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Il suicidio di Karim, blogger della Primavera tunisina

E’ passato circa un anno da quel luglio 2011 quando ospite in una delegazione dell’Associazione della pace incontrai nel cuore della Medina di Tunisi, nella bellissima cornice di Palazzo Dar Bach Hamba, un gruppo di blogger tunisini. Erano tutti giovanissimi eppure avevano già sulle spalle il peso di essere stati fra i protagonisti della stagione di rivolte che aveva portato alla caduta di Ben Alì.
Mi ricordo che fra loro si accese una discussione fittissima, in tunisino, della quale noi capivamo poco, o meglio nulla. Si percepiva però che in quelle parole c’erano le loro speranze e le loro delusioni. Ci spiegarono alla fine che il contendere era proprio “il come non far morire le speranze che quella stagione aveva acceso”. Una impresa titanica sulla quale ognuno aveva la sua idea, spesso diversa l’una dall’altra.
Eppure nel primo anno del dopo Ben Alì i blogger non si sono certo tirati indietro, girando il mondo raccontando le loro ragioni e i loro sogni. Molti li criticarono per essere diventati delle star – erano richiestissimi da tutti – e per aver rotto il legame con il proprio territorio, ma non era così, anche se la ribalta e la fama potevano far girare la testa e confondere le idee.
Era uno di loro Karim Alimi, il blogger tunisino suicidatosi nei giorni scorsi all’età di 29 anni in un appartamento dell’estesissima periferia di Tunisi, ad Arianna. Karim era originario della provincia di Gafsa, la zona mineraria del paese, la stessa regione che nel 2008 – anticipando i tempi – aveva dato alla luce un imponente protesta da parte dei minatori e delle loro famiglie contro le condizioni di vita che il regime tunisino imponeva ai suoi figli delle regioni centrali, le più arretrate e povere della Tunisia.
Da quelle terre desolate, dove sembra proprio impossibile immaginarsi un futuro, Karim era partito per arrivare alle porte della Capitale. Da qui aveva iniziato il suo lavoro da blogger, un certosino martellamento prima contro il regime poi contro quanti lavoravano per la restaurazione.
Una voce scomoda che arrivava ad un pubblico sempre più vasto: questo gli aveva portato molti problemi, come quando nei primi giorni del gennaio 2011 iniziò una vera e propria caccia alle streghe contro i blogger o come quando piovvero sulla sua testa le accuse di essere stato vittima di manipolazioni e di strumentalizzazioni ordite contro il suo paese. Di queste cose aveva scritto molto, specie sul sito “Tunisie secret” dove ha lasciato pochi giorni prima della morte una sorta di testamento.
Ma non sono stati questi attacchi a piegare le gambe di Karim, bensì la sensazione che tutto era stato vano e che la Tunisia si stava avviando verso una gattopardesca mutazione dove tutti i nomi cambiavano per lasciare del tutto immutato lo stato di vita dei suoi concittadini.
Questa percezione era per lui insopportabile, una vera e propria sconfitta personale, e lo aveva fatto cadere nelle ultime settimane verso uno stato depressivo sempre più profondo. Aveva smesso di lottare Karim, era diventato fatalista, e alla fine aveva deciso di affidare la propria vita proprio a quel “lutto che pesa sul destino delle persone” che la foto sul suo profilo Facebook ci ricorda.
Un suicidio amaro, quindi, che ha fatto riflettere e che ha lasciato sgomenta una fetta importante di quei giovani che un anno e mezzo fa pensavano di aver abbattuto il regime per creare qualcosa di nuovo capace di dare concretezza ai propri sogni. Da allora tante delusioni. Proprio un suicidio, quello di un giovane uomo di Sidi Bouzid, aveva fatto scoccare la scintilla della protesta in quell’ormai lontano 17 dicembre 2010.

 

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