«Sono finiti i tempi in cui i vecchi imperi, e quelli nuovi, facevano con noi quel che volevano». A parlare è il Presidente del Venezuela Hugo Chavez, a sostegno del governo dell’Ecuador attaccato da Londra dopo aver concesso a Julian Assange l’asilo politico. Il governo della Svezia ha affermato proprio oggi che rinuncerebbe a chiedere l’estradizione del fondatore di Wikileaks se gli Stati Uniti chiedessero per lui l’applicazione della pena di morte, e anche se il governo di Londra afferma di voler risolvere la questione negoziando con Quito in realtà la tensione è molto alta.
Un portavoce di Downingstreet ha infatti ancora oggi confermato che al fondatore di Wikileaks non sarà offerto alcun salvacondotto fuori dall’ambasciata e che l’obbligo legale del Regno Unito è di estradarlo in Svezia: «Vogliamo adempiere a questo obbligo», ha detto il portavoce dopo aver affermato che il governo di Londra «continerà a parlare con il governo ecuadoriano e con altri per una soluzione diplomatica».
E così Chavez è intervenuto oggi annunciando una risposta «molto forte e ferma» nel caso in cui la Gran Bretagna non ritirasse la «minaccia» fatta nei giorni scorsi circa una possibile irruzione nell’ambasciata dell’Ecuador nella capitale inglese, dove si è rifugiato Assange ormai dal giugno scorso. Il «suggerimento» del presidente venezuelano alle autorità britanniche è quello di «pensare molto bene» i passi da fare.
Chavez non ha per ora precisato quali sono le risposte alle quali sta pensando Caracas se non ci sarà un passo indietro da parte di Londra. «Quali saranno queste risposte? Non lo diciamo, ma le stiamo preparando», si è limitato a dire il presidente in un’intervista ad una rete tv locale. «L’Ecuador non è solo» ha comunque chiarito, ricordando le riunioni sul caso Assange di questi giorni a Guayaquil sia dei paesi aderenti all’Alba (tra i quali Ecuador e Venezuela) sia dell’Unasur, organismo del quale fanno parte dodici paesi sudamericani. I ministri degli Esteri dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur) intanto un comunicato congiunto hanno espresso all’unanimità il loro sostegno all’Ecuador nella controversia diplomatica con il Regno Unito su Assange. I 12 ministri hanno invitato i due Paesi a risolvere la disputa attraverso il negoziato e hanno condannato le minacce di Londra di ricorrere alla forza per fare irruzione nell’ambasciata dell’Ecuador per arrestare il fondatore di Wikileaks.
Se la polizia britannica dovesse fare irruzione nell’Ambasciata dell’Ecuador a Londra per arrestare Julian Assange commetterebbe un “suicidio”, è stato il commento del presidente ecuadoriano, Rafael Correa, in un’intervista concessa alla televisione di Stato. “Se il Regno Unito violasse la sovranità ecuatoriana sarebbe un suicidio perché lo stesso potrebbe poi accadere a tutte le Ambasciate britanniche del mondo” ha spiegato Correa, ribadendo la richiesta che venga rispettato il diritto internazionale e dicendosi pronto a portare la questione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Gli Stati Uniti devono rinunciare alle minacce a Wikileaks, aveva detto lo stesso Assange parlando da una finestra dell’ambasciata a Londra dell’Ecuador. Il fondatore del sito ha chiesto al presidente degli Stati Uniti Barack Obama di fermare la «caccia alle streghe». «Quito – ha aggiunto Assange – ha preso posizione per la giustizia».
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