Il contesto internazionale e regionale non può non avere ricadute sul piano interno in vista del prossimo congresso del Partito Comunista Cinese.
Le spinte interne di un’area o corrente (non si pensi ad un’area cristallizzata come nelle correnti dei partiti occidentali e italiani in particolare o legata ad un area geografica, come quella di Wenzhou) di matrice più liberista, vuole lasciarsi alle spalle le eredità del socialismo ed eventualmente riabilitare, con forte valenza simbolica e politica, il movimento di Tian An Men del maggio dell’89. In questo senso parla spasmodicamente di una non ben precisata riforma politica, senza la quale si rischierebbe di perdere i risultati ottenuti in questi anni sul piano economico, ma rischia di trovare freni maggiori di quanto previsto.
Infatti con un tentativo da parte della potenza egemone Usa di accerchiare il paese e costringerlo all’interno di un sistema di contenimento fatto da alleanze con i paesi vicini, mettendo fine fase di collaborazione contro il terrorismo islamico che aveva caratterizzato i rapporti Usa-Cina in tutto lo scorso decennio dell’America repubblicana di Bush Jr., ora il paese si trova sottoposto ad un processo che partendo da una fase collaborazione passa sul piano del confronto politico-militare.
In questo nuovo scenario, cui tuttavia i cinesi rispondono tentando di evitare il confronto e lo scontro rispondendo invece con contromisure sul piano economico, rivendicando il ruolo ormai irreversibile di integrazione economica e commerciale tra la Cina e gli altri paesi dell’Asia Orientale, l’ipotesi di una riforma del sistema politico attuale- non si capisce in quale direzione- appare quanto mai improbabile.
Nonostante la conclusione del caso Bo Xilai possa aver gonfiato il morale di coloro che si aspettano una tale evoluzione internamente al Partito e alla società cinese, e dato l’impressione di una vittoria della destra su molti fronti, la riforma reale del sistema sembra approfondire le politiche lanciate dall’area maggioritaria legata al presidente Hu Jintao che invece parlano di stato sociale, riduzione della crescita, cambiamento del modello di sviluppo, sostenibilità ambientale, riforma del sistema sanitario basato sul concetto di diritto alla salute, diritto alla casa, ecc…
Se dunque la vicenda di Bo Xilai ha rappresentato un “colpo al cerchio”, è molto probabile che il prossimo congresso darà un sostanziale “colpo alla botte” di coloro i quali si aspettano una riforma in senso occidentale del sistema politico.
Uno degli elementi di continuità con l’era maoista(costituita da due fasi, una precedente alla rivoluzione culturale e da una che la comprende) su cui anche ufficialmente il personale del ministero degli esteri cinese ha sempre insistito come uno degli elementi positivi del periodo pre 1978(vedi intervista a Huang nel 2009) è proprio il sistema politico. Nel senso che il sistema politico pre e post 1978 a livello istituzionale è caratterizzato da una sostanziale continuità, e che l’averlo costituito prima del periodo della Riforma e dell’Apertura costituisce un punto e a capo e uno degli elementi ereditati da quei decenni che non si considera debba essere l’oggetto di riforme significative.
Anche precedentemente all’intervista del 2009 che esprime una posizione ufficiale del Partito sull’argomento, lo stesso presidente Hu Jintao aveva detto testualmente che “la democrazia occidentale è un vicolo cieco”, e parlato apertamente di “superiorità del sistema politico cinese” rispetto ai modelli occidentali.
E infatti la differenza di posizioni interna tra Hu e chi parla di riforma politica in questo senso appare evidente. Per questo riteniamo che tali spinte non avranno una grande eco nel prossimo congresso.
Il risultato sarebbe il ritorno della Cina ad un periodo di caos e di instabilità interna dovuta alla fine di qualunque freno posto all’allargarsi delle differenze sociali e all’approfondimento dei moti di malcontento e di protesta che negli ultimi anni si sono moltiplicate nel paese, dando un segnale d’allarme alla dirigenza che l’area di Hu a differenza di altre sembra aver colto.
