Ieri ha preso il via una nuova iniziativa, con la quale i lavoratori cercano di mantenere alta l’attenzione sulla loro vertenza: tre «marce del carbone», partite dai principali centri dell’industria estrattiva e dirette a Madrid, dove prevedono di giungere il prossimo 11 luglio. Centinaia di chilometri che gli agguerriti mineros percorreranno attraversando comuni grandi e piccoli, dove troveranno numerosi cittadini e amministratori che si sono già resi disponibili ad offrire loro vitto e alloggio. Mentre le Comisiones Obreras e la Unión General de Trabajadores lanciano una raccolta di fondi per una «cassa di resistenza».
La solidarietà popolare, infatti, non manca, soprattutto nelle regioni più direttamente interessate dal rischio della chiusura degli impianti, come le Asturie, il León e l’Aragona. Ciò che invece scarseggia è la disponibilità dell’esecutivo a rivedere la scelta di ridurre drasticamente le sovvenzioni statali al settore minerario: il ministro dell’industria Juan Manuel Soria ha nuovamente ribadito ieri che «non c’è margine di manovra» per andare incontro alle rivendicazioni dei lavoratori, data la precaria condizione delle casse dello stato spagnolo. Se la legge finanziaria sarà approvata senza modifiche, verranno tagliati di due terzi i finanziamenti che, secondo il «piano generale» del settore attualmente in vigore, il governo avrebbe dovuto destinare all’estrazione del carbone: da 301 a 111 milioni di euro. Degli spiccioli, in fondo, se si pensa ai 62 miliardi che, stando alle ultime stime in circolazione, verranno concessi alle banche grazie al «salvataggio» europeo.
Ed è proprio su questa vergognosa sproporzione che mettono l’accento i sindacati, che insistono anche sul fatto che il governo ha violato i patti: il comparto minerario contava su dei contributi che sono stati di punto in bianco eliminati, in assenza di qualunque confronto o trattativa. Senza il ripristino di queste risorse, l’industria spagnola del carbone corre il serio rischio di scomparire, lasciando ottomila persone senza lavoro e condannando alla morte sociale intere zone del Paese. Un pericolo che non sarà del tutto sventato nemmeno se la lotta di queste settimane dovesse andare a buon fine, perché incombono le norme europee che vietano gli aiuti di stato a partire dal 2018. Ma poter contare su qualche anno per definire una strategia di riconversione, evidentemente, non è come vedersi togliere da un giorno all’altro i finanziamenti che si sapeva di avere a disposizione, come non si stancano di spiegare i lavoratori in lotta.
Non si può negare che la rilevanza economica dell’estrazione del carbone non sia certamente più quella di un tempo, mentre cresce fortunatamente il settore delle energie rinnovabili (che subisce comunque anch’esso dei tagli). E tuttavia, i mineros non accettano di essere brutalmente sacrificati sull’altare della divina «austerità». Alla religione economica professata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dall’obbediente Rajoy, contrappongono una profonda coscienza di classe e un’orgogliosa identità operaia che deriva da un’antica tradizione di lotte, la cui memoria è ancora molto viva. In particolare nelle rosse Asturie, epicentro della mobilitazione, che furono teatro dell’insurrezione del 1934 e dei primi massicci scioperi contro il regime del Generalissimo Franco, di cui ricorre proprio in questo periodo il cinquantesimo anniversario
da “il manifesto”
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