L’esercito di Assad sarebbe entrato in territorio libanese durante uno scontro a fuoco con alcuni uomini armati lungo il confine: il bilancio è stato di un morto e due feriti. Stando alle parole del sindaco di Arsal, Ali Hujeiri, le truppe siriane sarebbero entrate nel Paese e avrebbero teso un’imboscata ad alcuni residenti del villaggio. Secondo un’altra versione, invece, Humayyed sarebbe stato ucciso mentre contrabbandava beni al confine con la Siria. Comunque siano andati i fatti, il risultato non cambia: agli scontri tra libanesi pro e anti Assad a Tripoli e Beirut, ora si aggiungono quelli tra forze armate siriane e militanti armati nel Paese. Non certo una garanzia di pace, per uno stato che ha subito l’occupazione siriana per trent’anni. Il 29 maggio scorso un incidente simile si era verificato nella stessa zona. Un uomo era rimasto ucciso e quattro feriti mentre andavano a caccia di conigli sulle montagne d Ras Baalbek, dopo che l’esercito siriano aveva aperto il fuoco su di loro. E ancora: lo scorso ottobre alcuni militari siriani, seguiti da un carro armato, sarebbero penetrati in territorio libanese a est di Arsal, aprendo il fuoco su alcune fattorie e uccidendo un agricoltore. Si trovavano invece in Siria i fedeli sciiti libanesi rapiti il 22 maggio scorso mentre tornavano da un pellegrinaggio in Iran. Stando a quanto raccontato da quelli da loro liberati dopo poche ore, i sequestratori sarebbero i “Liberi di Aleppo”, un gruppo apparentemente non-affiliato al’Esercito siriano libero, ma comunque in contatto con tutti gli attivisti anti-regime: in un videomessaggio diffuso qualche giorno fa, infatti, avrebbero posto come precondizione per il rilascio degli 11 ostaggi – di cui cinque sarebbero ufficiali del partito Hezbollah -le scuse di Hassan Nasrallah al popolo siriano per il supporto al regime di Assad e lo schieramento al fianco dei rivoltosi. Nasrallah, in un discorso alla televisione qualche giorno fa, ha invitato alla calma e alla liberazione dei prigionieri, dichiarandosi “disponibile alla pace come alla guerra”.I ribelli lo hanno accusato di complicità in alcuni massacri avvenuti in Siria, compreso quello di Hula che ha provocato più di cento vittime tra alcune famiglie sunnite. Non meno grave è l’episodio avvenuto domenica 20 maggio nella regione libanese dell’Akkar, al confine settentrionale con la Siria: un’auto non si è fermata a un posto di blocco dell’esercito libanese e i militari hanno aperto il fuoco, uccidendo il predicatore sunnita Ahmad Abdul Wahed. A Beirut è stata aperta un’inchiesta sull’omicidio del religioso – che era diretto a una conferenza contro il regime siriano – ma i militanti sunniti gridano al complotto: i militari avrebbero agito dietro ordine dei servizi segreti libanesi legati ad Assad. Accuse reciproche che minano gli equilibri politici del Libano, con il blocco dell’opposizione del “14 marzo” capeggiato dal Future Movement che preme per il sostegno all’opposizione siriana contro la maggioranza al governo a Beirut, guidata da Hezbollah, fedele alleato di Bashar al-Assad. Analisi su analisi parlano di un Libano prossima vittima della destabilizzazione politica mediorientale come di un Libano che esce indenne dalle macerie intorno a sé. Però i fatti parlano chiaro: Arabia Saudita, Qatar, Kuwait ed Emirati – gli “Amici della Siria” che di fatto si controllano gran parte dello scacchiere mediorientale – hanno sollecitato i loro cittadini a lasciare immediatamente il Paese dei cedri. E oggi ha la Giordania ha cancellato o posticipato tutte le visite ufficiali a Beirut.
* Nena News
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