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Turchia: giro di vite contro la libertà di stampa

E’ guerra di ‘rivelazioni’ fra hackers di sinistra e di destra in Turchia, dove i ‘pirati socialisti’ di RedHack hanno messo in rete alcuni giorni fa i nomi di diversi informatori della polizia dopo che un sito dell’estrema destra nazionalista ha a sua volta pubblicato i nomi di giornalisti e universitari denunciati come simpatizzanti dei ‘rossi’. Un procuratore di Ankara ha chiesto l’inserimento di RedHack nella lista nera delle ”organizzazioni terroristiche” dopo che il gruppo ha preso d’assalto ai primi di luglio il sito del ministero degli Esteri turco e ha poi diffuso i nomi del personale diplomatico accreditato in Turchia. Un assalto informatico allo scopo di denunciare ”l’ingerenza” del governo turco in Siria e l’impunità di cui hanno beneficiato gli autori del massacro di Sivas, la città dell’Anatolia in cui 19 anni fa 36 intellettuali alawiti sono stati bruciati vivi in un albergo da una folla inferocita di fanatici sunniti. Il processo contro i responsabili della strage si é concluso l’anno scorso con una sentenza di prescrizione. Nei giorni scorsi il gruppo di hacker di estrema destra, Hackincilar, ha pubblicato i nomi di diversi giornalisti e intellettuali ritenuti simpatizzanti di Redhack, rivolgendo loro pesanti minacce. Le autorità turche da parte loro hanno chiuso l’account su Twitter di RedHack, che era seguito da 40mila ‘followers’.

Intanto il partito islamico e nazionalista del premier turco Recep Tayyip Erdogan, l’Akp, ha presentato in parlamento una proposta per limitare la libertà di stampa sancita teoricamente nell’articolo 28 della costituzione ma di fatto mai rispettata: non si contano in questi anni i giornalisti imprigionati per reati di opinione, le testate di tutti i tipi chiuse  o sospese. Per non parlare della tolleranza delle autorità nei confronti degli omicidi di giornalisti presi di mira dai gruppi ultrareligiosi o ultranazionalisti. Questo nonostante l’articolo 28 della Carta turca affermi che ”la stampa è libera e non deve essere censurata”. Tranne che in alcune ‘eccezioni’ – in realtà numerosissime e attuabile su base assai discrezionale – previste in nome della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico e dei principi fondamentali della repubblica fondata da Ataturk e diretta da parecchi decenni dai militari all’ombra di un sistema apparentemente democratico parlamentare.

 

Ma evidentemente non basta, visto che il progetto di nuovo articolo proposto dall’Akp alla commissione che prepara la riforma della costituzione prevede che la libertà di stampa possa essere limitata in diversi altri casi, e in particolare in nome della ”morale pubblica”. Il testo presentato afferma quindi che ”la libertà di stampa può essere limitata per proteggere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, la morale pubblica, altri diritti individuali, la privacy, per prevenire crimini, garantire l’imparzialità e l’indipendenza della giustizia, prevenire la propaganda per la guerra, le discriminazioni e i discorsi che incitano all’odio”.

Come se non bastasse il partito di estrema destra Mhp (erede dei famigerati ‘Lupi Grigi’) ha presentato alla commissione per la riforma costituzionale una proposta per la reintroduzione della pena di morte in Turchia. 

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