Superati i festeggiamenti da ‘mondiale calcistico’ dei sostenitori orgogliosi della rivincita politica; archiviata l’ufficialità del risultato nel proscenio da ‘mille e una notte’ del Lavish Palace; assestato l’ennesimo schiaffo repressivo a quella devianza che è il giornalismo d’informazione considerato d’opposizione, il presidente turco rilancia il suo desiderio primario: riscrivere la Costituzione. Apprendiamo che il primo ministro Davutoğlu vorrebbe consultare sul tema i leader degli altri gruppi (Chp, Mhp, Hdp), ma Erdoğan ha già aperto i microfoni del suo portavoce: “Per un tema di così grande importanza il dibattito non può essere considerato a se stante dalla nazione. Il tema non riguarda il destino del presidente perché lui è già al potere, è un leader possente entrato nella Storia”. La questione riguarda la nazione, la popolazione, il bene collettivo perché la vulgata è questa: il presidenzialismo offrirà benefici al Paese. Le regole tuttora in vigore prevedono comunque dei passi istituzionali; la formazione d’un governo è il primo, quanto nuovo si vedrà. Forse il nome di qualche ministro cambierà, non quello del premier.
Davutoğlu e il suo gruppo già operano per attuare in cento giorni una parte delle promesse elettorali, quelle economiche innanzitutto, con cui acquietare alcuni ceti che hanno rilanciato l’Akp. Occorre rinnovare i contratti dei dipendenti pubblici, sostenere pensionati, agricoltori e studenti accrescere il welfare che porta consenso. Sono previsti: incremento a 1300 lire turche (circa 420 euro) per il salario minimo, rinnovo dei contratti e aumenti per forze dell’ordine e militari, sussidi per i coltivatori. Per discutere di una nuova Costituzione si dovrà attendere l’ingresso nel Meclis di tutti gli eletti. Tekin, segretario del Chp, s’è dichiarato favorevole a rilanciare la riflessione su una Carta costituzionale rinnovata, escludendo però l’accettazione del sistema presidenzialista. Per i repubblicani i primi quattro articoli fondanti della nazione turca non si possono toccare. Dall’Akp gli ribattono che se il potere esecutivo è centralizzato, mentre controllo e bilancio risultano deboli, tale situazione danneggia negativamente la stessa qualità del pluralismo democratico.
Alchimìe, la partita non è affatto scontata. L’Akp ha ottenuto 317 seggi su 550, lontano il sogno dei 367 che consentirebbero una trasformazione unilaterale della Costituzione, diverso è recuperare i tredici voti utili a ottenere il referendum consultivo. Si potrebbero pescare consensi negli altri schieramenti che, però, appaiono coesi e refrattari ai tradimenti, tanto cari al panorama nostrano. Ancor meno sarà prevedibile una “campagna acquisti”, a meno che la globalizzazione non introduca questo costume in voga nel parlamenti italico. Dopo le consultazioni del 2011 s’era creata una Commissione composta da membri dei quattro partiti presenti nell’Assemblea (Akp, Chp, Mhp, Bdp) finalizzata alla riscrittura della Carta. Il Chp era un possibile partner del partito di maggioranza, nel 2002-2004 i due soggetti collaborarono con emendamenti condivisi e strumenti legislativi per armonizzarsi con la Ue. Ci furono accordi su ben 60 articoli, poi la Commissione si sciolse proprio perché non riusciva appunto a superare lo scoglio della proposta presidenzialista. Oggi una nuova struttura pare improponibile visto che i nazionalisti si rifiutano di partecipare a qualsivoglia gruppo di lavoro preveda la presenza di deputati kurdi.
Il nodo resta: Erdoğan non è disposto a cedere sulla Repubblica presidenziale, i repubblicani (ma anche i nazionalisti) temono un ridimensionamento del ruolo parlamentare e dei partiti politici. Un’ipotesi di possibile compromesso non ha trovato una formula giuridico-amministrativa plausibile. Il dibattito sul tema impazza sulla stampa “normalizzata”, mentre omesse o in secondo piano risultano le vicende della censura e della repressione, affrontate solo dai media d’opposizione. Millet è tornato in edicola, ma la repressione dell’informazione continua a galoppare. All’attacco al gruppo editoriale İpek, posto sotto tutela governativa, ne è seguito un altro a Nokta che ha registrato l’arresto di direttore e manager (Cevheri Güven e Murat Çapan). Il Comitato di difesa dei giornalisti ha sollevato l’ennesima, inascoltata, protesta. I due s’aggiungono alla ventina di cronisti incarcerati e a chi è impossibilitato a proseguire la professione perché destituito o licenziato dai nuovi padroni. Ovviamente acquiescenti alle desiderate del Palazzo. Ancor minore spazio nell’informazione embedded trova la condizione dei diritti umani, rammentata solo da taluni organismi internazionali, ma inascoltata dalle Istituzioni turche.
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