Attualmente l’area legata a Hu e a Li Keqiang che sta implementando le riforme sociali, dalle pensioni, alle case popolari, alla sanità, al controllo dei prezzi dei generi di prima necessità, ecc…sembrano le uniche in grado di portare avanti le politiche necessarie a ristabilire un equilibrio e consentire una condizione di armonia al sistema, implementando i precedenti piani che parlavano di una riduzione dell’allargamento della forbice reddituale tra ricchi e poveri fino al 2020 e a partire da quel momento di una riduzione di tale forbice, quindi l’inizio di un riallineamento e di un riavvicinamento dei redditi.
Deragliare da tale strada sarebbe estremamente pericoloso per il paese e di questo l’attuale leadership è ben consapevole. Tuttavia, dopo anni di riforme del sistema, non è ancora chiaro a tutti che in questo caso non si tratterebbe di resistenze della parte più conservatrice(e leninista)dell’apparato ma semmai va posto in maniera chiara una volta per tutte, nonostante i problemi che ciò può causare sul piano delle relazioni con l’estero, che lo sviluppo attuale è frutto del mantenimento dei fondamenti basilari del socialismo, del focus del Partito sulle questioni economiche, della spinta dello stato alla pianificazione economica rispetto alla quale il mercato è un sottosistema subordinato, che insomma senza l’attuale sistema a prevalenza pubblica che mitiga gli effetti del liberismo la Cina non potrebbe crescere a quei ritmi e reinvestire ogni anno il cinquanta percento del Pil in attività reali anziché disperderlo nei mille rivoli della speculazione finanziaria come avviene in Occidente…insomma andrebbe puntualizzato che l’attuale processo di sviluppo non è frutto dello smantellamento del socialismo e che ulteriori risultati non possono essere raggiunti spazzando via gli elementi rimanenti, ovvero il sistema politico e l’egemonia del Partito su di esso, aprendo il canale del credito ai privati, privatizzando la terra, svendendo le aziende pubbliche, ecc… ma che anzi il passaggio ad una successiva fase di sviluppo passa per il consolidamento del socialismo e per il riequilibrio dei redditi tra classi sociali ed aree geografiche, così come tra città e campagna.
In questo senso andrebbe stoppato sul piano psicologico il tentativo della “cavalcata liberista”che ora vede nei “rimasugli”di socialismo l’ultimo ostacolo all’affermazione politica di una fetta di borghesia cresciuta in questi anni di sviluppo ma che non si è ancora affermata come classe che ha coscienza di sé, proprio per i tentativi parzialmente riusciti del Partito di integrarla nell’apparato ed in questo modo di “neutralizzarla politicamente”.
Elementi del genere sono in atto senza essere mai stati dichiarati per ragioni di equilibri interni e internazionali, ma è evidente che tale equilibrio non possa essere mantenuto all’infinito e che l’area che persegue un’ impossibile emulazione del modello giapponese di sviluppo, quello di una borghesia monopolistica assistita dallo stato, non potrà essere cooptata ad libitum nella gestione del potere.
Il problema è semmai a tutt’oggi che questa tendenza non prenda il sopravvento, ma questo dipende dai rapporti di forza interni – puramente di classe – e da come l’area maggioritaria di Hu riuscirà a gestire la fase di transizione del potere alla quinta generazione di leader.
Negli anni passati si è registrato un aumento del tasso di crescita del reddito medio delle zone rurali maggiore di quello urbano, e all’allargamento dei presidi di stato sociale nelle campagne, a riprova che le riforme in senso di maggiore giustizia sociale stanno portando i loro frutti. Si tratta solo di approfondirli, proseguendo sul cammino di riequilibrio dei redditi e del mantenimento del ruolo fondamentale dell’economia pubblica già programmato in precedenza nei decenni scorsi.
Il prossimo congresso, a quello che ci è dato sapere allo stato attuale, crediamo si concentrerà sui problemi che qui abbiamo esposto e tuttavia costituirà un banco di confronto politico i cui esiti sono tutt’ora incerti.
(in un prossimo articolo verrà affrontata invece la situazione di tensione nello scacchier asiatico e il tentativo statunitense di costituire una “area di contenimento” contro la Cina)
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