” sottolineano la necessità di votare favore per evitare che il rigetto del trattato porti ad una nuova crisi del sistema bancario irlandese di nuovo sull’orlo del collasso nonostante decine di miliardi regalati dallo stato ai vari istituti, e i più allarmisti avvertono addirittura del rischio che il paese venga espulso dall’eurozona. A favore del voto favorevole sono schierati tutti i grandi partiti di centrosinistra, centro e centrodestra – laburisti, Fianna Fail e Fine Gael – che hanno spesso agitato lo spettro di uno scenario greco per tentare di convincere la loro stessa base a votare ‘si’.
Contrarie sono le forze politiche della sinistra radicale, i socialisti e gli indipendentisti di sinistra dello Sinn Fein (il secondo partito dell’Eire con il 22% delle intenzioni di voto). Il leader carismatico del partito, Gerry Adams, ha chiesto agli elettori di unirsi votando ‘no’ a tutti quei cittadini e lavoratori del continente che chiedono uno stop alle misure di cosiddetta austerità. I repubblicani, che hanno condotto una campagna elettorale molto capillare, chiedono agli irlandesi di non permettere che la parola austerità venga scritta nella costituzione concedendo così mano libera ai burocrati di Bruxelles e Francoforte nel determinare quale debba essere la politica economica e sociale del paese. L’ex dirigente dell’Esercito Repubblicano Irlandese Gerry Adams in particolare ha messo in guardia sul rischio di violazione e di cancellazione tendenziale della sovranità nazionale del piccolo stato di fatto già commissariato negli ultimi anni.
Per il voto contrario, anche se con contenuti assai diversi, l’influente magnate della finanza Declan Ganley e la sua Libertas, organizzazione di destra e conservatrice.
A favore del ‘no’ si è schierato anche Paul Krugman, l’influente premio Nobel per l’Economia, che intervistato dalla catena britannica BBC ha detto che se fosse irlandese manderebbe un chiaro messaggio alla linea suicida imposta dalla Germania.
Il fiscal compact – che è un accordo intergovernativo e non un Trattato – non è di per sé a rischio perché per entrare in vigore è sufficiente che sia ratificato da soli 12 stati membri. Diversi paesi hanno già avviato le loro procedure per la ratifica, nella maggior parte dei casi attraverso un semplice voto parlamentare.
Ma la posta in gioco nel voto irlandese di oggi è alta, e su Dublino sono puntati gli occhi dei governi e dei mercati di tutto il mondo. I seggi si chiudono alle 22, e domani mattina sapremo cosa avranno deciso gli irlandesi.

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