E’ un “ritiro”, quello dell’ex segretario generale dell’Onu, che si accompagna alla fine della missione degli osservatori delle Nazioni Unite in Siria, i quali – secondo alcune fonti – stanno giàfacendo le valigie mentre intorno ad Aleppo tra lealisti al governo e miliziani anti-Assad infuria la battaglia che molti ritengono decisiva.
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ha annunciato che sono in corso consultazioni con il capo della Lega Araba Nabi al Araby per nominare un sostituto di Kofi Annan. Ma non si capisce per fare che cosa se non presentare una nuova foglia di fico che garantisca una presenza dell’Onu sulla scena di una guerra civile sulla quale soffiano apertamente le petromonarchie del Golfo, gli Usa e la Turchia. Kofi Annan in una conversazione privata di qualche settimana fa aveva detto che era impossibile raggiungere una tregua: «Circolano troppe armi per convincere le parti a rinunciare alla guerra». In Svizzera il 7 luglio scorso i membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu avevano dato il loro assenso a un accordo, annunciato dallo stesso Kofi Annan, per un piano di transizione che includeva “un governo di unità nazionale con esponenti dell’attuale governo, dell’opposizione e di altri gruppi”. Il documento non faceva cenno al destino di Assad ma pochi minuti dopo averlo approvato il segretario di stato americano Hillary Clinton dichiarava che Bashar Assad aveva i giorni contati. Un evidente siluro contro il negoziato. “Washington non ha fatto altro che sabotare la mediazione di Annan, approvando aiuti ai ribelli e sostenendo le posizioni di Turchia, Qatar e Arabia Saudita” deve ammettere lo stesso Sole 24 Ore. “Il piano Annan si è esaurito ancora prima che l’inchiostro si asciugasse sulla dichiarazione di Ginevra. Dopo sono arrivati i veti di Russia e Cina alle risoluzioni dell’Onu che condannavano il regime di Assad mentre il mandato degli osservatori era rinnovato soltanto per un mese, giusto il tempo di smobilitarli. Annan è stato lasciato solo con il suo piano, naufragato – come ha dichiarato ieri – “a causa della crescente militarizzazione dell’opposizione e delle divisioni della comunità internazionale”.
Si segnala intanto la visita a sorpresa del ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu a Kirkuk, il centro petrolifero conteso tra il governo del Kurdistan iracheno e quello centrale di Baghdad. La tensione tra Turchia e Iraq sta crescendo vertiginosamente. Bagdad giudica infatti la mossa di Ankara una “provocazione”. I turchi cercano inedite alleanze con i curdi iracheni e siriani, sostenuti da Erbil, per frenare le simpatie nei confronti della guerriglia del Pkk e hanno avviato nuove manovre militari ai confini con la Siria. Ma la questione curda, anche alla luce della guerra civile in Siria, rischia di esplodere tra le gambe della Turchia ancora più pesantemente di quanto avessero pianificato.
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